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giovedì 2 febbraio 2023

Libertà progressista e libertà delle persone comuni

 di Fabio Massimo Nicosia

Bertrand Russell diceva che speranza nutrita in generale dall’idea liberale era di superare per sempre un giorno la sfera politica e del potere, se, con Schmitt, “politica” è antagonismo di amici contro nemici, e allora, in tal modo, l’ideale liberale sarebbe irenico, come lo era il pacifismo di Russell in generale, ma un tale “liberalismo”, in realtà, è solo una variante dell’anarchismo inteso come utopistica pacificazione degli animi. La verità storica è invece un’altra, ossia che, a differenza che nel modello anarchico di libertà, in quello liberale, il quale pragmaticamente, ma autolesionisticamente, non fa a meno dell’idea di Stato, la libertà è intesa come un gioco a somma zero escludente, i diritti non sono diritti di libertà, ma diritti hohfeldiani, e quindi tentativi di imposizione di obblighi in capo agli altri, e quindi ancora quasi sempre privilegi che richiedono protezione dallo Stato, in nome del consueto stolido motto, per il quale, come detto, “la tua libertà finisce dove inizia la mia”, nel quale l’accento non è sulla parola “libertà”, ma sul termine “finisce”, sicché, in definitiva, il “liberale” è colui il quale si rivolge allo Stato, affinché questo gli garantisca un privilegio, sopprimendo o limitando all’uopo la libertà altrui.

E così questo finisce con il valere tanto per il “liberale di destra”, diciamo il “liberista”, o il “neo-liberista”, quanto per il “liberale di sinistra”, diciamo il “liberal”, salvo che diventano diversi nei due casi i privilegi che si chiede di garantire; perché il destro difenderà il diritto del capitalista di fare qualsiasi cosa in nome di una retorica di comodo della “libertà”, magari raccontare qualsiasi cazzata truffaldina in una pubblicità, o imporre ai prodotti un’obsolescenza programmata con tecniche da criminalità organizzata; mentre il “sinistro” invocherà interventi dello Stato a vantaggio di questa o quella categoria, come insegna tutta la vicenda del DDR Zan, tal per cui il destro difende gli abusi del capitalista, il sinistro difende gli abusi dello Stato a tutela di una malintesa a sua volta libertà come privilegio da intoccabile, a costo della sanzione penale per victimless crimes, quindi destinati a funzionare da reati-pretesto, ossia per eliminare il dissidente o il concorrente come avviene già oggi nelle università americane o a Hollywood.

 

Tutto questo ci consente di tirare la conclusione che quella concezione escludente e a somma zero della libertà, comune a entrambi, finisce con il diminuire la quota complessiva di libertà nella società, invece che incrementarla. La gravità di questa situazione aumenta, ove si consideri che i portatori di queste ideologie, per qualche strana non ben comprensibile ragione, hanno un’immensa considerazione di se stessi, si sentono superiori agli altri senza motivo, da qui il fenomeno che ho chiamato dei “semicolti”, mentre i contrapposti a loro sarebbero immancabilmente “populisti” e “analfabeti funzionali”. Il semicolto oggi è progressista, “liberale” proprio nell’accezione di Nietzsche dello “stupido informato” –l’analisi dell’industria culturale di Horkheimer e Adorno va quindi ampiamente revisionata-, e si alza l’asticella dello standard di riferimento, che è quello dei mass-media in voga, ma anche delle riviste di settore; perché, in quanto “istruito”, è anche più permeabile alle nuove e riprodotte “istruzioni”, che il sistema del grande capitale liberal e tecnologico vuole e pretende; il semicolto rappresenta la versione volgare dell’illuminista (si sente il tribunale della storia senza la dovuta autorevolezza), volgarizzandone altresì il carattere “totalitario”, per cui si cristallizza la verità in quella ufficialmente riconosciuta; e allora “totalitario” va inteso anche nell’accezione bassa di “autoritario”, per cui facilmente si accompagnano con favore i sempre nuovi obblighi “liberali”, morali, ma qualche volta anche giuridici, che vietano rigorosamente di andare al di sotto di quello standard –per cui il plebeo viene pasolinianamente omologato, costretto a “innalzarsi” al livello semicolto, dimodoché la stessa comunicazione interpersonale diviene totalmente standardizzata-; il che però, alla prova dei fatti, si rivela un modo per vietare anche ciò che si innalza davvero rispetto a esso; per cui, ad esempio, per stare all’attualità, l’educazione civica “innalza” (rectius: contamina) il già “plebeo”, ma finisce con il vietare il diritto costituzionale, per non parlare della filosofia del diritto, e la sussunzione sociale avviene in nome dell’educazione civica e non del diritto costituzionale, e men che meno della filosofia del diritto. Si dà vita così al “liberalismo dell’obbligo”, nel quale l’essere liberale, “progressista” e politicamente corretto diventa un must, e chi non si ritiene tale diventa puramente e semplicemente passibile di sanzioni, per “mancato rispetto delle regole”, persino sanzioni di carattere penale; e tutta la vicenda pandemica è stata condotta su questo tono, per il quale i sostenitori delle misure restrittive, i quali confondevano le proprie conformiste opinioni con la “scienza”, erano quelli intelligenti, mentre i contrari erano ricondotti alla categoria del popolo ignorante e “di destra”, “fascista” e “no vax”. Viviamo tempi davvero strani, nei quali la figura del “liberale” cessa di essere accostata alla figura dell’illuminato tollerante, per rappresentare una nuova figura di dogmatico, addirittura sinceramente convinto di essere sempre e comunque dalla parte della “ragione”, in tutte le accezioni, fino a giungere a invocare la versione fake del cosiddetto “Paradosso di Popper”, al solo scopo di tacitare i dissenzienti, di invocare abolizioni del suffragio universale e “vincoli esterni”, finalizzati a impedire ai “populisti” di vincere le elezioni: questi sono il liberale e il radicale che conosciamo oggi quotidianamente attraverso i social networks, vale a dire puri portaborse, a volte consapevoli, a volte nemmeno consapevoli fino in fondo, di questo sistema ripugnante.

 

Allo stesso modo, a indebolire in quanto vincente tale aspetto “progressista” della sinistra ha contribuito la precoce messa in crisi dell’approccio laicista -quello per cui i bambini si possono fabbricare e comprare, strappandoli alla puerpera, tanto per fare un esempio a caso, e questo sarebbe “diritto” e “valore”-, a vantaggio di nuove ispirazioni sacre e mistiche, ben sì “conservatrici” assai di elementi del lontano passato, eppure percepite da sempre più persone come più pregnanti di quanto non sia il confidare nel progresso della scienza e della tecnica, in quanto strumenti di dominio nelle mani di troppo pochi con troppo pochi scrupoli; con la conseguenza che, oggi, a differenza di quanto poteva accadere qualche decennio fa, in un confronto pubblico tra un non credente e un credente, a fare la figura della pochezza culturale e intellettuale è più spesso l’ateo che non il religioso.

Più semplicemente, questo progressismo laico europeista si sta specializzando nella strana istituzione della concessione a tutti i costi di diritti non richiesti, dato che insistere tanto, per fare un esempio, sull’adozione gay, che riguarderà un cittadino su centomila, alimenti sospetti nel cittadino comune, allo stesso modo di come lascia interdetti -non appaia offensivo il paragone- l’autorizzazione europea a nutrirsi di insetti come se fossimo in un luogo dove non si trova di meglio; sicché, si finge di non capire che, anche in termini di logica deontica, un’autorizzazione può celare un’imposizione, quando l’autorizzazione non sia richiesta da un cittadino o da una comunità, ma provenga unilateralmente da un’iniziativa propria dell’autorità, ossia quando essa ha interesse a ciò per motivazioni sue proprie, corrispondenti a determinate sue “agende”, e non il cittadino o la comunità, che vengono “incentivati” a fare uso dell’autorizzazione non richiesta!

Ecco, la sinistra di oggi simboleggia al meglio tale modo di intendere il “diritto di libertà” della persona, ossia qualcosa che talora si rivela come intrinsecamente sgradevole per il senso comune, che si sente inutilmente sfidato, con insistenza, nei propri valori, quando poi si coglie ogni pretesto per colpire i diritti di libertà veri, libertà non di ristrette minoranze, ma della persona comune, come nel caso dell’emergenza covid, allorché il non dotato di green pass non poteva attendere alle funzioni minimali della vita, in nome ancora una volta di un qualche “bene comune” superiore, sbandierato sempre con poca sagacia da questa nuova versione della sinistra.

Si badi che, in questi casi, ci troviamo di fronte a una situazione molto diversa da quella tradizionale, nella quale ci si sforzava semplicemente di eliminare discriminazioni in danno di una minoranza: ci troviamo infatti davanti a situazioni che vengono vissute, a torto o a ragione, come imposizioni della minoranza sulla maggioranza, e tutti i discorsi sui “nuovi diritti” vengono percepiti come discorsi su “nuovi privilegi”, spesso privilegi stravaganti, come nel caso del maschio che si autocertifichi “femmina”; sicché gli “strani” poi diventano gli altri, che si sentono a disagio di fronte a tale autocertificazione, che spesso suona anche, all’orecchio della persona comune, come vera e propria presa per il culo.

Sfugge a questa sinistra neo-secolarizzata dell’indifferentismo ai valori, e quindi tendenzialmente nichilista, in cui Nietzsche (un Nietzsche volgare, evidentemente) ha preso il posto di Marx (altrettanto fin qui volgarizzato), tal per cui l’insistenza sui diritti del transgender convive con l’esportazione di armi e il relativismo quanto all’omicidio di massa, per cui Sofri esalta il bombardamento di Sarajevo, che molte persone intendono invece come propria “libertà” quella di seguire i valori tradizionali e concretamente le tradizioni, per la semplice e banale ragione che provano piacere nel seguire le tradizioni, laddove oggi la libertà viene intesa, non come diritto a seguire le proprie preferenze non aggressive quali che esse siano, ma esclusivamente come libertà di trasgredire pubblicamente ai costumi vigenti, ossia una libertà che interessa relativamente solo a poche persone, che però divengono privilegiate nella comunicazione pubblica, con un eccesso di esposizione che finisce con il disturbare i più.

E così, il giovane ormai quasi universalmente ateo di Tik Tok addita al disprezzo e alla irrisione persone del tutto innocue, tal per cui non è più la vecchia beghina a produrre esternalità negative, ossia repressione, sul laicizzato, ma si verifica esattamente il contrario, ossia che si rivela il laicizzato l’oppressore sulla vecchia beghina, ammesso che ne esistano ancora secondo il vecchio idealtipo: ed ecco allora spiegato perché non di rado abbiamo l’impressione che “destra” e “sinistra”, oggi, si vadano scambiando di ruolo, non perché la “destra”, o "la Meloni”, possano vantare chissà quali meriti (salvo un approccio meno demente alla questione della pandemenza), ma perché è ormai la sinistra a essere ricolma di demeriti. Qui emerge nuovamente il problema dello Stato, dato che tali scelte passano per via legislativa, vale a dire in modo coattivamente indivisibile sul popolo tutto, senza che nessuno vi si possa sottrarre dato che, come si sa, “la legge è uguale per tutti”: fosse anche la legge più assurda, “è uguale per tutti” e non v’è scampo per nessuno.

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