di Fabio Massimo Nicosia
Bertrand Russell diceva che speranza nutrita in generale dall’idea liberale era di superare per sempre un giorno la sfera politica e del potere, se, con Schmitt, “politica” è antagonismo di amici contro nemici, e allora, in tal modo, l’ideale liberale sarebbe irenico, come lo era il pacifismo di Russell in generale, ma un tale “liberalismo”, in realtà, è solo una variante dell’anarchismo inteso come utopistica pacificazione degli animi. La verità storica è invece un’altra, ossia che, a differenza che nel modello anarchico di libertà, in quello liberale, il quale pragmaticamente, ma autolesionisticamente, non fa a meno dell’idea di Stato, la libertà è intesa come un gioco a somma zero escludente, i diritti non sono diritti di libertà, ma diritti hohfeldiani, e quindi tentativi di imposizione di obblighi in capo agli altri, e quindi ancora quasi sempre privilegi che richiedono protezione dallo Stato, in nome del consueto stolido motto, per il quale, come detto, “la tua libertà finisce dove inizia la mia”, nel quale l’accento non è sulla parola “libertà”, ma sul termine “finisce”, sicché, in definitiva, il “liberale” è colui il quale si rivolge allo Stato, affinché questo gli garantisca un privilegio, sopprimendo o limitando all’uopo la libertà altrui.