di Fabio Massimo Nicosia
Così come nell’astratta concorrenza perfetta il profitto è pari a zero, nella fase suprema della concorrenza monetaria, non solo è zero il signoraggio, ma è la stessa moneta come concetto separato a estinguersi, dato che, con la digitalizzazione, nemmeno v’è ragione che sussista un “concetto monetario” separato da qualsiasi tipo di merce, servizio e bene in generale, ognuno potendo svolgere pari funzione, superandosi così concettualmente la distinzione stessa tra baratto e scambio monetario. Un passaggio intermedio in tale percorso può essere rappresentato dall’uso monetario dei “dati personali”, i quali rappresentano “libero conio” nel senso però anche di moneta infinitamente riproducibile, tant’è che non determinano rivalità nel consumo e nel possesso, e quindi più multinazionali o Stati possono detenere i tuoi “dati”, aventi valore economico, quindi siamo di fronte a un’ipotesi di “moneta condivisa” in quanto common immateriale e virtuale, attraverso la quale pagare alcuni servizi, ad esempio usufruire di Google o Facebook “senza (apparentemente) pagare”; d’altra parte, tu puoi usare a tua volta i tuoi dati per pagare un servizio infinite volte sempre con gli stessi dati, o dati che si rinnovano di continuo attraverso la navigazione: si noti che i dati sono forse l’unica moneta che nasce senza signoraggio incorporato, per quanto poi, nell’attuale sistema del capitalismo della sorveglianza, essi vengono appropriati dal capitalista, e quindi viene loro assegnato un valore di signoraggio, non da te che li hai “emessi”, ma dal capitalista -o dal sistema dello Stato-, il quale se ne appropria.
Un esempio ancora più nuovo rispetto a quello dei dati, per individuare un bene digitale prezioso è rappresentato dai Non-Fungible Token (NFT), ossia raffigurazioni, che l’autore può riprodurre a piacere e cedere quante volte ritenga, ogni volta pezzo unico e riproduzione a un tempo, il che fa immediatamente venire in mente Benjamin e la sua riflessione attorno alla riproduzione tecnica dell’opera d’arte; senonché qui il discorso di Benjamin va ulteriormente attualizzato ed esteso, dato che, con l’affermarsi dell’economia virtuale e del virtuale, la tematica della riproduzione in assenza di rivalità nel consumo si generalizza e diviene strutturale, giacché tale riproduzione è potenzialmente infinita, così come del resto è potenzialmente infinita la riproduzione del film, del quale allora Benjamin si occupò.
A questo punto, il carattere strutturalmente e “materialmente” infinito dell’economia del virtuale non costituisce un semplice vulnus, ma comporta un salto di paradigma, e quindi una “rivoluzione scientifica”, rispetto al tempo, ossia ieri, quando si riteneva, con Robbins e Mises, che il proprium dell’economico, e quindi però anche del monetario, fosse la scarsità o la limitazione.
Ora, se in effetti il numero dei frullatori e delle corde per tapparelle può essere “limitato” (non necessariamente “scarso”), il numero dei dati personali, dei file dei computer, e tutto quanto concerne il mondo del virtuale e dell'immateriale è invece infinito, e quindi non è possibile applicare le nozioni dell’economia della scarsità a un ambito in cui l’abbondanza è connaturata al bene considerato; sicché al riguardo parrebbero vigere, semmai, principi keynesiani, più che non liberali classici, ma ciò al di là di ogni asfittica polemica statalisti/antistatalisti, dato che lo “statalismo” di Keynes va considerato contingente e pragmatico, e non coessenziale alla sua dottrina; considerato altresì che lo Stato stesso, a ben vedere, è istituzione della contingenza -qualcuno potrebbe sostenere che un monopolio coercitivo di tal genere è solo un prodotto storico transeunte, tanto più data la sua distanza dal “diritto naturale”, il quale invece assegna la forza a ciascuno degli uomini, e non certo solo a un simile artefatto istituzionale-, dal che deriva che si possano utilizzare nozioni desunte dall’armamentario keynesiano, o addirittura statalista, lasciando però al contempo da un canto lo Stato; dato che Keynes si trovava di fronte lo strumento-Stato e usava quello, ma avrebbe potuto usare qualsiasi altro strumento, idoneo a effettuare scelte deliberate, allo stesso scopo; di tal che qualcuno potrebbe sostenere che possa esistere un keynesismo antistatalista o a-statalista, e ad esempio potrebbe definire “keynesiani” i miei common trust, che pure sono concettualmente l’opposto dello Stato, solo in quanto loro proposito è di favorire deliberatamente un’economia dell’abbondanza e non della scarsità, la quale, parlando di beni virtuali, è intrinseca alla natura dei beni in sé.
Ora, una volta che si sia entrati nell’economia dell’immateriale e del virtuale, le cui risorse sono appunto infinite, cambiano totalmente i paradigmi della teoria economica, che deve subire la metamorfosi di una teoria, fondata sul concetto di scarsità, che deve evolversi in una teoria fondata sul concetto di infinito: occorre dunque definire uno statuto economico del bene potenzialmente infinito, risultando inadeguate all’uopo le teorie tradizionali del bene economico, e questo ha a che fare con il concetto benjaminiano di riproducibilità tecnica; la prima rilevante conseguenza è n materia monetaria, dato che ogni tentativo di limitare aprioristicamente la moneta virtuale, trattandola da bene materiale, diventa intrinsecamente patologico, in quanto “contro natura”, dato che se la risorsa che compone la moneta-merce dell’oggi, ossia il bit, è infinita, non si comprende come si possano porre limiti a una moneta che la natura consente essere infinita; così come se per moneta si utilizzassero granelli di sabbia, e poi si imponesse o pretendesse che i granelli di sabbia utilizzabili debbano essere “pochi”, e non invece tanti quanto servano all’occorrenza o in base alle esigenze di fatto. Del resto, tutti i beni virtuali sono potenzialmente infiniti, ad esempio i file e le mail; e allora, ipotizzando che a ogni file e a ogni mail corrisponda un “lavoro” da compensare, posti come infiniti file e mail, infinito sarà necessariamente altresì il denaro necessario a compensarle.
D’altra parte, per Benjamin, la riproduzione tecnica tendenzialmente infinita dell’opera d’arte è “democratica e antifascista”, vale a dire che avvicina le masse all’opera d’arte, rendendola fruibile al di là dell’osservazione esclusiva, così come avveniva in passato con i dipinti o le arti plastiche. Ecco, allo stesso modo la moneta potenzialmente infinita, tanto più se di libero conio, assolve le stesse esigenze, dato che la moneta diviene “democratica” e a portata di tutti, di tal che non può venire aprioristicamente contingentata, come vorrebbero i rothbardiani; dato che ogni concorrente nel libero conio si conduce da aspirante monopolista, e quindi tiene in canna la possibilità di esplodere colpi di conio senza limiti preventivati, salvo che poi sarà la domanda del mercato a lasciare nella canna una certa dose di colpi di moneta potenziale e non coniata, come avviene oggi con le criptovalute.
Più precisamente, non deve più dirsi che il denaro è l’unico bene in grado di essere scambiato con qualsiasi altro, quanto piuttosto che ogni bene che può essere scambiato con qualsiasi altro è moneta, quindi qualsiasi bene che sul mercato ha valore è moneta; e se questo è stato sempre vero nella teoria, oggi, attraverso la smaterializzazione e virtualizzazione informatica del bene, diventa perfettamente vero anche nella pratica, data la sua infinita quotizzabilità e divisibilità virtuale; ogni bene nel senso più lato, e quindi anche ogni servizio. E infatti noi vediamo come Josiah Warren proponesse in pratica un baratto virtuale tra differenti lavori, ogni attività lavorativa futura diventa moneta, con l’aggiunta che io posso pagare anche con un buono di lavoro altrui e non solo mio, buono altrui che io abbia conseguito lavorando per quel terzo, e ne sia stato compensato con un buono incorporante lavoro futuro di lui, o avendogli versato io un buono di lavoro futuro mio, al quale lui abbia corrisposto con pari moneta di sua emissione. Ma che il baratto sia il nostro futuro lo si evince da numerosi indizi, perché se tu, impresa, prendi i miei dati per pagarmi il servizio, ciò vuol dire che sono io a finanziartelo, e quindi non sono tenuto a pagartelo, e il baratto è dati-servizi: allo stesso modo, se io sostengo che tu, impresa che fai uso massivo del demanio, devi pagarmi la mia quota di demanio-capitale fisso dell’impresa, e quindi io sono socio dell’impresa che utilizza il capitale fisso di cui io sono “comunista”, e allora anche qui si insinua il baratto tra, da un lato, la mia autorizzazione all’uso del demanio da parte tua, e la fornitura del servizio in mio favore da parte dell’impresa: se ognuno è comunista del demanio, ognuno paga per il suo uso (limitatamente al fine di lucro) e ne viene pagato per l’uso da parte di altri, e anche questa è partita di giro, e quindi anche questo è baratto, per quanto vi possano essere dei saldi di eccedenza da versare, che però potranno essere anche saldi reputazionali.
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