di Fabio Massimo Nicosia
Se si entra nell’ordine di idee che lo Stato hobbeseano possa venire progressivamente meno, riassorbendosi nella società civile, nella “società borghese” del mercato, un mercato modificato e modellato in forme nuove, vale a dire tenendo conto delle esigenze della democrazia, non si sta forse sostenendo che il Leviatano possa essere riassorbito in qualcosa di imparentato con lo stato di natura, dal quale si presume che esso sia sorto?
Ma a questo punto, se si giunge ad affermare che il
Leviatano, a favore del quale si sono spese milioni di parole in quanto soggetto
comunque essenziale alla convivenza umana, in realtà, può venire a cadere come
se niente fosse, o comunque semplicemente con qualche accorgimento di gestione
della nuova situazione de-statalizzata, non si sta però dicendo anche qualcosa
di molto importante, qualcosa di buono, dal punto di vista antropologico?
Vale a dire che l’uomo non è così pericoloso e cattivo come lo si è dipinto
per secoli per giustificare l’autorità, e Leo Strauss sembra avere mosso
dei passi in questa direzione; oppure ancora si sta dicendo qualcosa di
leggermente diverso, forse di più attendibile e preciso, ossia che l’uomo ha
certamente delle indomabili componenti cattive, ma questo ancora non basta a
legittimare un’autorità insidiosa, anche perché i detentori dell’autorità, in
quanto uomini, condividerebbero con gli altri quelle componenti cattive, e quindi
sarebbero indotti sempre e comunque ad abusare del potere loro conferito; anzi,
è molto probabile che competerebbero per la conquista del potere i più ricchi,
diciamo così, in componenti “cattive”, dato che dal potere essi potrebbero
esprimere queste in sommo grado.
Estinguere il Leviatano
per tornare a qualcosa di simile allo stato di natura non significa cioè
tornare allo stesso stato di natura così come poco credibilmente delineato da
Hobbes, quello cioè in cui la massaia non consegna i cinque euro alla
panettiera nel timore che la panettiera si intaschi i cinque euro senza
consegnarle il pane, perché questa raffigurazione è totalmente assurda e
grottesca, non tenendo conto della conclamata capacità degli esseri umani di
affidarsi a costumi e consuetudini in grande parte pacifiche, indispensabili
allo scorrere della vita quotidiana, non tenendo conto dell’elemento della fiducia,
che pure si instaura, anche a proprio rischio e pericolo, tra le persone, tanto
più in presenza di situazioni destinate a riprodursi giorno dopo giorno o
periodicamente (giochi reiterati), tal per cui la massaia può star ben certa
che la panettiera le consegnerà comunque il sacchetto di pane, dato che la sua
reputazione di cortese venditrice vale di più dell’eventuale e rara, per una
sola volta, perdita del sacchetto stesso e del relativo mancato guadagno; e in
ogni caso siamo di fronte, per la miseria, a persone normali, che si
comportano sulla base di quei minimali presupposti di fiducia e di buona
educazione, che spesso nella vita sono in grado di oltrepassare le secche del
dilemma del prigioniero più di quanto non ritenga Hobbes.
Superare il Leviatano e
tornare a qualcosa di simile allo stato di natura, riveduto e corretto, ci
appare quindi più un tornare a uno stato di natura, il quale somigli più a
quello di Locke che a quello di Hobbes; lo stato di natura di Locke va
analizzato molto bene, meglio ad esempio di quanto abbia fatto Nozick, e ciò
sotto diversi aspetti. Ma vediamo subito perché lo stato di natura di Locke si
differenzi notevolmente da quello di Hobbes: per Locke, lo stato di natura è “uno
stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e di disporre dei
propri beni e persone come meglio credono, entro i limiti della legge di
natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro”. Non
solo: “È anche uno stato di eguaglianza in cui ogni potere e autorità sono
reciproci, non avendone nessuno più di un altro. Nulla invero è più evidente
del fatto che creature della stessa specie e grado, destinate senza discriminazione
al godimento dei benefici della natura e all’uso delle stesse facoltà, debbono essere
anche uguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione”.
Mentre dunque nello stato
di natura di Hobbes vige la diffidenza tra soggetti vanagloriosi, i patti non
vengono di conseguenza rispettati -anche se stranamente vengono stipulati,
vengono stipulati nella consapevolezza che non saranno rispettati, sarà una
forma di teatro-, e addirittura ognuno è preda dell’altro e ciascuno può
impadronirsi del corpo altrui, lo stato di natura di Locke si presenta come
sostanzialmente pacifico, ognuno provvede alle proprie incombenze, ciascuno
dispone di fatto indisturbato di propri beni, il tutto in una situazione di
eguaglianza formale e sostanziale, dato che nessuno è legittimato a imporsi
sull’altro, non si ravvisano subordinazioni e soggezioni, e ognuno gode senza
discriminazioni dei benefici offerti dalla natura. Più avanti Locke spiegherà
come si formeranno i possessi stabilizzati e a quali condizioni le proprietà
potranno essere considerate legittime -ossia residuando agli altri altrettanto
e altrettanto di buono, ribadendosi così un sostanziale egualitarismo, che
potrà poi essere derogato a condizioni ristrette, sulle quali non mi soffermo
qui-, ma ciò che va sottolineato è che persino la stabilizzazione dei diritti
di proprietà avviene perdurando lo stato di natura, vale a dire prima della
costituzione del governo civile; il quale è ben sì co-condizione della loro
sicurezza, ma non già presupposto della loro costituzione ed esistenza.
Locke richiama Hooker,
per il quale, in quella condizione di eguaglianza, vige un regime di
reciprocità, che si sostanzia nell’obbligo di amarsi l’un l’altro, stante la
norma tecnica che, se voglio essere amato dall’altro, dovrò pur io amare lui.
Lo stato di natura è regolato da una legge di natura, che viene proposta come
frutto della retta ragione e vincolante -confronta di Locke anche gli importanti
“Saggi sulla legge naturale”-, ma l’aspetto rilevante e moderno, che emerge, è
rappresentato dalla circostanza che, nello stato di natura, per Locke la legge
di natura è a implementazione diffusa: “l’esecuzione della legge di
natura in quello stato è affidata nelle mani di ciascuno, per cui ognuno ha il
diritto di punire i trasgressori”, portato questo, a propria volta, del
principio di uguaglianza, ove non v’è superiore preventivo, ma ognuno è posto
al pari giuridico degli altri, sicché ognuno può prendere la legge di natura
nelle proprie mani e applicarla, renderla esecutiva ed effettiva, sempre nel
rispetto di un fondamentale principio di proporzionalità.
A tale proposito, io ho
proposto più volte una formula paradossale, quella dell’antitrust preventivo
sull’uso della forza; vale a dire che, al fine di preservare un simile
stato di libertà e di eguaglianza naturale contro ogni conato di
impossessamento di poteri monopolistici, autoritari e arbitrari, gli individui
potrebbero costituirsi in istituzioni, esattamente volte a prevenire,
quindi dotandosi altresì delle strumentazioni militari adeguate, l’estrinsecazione
di quella pretesa all’impossessamento monopolistico del potere, anche se è
autoevidente l’obiezione, per la quale potrebbero essere proprio le istituzioni
di antitrust preventivo a costituirsi poi in trust monopolistico; ma si
tratta di normali problemi della dialettica e rischi da correre, posto che,
siccome mia idea è che la forza sia risorsa, anzi, pre-risorsa diffusa e non
concentrabile, in quanto insistente per natura e fisiologia in capo a ciascun
individuo, essere umano e persona morale (Mauss), non vedo di cattivo occhio il
fatto che alcuni possano organizzarsi con determinazione per ribadirlo nel
mondo dei fatti materiali, poi chi vivrà vedrà.
Ma voglio ora piuttosto
sottolineare un aspetto particolare della dottrina di Locke a proposito dello
stato di natura, che non mi sembra sufficientemente evidenziato dagli abituali
resoconti: mi riferisco a quando, ormai entrato nell’ordine di idee comunque
della necessità di costituire il governo civile -che per Locke assume i
caratteri formali-sostanziali del Trust, vale a dire di un’istituzione
meramente fiduciaria, prima ancora che caratterizzata nel senso del potere
politico-, e ciò al fine di evitare che lo stato di natura degeneri in stato di
guerra attraverso l’emergere di conflitti incontrollati e ingovernabili -si
noti che Locke duplica le situazioni rispetto al modello hobbeseano: in questo,
stato di natura e stato di guerra si identificano e si sovrappongono, in Locke
stato di natura e stato di guerra sono due condizioni ben distinte, dato che il
primo è perfettamente pacifico, mentre il secondo rappresenta una degenerazione
e una caduta del primo-, Locke precisa che gli uomini, i quali solo con il
proprio consenso possono essere tolti dalla condizione di piena libertà,
eguaglianza e indipendenza dello stato di natura, possono “accordarsi con
altri uomini per associarsi unirsi in una comunità, al fine di vivere gli uni
con gli atri in comodità sicurezza e pace”, ognuno “nel sicuro godimento
della sua proprietà”, possono procedere a ciò anche solo per gruppi:
vale a dire che anche un solo gruppo di uomini può procedere alla costituzione
di una società civile e di un governo, valido esclusivamente per il gruppo
stesso, e non legittimato a imporsi ad altri, i quali non abbiano aderito
volontariamente alla costituzione della società civile, e quindi abbiano
liberamente prescelto di rimanere nello stato di natura.
A me pare che una simile
affermazione sia dirompente sotto almeno un triplice profilo: a) sotto il primo
aspetto, si viene a delineare un’ipotesi di governo del tutto privo del
carattere tradizionale della sovranità, posto che esso vale e opera
esclusivamente per i consenzienti; ma un consenso, così come può essere
prestato, così può essere revocato, ma se io conservo un tale diritto di exit
rispetto all’istituzione, ciò significa che essa stessa è priva del
carattere della supremazia e della sovranità nei miei confronti; b) sotto il
secondo aspetto, affidare la costituzione di un governo civile alla libera
iniziativa di specifici gruppi intenzionati in tal senso, pare abbia parecchio
da dire sulle dimensioni stesse di siffatti “governi civili”, i quali
possono quindi presentare dimensioni estremamente contenute, realizzando al
contempo un notevole pluralismo istituzionale su di un dato territorio;
vale a dire che, sulla base di una tale prospettazione, il territorio
britannico non avrebbe necessariamente dovuto avere un unico governo, ma una
pluralità di governi a costituzione spontanea e ad adesione volontaria, in
libera concorrenza sul territorio; c) infine emerge il profilo, testé lambito, relativo
al fatto che in nessuna sua affermazione Locke impone che tali liberi governi
abbiano carattere territoriale, potrebbe trattarsi quindi anche di
istituzioni a libera adesione, quale che sia l’ubicazione territoriale del
soggetto aderente, il che conferma che su di uno stesso territorio possano
concorrere distinti governi su base personale, il che potrebbe rappresentare,
in Locke, un retaggio del diritto personale medievale; oggi alcuni usano al
riguardo il termine panarchia, al quale io ho opposto quello di agearchia,
vale a dire un dominio non fondato sul territorio.
A tutto questo va
aggiunto che Locke sembra esprimersi piuttosto chiaramente altresì a favore di
un sistema di libere secessioni istituzionali, quando sottolinea che il
diritto di costituire governi vale anche per chi già si trova sotto un governo;
in altri termini, il fatto di vivere attualmente sotto un sovrano, non mi
vincola all’omaggio nei confronti del sovrano stesso, allorché io intenda
esercitare il mio diritto, che mi consegue dalla legge di natura, di costituire
un “mio” governo, un governo al quale io possa aderire sulla base di mie scelte
volontarie.
Ora, tutto ciò ci
presenta un Locke davvero padre di numerosi e notevoli prospettazione che,
nella contemporaneità, pertengono all’anarco-capitalismo, come peraltro notò
già a suo tempo Robert Nozick, il quale però, da cattivo cuoco, rovinò questo
brodo, introducendovi l’assurdo della presenza di un’agenzia dominante, la
quale dia vita di fatto a un golpe, imponendosi anche agli “indipendenti”
-quelli che per Locke scelgono di rimanere allo stato di natura-, usando
come beffardo pretesto che imporre loro lo Stato rappresenterebbe un “risarcimento
in servizi”, vale a dire il servizio-Stato rappresenterebbe il risarcimento
concesso agli indipendenti per avere imposto loro lo Stato (nonché per
sovrammercato un sistema di imposizioni fiscali per mantenere lo Stato loro
imposto in cambio dell’imposizione unilaterale dello Stato, sul presupposto
beffardo che lo Stato sia “un servizio”): e fu lì che iniziò il famoso TSO
imposto a Nozick dai locali psichiatri, dato che l’hanno colto in pieno
vaneggiamento.
Dove invece lo stato di
natura di Locke differisce profondamente dall’anarco-capitalismo? Là dove si
precisa come in esso le relazioni tra gli individui siano totalmente paritarie,
libertarie ed egualitarie, fondate sul principio di reciprocità e sull’amore
(sostanzialmente cristiano, visto il contesto), laddove, salvo resipiscenze, l’anarco-capitalismo
ha sempre rivendicato la legittimità del formarsi della grande dimensione
imprenditoriale e dei monopoli, scomodando al riguardo persino gli scritti più
autorevoli di Alberto Mingardi, senza comprendere che siffatta grande
dimensione di scala e monopolistica consegue immancabilmente alle relazioni
pericolose tra grande capitale e Stato, e non sono mai frutto spontaneo di un
libero mercato imperturbato, nel quale le dimensioni di scala dell’impresa sono
destinate, nella più parte dei casi, a rimanere relativamente modeste, un
sistema di piccole e medie imprese, in cui la grande può pure proporsi, ma
sempre come eccezione concordata con riferimento alla prestazione di
determinati servizi di pubblica utilità in particolare (tesi da me espressa in “Teoria
libertaria dell’impresa pubblica”, 2022).
Per questo preferisco all’anarco-capitalismo
i “socialisti individualisti” del XIX secolo, come l’anarco-individualista Benjamin
Tucker e gli altri; ma alla base di questa distinzione c’è una ragione tecnica
ben precisa, visto che stiamo parlando di Locke: vale a dire il lockean
proviso, per il quale ogni appropriazione deve residuare risorse agli
altri, altrettante e altrettanto buone, mentre l’anarco-capitalismo, nel
suo esprimere in fondo un favor per le grandi appropriazioni
capitalistiche, nega la legittimità del lockean proviso, il che però
significa anche ammettere che persone possano morire di stenti e inedia -in
quanto private della loro quota di risorse naturali, e quindi di moneta-, salvo
assoggettarsi allo sfruttamento del proprio lavoro da parte di altri come
pre-condizione per potere sopravvivere, o salvo graziosa concessione di
beneficenza da parte del ricco verso il povero, il che però bypassa il
problema che “il povero” ha diritto di vivere non per graziosa concessione
del ricco, ma perché Dio gli ha concesso la sua quota di risorse naturali
(dice Locke), indipendentemente dal grazioso parere del ricco; il quale,
peraltro, non vive -sempre come vorrebbe Locke- la carità cristiana come obbligo
giuridico, ma sempre come sua graziosa concessione: il che rende
illegittimo il suo operato anche sotto tale profilo.
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