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giovedì 18 maggio 2023

Stato di natura di Locke, disvelamento dell'anarco-capitalismo e le vere ragioni del TSO praticato a Robert Nozick

 di Fabio Massimo Nicosia

Se si entra nell’ordine di idee che lo Stato hobbeseano possa venire progressivamente meno, riassorbendosi nella società civile, nella “società borghese” del mercato, un mercato modificato e modellato in forme nuove, vale a dire tenendo conto delle esigenze della democrazia, non si sta forse sostenendo che il Leviatano possa essere riassorbito in qualcosa di imparentato con lo stato di natura, dal quale si presume che esso sia sorto? 

Ma a questo punto, se si giunge ad affermare che il Leviatano, a favore del quale si sono spese milioni di parole in quanto soggetto comunque essenziale alla convivenza umana, in realtà, può venire a cadere come se niente fosse, o comunque semplicemente con qualche accorgimento di gestione della nuova situazione de-statalizzata, non si sta però dicendo anche qualcosa di molto importante, qualcosa di buono, dal punto di vista antropologico? Vale a dire che l’uomo non è così pericoloso e cattivo come lo si è dipinto per secoli per giustificare l’autorità, e Leo Strauss sembra avere mosso dei passi in questa direzione; oppure ancora si sta dicendo qualcosa di leggermente diverso, forse di più attendibile e preciso, ossia che l’uomo ha certamente delle indomabili componenti cattive, ma questo ancora non basta a legittimare un’autorità insidiosa, anche perché i detentori dell’autorità, in quanto uomini, condividerebbero con gli altri quelle componenti cattive, e quindi sarebbero indotti sempre e comunque ad abusare del potere loro conferito; anzi, è molto probabile che competerebbero per la conquista del potere i più ricchi, diciamo così, in componenti “cattive”, dato che dal potere essi potrebbero esprimere queste in sommo grado.

Estinguere il Leviatano per tornare a qualcosa di simile allo stato di natura non significa cioè tornare allo stesso stato di natura così come poco credibilmente delineato da Hobbes, quello cioè in cui la massaia non consegna i cinque euro alla panettiera nel timore che la panettiera si intaschi i cinque euro senza consegnarle il pane, perché questa raffigurazione è totalmente assurda e grottesca, non tenendo conto della conclamata capacità degli esseri umani di affidarsi a costumi e consuetudini in grande parte pacifiche, indispensabili allo scorrere della vita quotidiana, non tenendo conto dell’elemento della fiducia, che pure si instaura, anche a proprio rischio e pericolo, tra le persone, tanto più in presenza di situazioni destinate a riprodursi giorno dopo giorno o periodicamente (giochi reiterati), tal per cui la massaia può star ben certa che la panettiera le consegnerà comunque il sacchetto di pane, dato che la sua reputazione di cortese venditrice vale di più dell’eventuale e rara, per una sola volta, perdita del sacchetto stesso e del relativo mancato guadagno; e in ogni caso siamo di fronte, per la miseria, a persone normali, che si comportano sulla base di quei minimali presupposti di fiducia e di buona educazione, che spesso nella vita sono in grado di oltrepassare le secche del dilemma del prigioniero più di quanto non ritenga Hobbes.

Superare il Leviatano e tornare a qualcosa di simile allo stato di natura, riveduto e corretto, ci appare quindi più un tornare a uno stato di natura, il quale somigli più a quello di Locke che a quello di Hobbes; lo stato di natura di Locke va analizzato molto bene, meglio ad esempio di quanto abbia fatto Nozick, e ciò sotto diversi aspetti. Ma vediamo subito perché lo stato di natura di Locke si differenzi notevolmente da quello di Hobbes: per Locke, lo stato di natura è “uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e di disporre dei propri beni e persone come meglio credono, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro”. Non solo: “È anche uno stato di eguaglianza in cui ogni potere e autorità sono reciproci, non avendone nessuno più di un altro. Nulla invero è più evidente del fatto che creature della stessa specie e grado, destinate senza discriminazione al godimento dei benefici della natura e all’uso delle stesse facoltà, debbono essere anche uguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione”.”””””

Mentre dunque nello stato di natura di Hobbes vige la diffidenza tra soggetti vanagloriosi, i patti non vengono di conseguenza rispettati -anche se stranamente vengono stipulati, vengono stipulati nella consapevolezza che non saranno rispettati, sarà una forma di teatro-, e addirittura ognuno è preda dell’altro e ciascuno può impadronirsi del corpo altrui, lo stato di natura di Locke si presenta come sostanzialmente pacifico, ognuno provvede alle proprie incombenze, ciascuno dispone di fatto indisturbato di propri beni, il tutto in una situazione di eguaglianza formale e sostanziale, dato che nessuno è legittimato a imporsi sull’altro, non si ravvisano subordinazioni e soggezioni, e ognuno gode senza discriminazioni dei benefici offerti dalla natura. Più avanti Locke spiegherà come si formeranno i possessi stabilizzati e a quali condizioni le proprietà potranno essere considerate legittime -ossia residuando agli altri altrettanto e altrettanto di buono, ribadendosi così un sostanziale egualitarismo, che potrà poi essere derogato a condizioni ristrette, sulle quali non mi soffermo qui-, ma ciò che va sottolineato è che persino la stabilizzazione dei diritti di proprietà avviene perdurando lo stato di natura, vale a dire prima della costituzione del governo civile; il quale è ben sì co-condizione della loro sicurezza, ma non già presupposto della loro costituzione ed esistenza.

Locke richiama Hooker, per il quale, in quella condizione di eguaglianza, vige un regime di reciprocità, che si sostanzia nell’obbligo di amarsi l’un l’altro, stante la norma tecnica che, se voglio essere amato dall’altro, dovrò pur io amare lui. Lo stato di natura è regolato da una legge di natura, che viene proposta come frutto della retta ragione e vincolante -confronta di Locke anche gli importanti “Saggi sulla legge naturale”-, ma l’aspetto rilevante e moderno, che emerge, è rappresentato dalla circostanza che, nello stato di natura, per Locke la legge di natura è a implementazione diffusa: “l’esecuzione della legge di natura in quello stato è affidata nelle mani di ciascuno, per cui ognuno ha il diritto di punire i trasgressori”, portato questo, a propria volta, del principio di uguaglianza, ove non v’è superiore preventivo, ma ognuno è posto al pari giuridico degli altri, sicché ognuno può prendere la legge di natura nelle proprie mani e applicarla, renderla esecutiva ed effettiva, sempre nel rispetto di un fondamentale principio di proporzionalità.

A tale proposito, io ho proposto più volte una formula paradossale, quella dell’antitrust preventivo sull’uso della forza; vale a dire che, al fine di preservare un simile stato di libertà e di eguaglianza naturale contro ogni conato di impossessamento di poteri monopolistici, autoritari e arbitrari, gli individui potrebbero costituirsi in istituzioni, esattamente volte a prevenire, quindi dotandosi altresì delle strumentazioni militari adeguate, l’estrinsecazione di quella pretesa all’impossessamento monopolistico del potere, anche se è autoevidente l’obiezione, per la quale potrebbero essere proprio le istituzioni di antitrust preventivo a costituirsi poi in trust monopolistico; ma si tratta di normali problemi della dialettica e rischi da correre, posto che, siccome mia idea è che la forza sia risorsa, anzi, pre-risorsa diffusa e non concentrabile, in quanto insistente per natura e fisiologia in capo a ciascun individuo, essere umano e persona morale (Mauss), non vedo di cattivo occhio il fatto che alcuni possano organizzarsi con determinazione per ribadirlo nel mondo dei fatti materiali, poi chi vivrà vedrà.

Ma voglio ora piuttosto sottolineare un aspetto particolare della dottrina di Locke a proposito dello stato di natura, che non mi sembra sufficientemente evidenziato dagli abituali resoconti: mi riferisco a quando, ormai entrato nell’ordine di idee comunque della necessità di costituire il governo civile -che per Locke assume i caratteri formali-sostanziali del Trust, vale a dire di un’istituzione meramente fiduciaria, prima ancora che caratterizzata nel senso del potere politico-, e ciò al fine di evitare che lo stato di natura degeneri in stato di guerra attraverso l’emergere di conflitti incontrollati e ingovernabili -si noti che Locke duplica le situazioni rispetto al modello hobbeseano: in questo, stato di natura e stato di guerra si identificano e si sovrappongono, in Locke stato di natura e stato di guerra sono due condizioni ben distinte, dato che il primo è perfettamente pacifico, mentre il secondo rappresenta una degenerazione e una caduta del primo-, Locke precisa che gli uomini, i quali solo con il proprio consenso possono essere tolti dalla condizione di piena libertà, eguaglianza e indipendenza dello stato di natura, possono “accordarsi con altri uomini per associarsi unirsi in una comunità, al fine di vivere gli uni con gli atri in comodità sicurezza e pace”, ognuno “nel sicuro godimento della sua proprietà”, possono procedere a ciò anche solo per gruppi: vale a dire che anche un solo gruppo di uomini può procedere alla costituzione di una società civile e di un governo, valido esclusivamente per il gruppo stesso, e non legittimato a imporsi ad altri, i quali non abbiano aderito volontariamente alla costituzione della società civile, e quindi abbiano liberamente prescelto di rimanere nello stato di natura.

A me pare che una simile affermazione sia dirompente sotto almeno un triplice profilo: a) sotto il primo aspetto, si viene a delineare un’ipotesi di governo del tutto privo del carattere tradizionale della sovranità, posto che esso vale e opera esclusivamente per i consenzienti; ma un consenso, così come può essere prestato, così può essere revocato, ma se io conservo un tale diritto di exit rispetto all’istituzione, ciò significa che essa stessa è priva del carattere della supremazia e della sovranità nei miei confronti; b) sotto il secondo aspetto, affidare la costituzione di un governo civile alla libera iniziativa di specifici gruppi intenzionati in tal senso, pare abbia parecchio da dire sulle dimensioni stesse di siffatti “governi civili”, i quali possono quindi presentare dimensioni estremamente contenute, realizzando al contempo un notevole pluralismo istituzionale su di un dato territorio; vale a dire che, sulla base di una tale prospettazione, il territorio britannico non avrebbe necessariamente dovuto avere un unico governo, ma una pluralità di governi a costituzione spontanea e ad adesione volontaria, in libera concorrenza sul territorio; c) infine emerge il profilo, testé lambito, relativo al fatto che in nessuna sua affermazione Locke impone che tali liberi governi abbiano carattere territoriale, potrebbe trattarsi quindi anche di istituzioni a libera adesione, quale che sia l’ubicazione territoriale del soggetto aderente, il che conferma che su di uno stesso territorio possano concorrere distinti governi su base personale, il che potrebbe rappresentare, in Locke, un retaggio del diritto personale medievale; oggi alcuni usano al riguardo il termine panarchia, al quale io ho opposto quello di agearchia, vale a dire un dominio non fondato sul territorio.

A tutto questo va aggiunto che Locke sembra esprimersi piuttosto chiaramente altresì a favore di un sistema di libere secessioni istituzionali, quando sottolinea che il diritto di costituire governi vale anche per chi già si trova sotto un governo; in altri termini, il fatto di vivere attualmente sotto un sovrano, non mi vincola all’omaggio nei confronti del sovrano stesso, allorché io intenda esercitare il mio diritto, che mi consegue dalla legge di natura, di costituire un “mio” governo, un governo al quale io possa aderire sulla base di mie scelte volontarie.

Ora, tutto ciò ci presenta un Locke davvero padre di numerosi e notevoli prospettazione che, nella contemporaneità, pertengono all’anarco-capitalismo, come peraltro notò già a suo tempo Robert Nozick, il quale però, da cattivo cuoco, rovinò questo brodo, introducendovi l’assurdo della presenza di un’agenzia dominante, la quale dia vita di fatto a un golpe, imponendosi anche agli “indipendenti” -quelli che per Locke scelgono di rimanere allo stato di natura-, usando come beffardo pretesto che imporre loro lo Stato rappresenterebbe un “risarcimento in servizi”, vale a dire il servizio-Stato rappresenterebbe il risarcimento concesso agli indipendenti per avere imposto loro lo Stato (nonché per sovrammercato un sistema di imposizioni fiscali per mantenere lo Stato loro imposto in cambio dell’imposizione unilaterale dello Stato, sul presupposto beffardo che lo Stato sia “un servizio”): e fu lì che iniziò il famoso TSO imposto a Nozick dai locali psichiatri, dato che l’hanno colto in pieno vaneggiamento.

Dove invece lo stato di natura di Locke differisce profondamente dall’anarco-capitalismo? Là dove si precisa come in esso le relazioni tra gli individui siano totalmente paritarie, libertarie ed egualitarie, fondate sul principio di reciprocità e sull’amore (sostanzialmente cristiano, visto il contesto), laddove, salvo resipiscenze, l’anarco-capitalismo ha sempre rivendicato la legittimità del formarsi della grande dimensione imprenditoriale e dei monopoli, scomodando al riguardo persino gli scritti più autorevoli di Alberto Mingardi, senza comprendere che siffatta grande dimensione di scala e monopolistica consegue immancabilmente alle relazioni pericolose tra grande capitale e Stato, e non sono mai frutto spontaneo di un libero mercato imperturbato, nel quale le dimensioni di scala dell’impresa sono destinate, nella più parte dei casi, a rimanere relativamente modeste, un sistema di piccole e medie imprese, in cui la grande può pure proporsi, ma sempre come eccezione concordata con riferimento alla prestazione di determinati servizi di pubblica utilità in particolare (tesi da me espressa in “Teoria libertaria dell’impresa pubblica”, 2022).

Per questo preferisco all’anarco-capitalismo i “socialisti individualisti” del XIX secolo, come l’anarco-individualista Benjamin Tucker e gli altri; ma alla base di questa distinzione c’è una ragione tecnica ben precisa, visto che stiamo parlando di Locke: vale a dire il lockean proviso, per il quale ogni appropriazione deve residuare risorse agli altri, altrettante e altrettanto buone, mentre l’anarco-capitalismo, nel suo esprimere in fondo un favor per le grandi appropriazioni capitalistiche, nega la legittimità del lockean proviso, il che però significa anche ammettere che persone possano morire di stenti e inedia -in quanto private della loro quota di risorse naturali, e quindi di moneta-, salvo assoggettarsi allo sfruttamento del proprio lavoro da parte di altri come pre-condizione per potere sopravvivere, o salvo graziosa concessione di beneficenza da parte del ricco verso il povero, il che però bypassa il problema che “il povero” ha diritto di vivere non per graziosa concessione del ricco, ma perché Dio gli ha concesso la sua quota di risorse naturali (dice Locke), indipendentemente dal grazioso parere del ricco; il quale, peraltro, non vive -sempre come vorrebbe Locke- la carità cristiana come obbligo giuridico, ma sempre come sua graziosa concessione: il che rende illegittimo il suo operato anche sotto tale profilo.

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