di Fabio Massimo Nicosia
Oggi si fa un salto di qualità nella nostra riflessione, e non è merito mio, ma del caso, della dea Tuche, che qua i caratteri greci non so come farli.
E infatti io mi sono accostato all'idea di scrivere un libro teologico, senza fretta (dato che ho pubblicato 18 libri, tra molto grossi e piccini, negli ultimi 5 anni, in preda a una trance che mi travolto, per cui Dio si collega direttamente alle mie mani, ed esse cavalcano da sole, fenomeno che mi era già successo nel 1996, quando scrissi a mano una ventina di quadernoni con una sorta di vera e propria scrittura automatica, dato che Dio mi dettò le basi del mio nuovo libertarismo, che mi consentì di allontanarmi dal pur simpatico anarco-capitalismo, con qualcosa di a mio avviso inedito, come inediti son rimasti quei quadernoni, pur fonte mediata dei miei lavori successivi; si, lo so che non ve ne frega un cazzo, ma avevo voglia di dirlo), di tal che mi è capitato tra le mani un libro esplosivo. E infatti, che cosa ha combinato la dea Tuche?
Che siccome il mio modo di intendere la teologia è sincretistico -ripeto, niente New Age, per quanto...-, vale a dire che la filosofia va intesa come il maiale di cui non si butta via niente (mi scuso con vegan e antispecisti), io se penso "teologia" penso ben sì San Paolo, come già dissi, ma penso anche Omero, penso allora all'epistemologo che disse che le teorie scientifiche sono solo dei omerici (Quine), penso a Esiodo alla sua combinazione di teogonia e cosmogonia, ma penso ovviamente, forse anzitutto, a Nietzsche, che tanto mi si ricollega ai greci de plano, epperò capita anche che Nietzsche mi si ricollega, si badi, mentre che parla di tragedia greca, all'arte e anzitutto alla musica, dato che la tragedia viene assegnata ai ritmi musicali e allo spirito musicale in generale.
E così mi accattai "La nascita della tragedia", che mai avevo letto (perché pensavo fosse una menata filologica, che al tempo pensavo non mi interessasse, mentre adesso ho voglia di andare a vedere Euripide al teatro greco di Siracusa, patria di mia mamma, che era di Augusta, ma patria per diana dei primi grandi avvocati, vale a dire Gorgia da Lentini e soci -annotazione: a Lentini è nato un po' dopo anche il volgare e Lentini si chiamava una famiglia di via Brentano, quando a Milano centro c'erano ancora i poveri, almeno fin quando non gli hanno abbattuto le case perché "non a norma", un classico, mentre ora in via Brentano, attenzione... c'è l'Adelphi, poi dice che sono io che vedo le coincidenze.
Vabbé, transeat.
Fatto sta che "La nascita della tragedia", che ostentava il mio compagno di merende del liceo Paolo, mentre io invece successivamente preferii "La genealogia della morale", per evidenti motivi legati al mio essere giurista (e quindi intanto l'Adelphi moltiplica gli utili, mentre ci rimette quando pubblica Severino), presenta una sorta di pre-post-fazione intitolata "Tentativo di autocritica".
Vediamo dunque perché siffatta, per fortuna abbastanza breve, prolusione, è utile assai ai nostri fini di perdigiorno della musica moderna.
Ovvio che Nietzsche, questo baffone che addavenì -ah, un'altra volta vi racconto i nessi tra Zarathustra e Totò-, ci conduce non di rado per i sentieri musicali, con l'aiuto di Woody Allen, che quando sente Wagner gli vien voglia di invadere la Polonia; anch'io vorrei invadere la Polonia, a cagione di una ragazza che..., vabbé non allunghiamo troppo il broed.
E allora in questa pre-post-fazione Nietzsche parla esattamente di Wagner, nominandolo appena, dato che poi Wagner è il destinatario, un po' untuosamente evocato, della prefazione originaria vera e propria.
Insomma, vado proletticamente al dunque per poi tornare indietro: Nietzsche si è rotto il cazzo della musica di Wagner, ben sì perché il barricadero del 1848 (avrà fatto finta una volta) si è inchinato anche lui alla Croce, sto figlio di 'ndrocchia, ma più in generale perché ormai il romanticismo a Nietzsche proprio gli fa scendere bassi i coglioni; ma vedi quando incontri la tua anima gemella?
Anch'io sono portato in questa direzione, sia pure con contraddizioni ed eccezioni, tipo che mi piace Bruckner (Mahler non lo considero in questa discussione, perché lo colloco oltre, alla stessa stregua dei lieder del mitico folle Wolf: si veda il film "La perdizione" di Ken Russell, in cui, oltre a vedere la moglie di Mahler, Alma (Schindler: Alma me lo ricordavo, Schindler sono andato a vedere) sempre in reggicalze e calze nere però un po' troppo moderne per essere verosimili, si vede Mahler che va a trovare Wolf in manicomio, mentre a me in manicomio mi è venuta a trovare solo la radicale Donatella Poretti, oltretutto vestita di tutto punto.
Quindi Mahler è sacro e inviolabile come i due corpi del Re, e non c'entra, ma tutti quei Schubert, Schumann, e Mendelssohn, ma chi se li incula, con tutto quello di bello che c'è da ascoltare! Sì, lo so che anche Schubert ha fatto dei lieder pazzeschi, che Dietrich Fisher-Diskau ci si è fatto la pensione, però "anche basta", come dicono le impiegate aggiornate, vale a dire ferme a quando lo si diceva; ma guarda, vi dirò, proprio per un fatto anzitutto ideologico, ed è esattamente quello che sottolinea il compagno Nietzsche, quel baffone che addavenì: anzitutto, io -che notoriamente non capisco un cazzo, però ascolto musica da quando avevo 8 anni, essendo partito con "Signori capelloni questa serenata voglio a voi cantar" di Don Backy, ok, però poi mi sono fatto un certo maneggio su tutta la storia della musica, quindi parlo ugualmente-, io, dicevo, considero l'800, ossia l'osannato XIX secolo, il punto più basso della storia della musica, e percepisco che Nietzsche sta pensando la stessa cosa: è scontento, è turbato, il romanticismo lo annoia, non è né davvero apollineo, né tampoco dionisiaco, e poi sti minchioni diventano tutti cristiani, perché lì li conduce la loro lagna, il loro rifiuto della vita mondana, il loro puntare a un "dopo" di cui non ce ne fotte una minchia, dato che -dice sempre il compagno baffone- noi vogliamo vivere pienamente qui, perché la metafisica è l'arte, non la morale (io direi però che costruire una morale è a sua volta un'arte, e infatti io sono noto ai cultori come artista-moralista).
E così Nietzsche di fa un po' di storia, ovviamente condita con i suoi abituali ossimori, i suoi abituali paradossi dialettici, che, a differenza di quelli di Hegel, si capisce che cosa vuole dire, mica in sè, per sè, e altre cose inutili.
E quindi la storia è la storia dialettica delle idee greche sull'arte, sul perché della tragedia, sul senso vero della tragedia, se esprime che le cose vanno male o bene, se sono espressione di pessimismo o di ottimismo, basta.
Il punto che mi interessa sottolineare è che, stante la dialettica apollineo/dionisiaco, alla quale ha dato una mazzata pressoché definitivo il cagacazzi Socrate, quello che quando ti incontra in giro per l'agorà a fare la spesa, comincia a romperti i coglioni su "perché sei qui?" "Che senso dai al fatto di essere qui'", ecco, per Nietzsche, siffatto cagacazzi rappresenta la scienza, quell'invenzione astuta che serve a seppellire la verità, mi viene da piangere!
E quindi niente più, nell'ideazione greca, ormai indotta a interrogare e interrogarsi su ogni stronzata della vita, perde il proprio spirito originario, espresso nella figura del satiro, mezzo Dio e mezzo capro, come vorremmo essere tutti.
Ma Socrate per quello l'hanno eliminato, perché rompeva i coglioni a tutti, mica perché introduceva nuovi dei; la sapete quella di Lercio che dice che gli Incas sono stati sterminati perché cagavano il cazzo a tutti con i flauti? Ecco, lo stesso vale per Socrate, il cui merito maggiore, a mio avviso, é di essere venuto dopo i presocratici (inevitabilmente), e quindi avere palesato a tutti il declino in corso della civiltà, che tuttora non si è arrestato da quel momento, ossia dalla prima volta in cui Socrate ha fermato uno per strada per dirgli, "Ma secondo te...", ed è stato lì che sono state inventate le interviste al citofono di Samarcanda.
L'800 è quindi il secolo più basso della storia della musica, cosa del tutto evidente a chi non sia ottenebrato -dato che non mi vorrete paragonare Schubert o Brahms a Guillaume de Machaut, Orlando di Lasso, Gesualdo da Venosa, ma anche Palestrina e Monteverdi, ma per carità-, Wagner rappresenta il macerante dibattersi nel tentativo di uscire dalla prigione spietata di quella mediocrità, anzitutto con il Tristano, capolavoro con pochi uguali, in un certo senso nessuno gli è pari, nemmeno le migliori opere di Mozart, dato che vale il principio del posterior derogat priorem, e tuttavia resta il suo carattere prettamente consumistico; dato che piangi a dirotto la prima volta, soprattutto nel travolgente finale orgasmico, e però... poi non ti viene più voglia di sentirlo, perché nel frattempo è uscito un 45 giri di maggior moda (precisazione: io il "Tristano e Isotta" l'ho visto anche alla Scala, però effettivamente, poi l'ho sentito pochissime volte).
Andiamo quindi verso la sorprendente soluzione del nostro problema, seguendo sempre l'argomentare del nostro Nume tutelare.
La cultura tedesca è caduta, i tedeschi hanno smarrito la loro primazia culturale, proprio a cagione di siffatto romanticismo musicale cristianoide, perché è pessimista e odia la vita, e che comunque, in un modo o nell'altro, finirà inchinato innanzi alla Croce, dopo però che, come gli Incas con i loro flauti, ha rotto i coglioni a tutti.
NON COSI' SONO I GRECI, ci grida il nostro mentore, i greci, fino all'arrivo dei microfoni per strada di Socrate, era gente dionisiaca, che voleva godersi la vita, e la tragedia è espressione di siffatto spirito dionisiaco -anche perché, aggiungo io, la tragedia era anche strumento propagandistico, in vari sensi, e di battaglia politica-.
Se i greci sono l'opposto, nello spirito artistico, dei romantici cagaminchia tedeschi, ai quali pure Wagner si stava accodando -scoop: l'ultimo Verdi è meglio dell'ultimo Wagner, lo so, sembra incredibile, mi sono sorpreso anch'io, ma "ho studiato"-, e allora i greci avrebbero abbandonato il romanticismo tedesco a vantaggio di una musica con il sorriso: e allora, niente romantici, ma irridenti neo-classici, da Strawinsky fino a Zappa, se Nietzsche vuole che musicisti e ascoltatori imparino a ridere.
"La corona di colui che ride, questa corona intrecciata di rose:
io stesso ho posto sul mio capo questa corona - io stesso ho santificato la mia risata. Non ho trovato alcun altro robusto per farlo"
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