di Fabio Massimo Nicosia
Idealmente, nel gioco di una squadra, l’interesse individuale e quello collettivo della squadra combaciano perfettamente, dato che ideale sarebbe che ogni giocata individuale fosse la migliore possibile nell’interesse condiviso, e quindi anche nell’interesse di chi effettua la giocata; tuttavia, nel caso ad esempio in cui un buon giocatore giochi in una squadra scadente, egli può ben essere tentato da agire da free rider, e quindi mirare a porsi in luce individualmente con giocate personali, avendo egli stesso scarsa fiducia nei compagni, e quindi smarrendo, in quanto difficilmente perseguibile, l’interesse collettivo e condiviso (vincere), per perseguire deliberatamente esclusivamente il proprio. Di regola, tuttavia, in una squadra i giocatori hanno tutti lo stesso interesse, ossia che la squadra vinca, e quindi è fisiologico, almeno idealmente, che ognuno, perseguendo il proprio interesse, persegua quello collettivo, e viceversa, votandosi generosamente alla squadra, stia perseguendo l’interesse proprio: ma non mi stanco di sottolineare il fatto che tale coincidenza degli interessi, individuale e collettivo, consegue al carattere agonistico della vicenda, ossia al fatto di contrapporsi a un interesse egoistico-collettivo altrui, ossia dell’altra squadra.
Si tratta, in generale, del paradosso insito nell’idea
stessa del contratto sociale, la quale si propone di fare nascere lo Stato dal “mercato”,
ossia da una libera negoziazione, ma con la contraddizione logica che questo
mercato, che contratta, contratta poi in realtà costretto nel Letto di Procuste
che il suo esito ha da essere la precostituita costituzione di un collettivo
monopolistico, in cui tutti siano coartati a forza a stare dalla stessa
parte senza controparte -dato che il governante diventa loro
“rappresentante”, e non loro controparte-, quando i liberi contratti , se sono
tali, dovrebbero dare vita a una pluralità di opzioni in concorrenza, e non a
un’unica opzione obbligata, ossia quella del collettivo mononopolistico
statuale, che quindi risulta soluzione inefficiente fin dalle fondamenta, dato
che la sua costituzione non ha lasciato le persone libere davvero di esprimere
le loro preferenze: vero che esse hanno negoziato, ma, nella dottrina del contratto
sociale, esse a) erano tenute a negoziare; b) erano tenute a negoziare
la costituzione di un monopolio, essendo vietata dal “gioco” qualsiasi
altra opzione, sicché sono state premiate solo preferenze subordinate,
non mai la prima, ma nemmeno la preferenza di riserva, ossia quella che
tu puoi esercitare quantomeno, in una libera negoziazione; vale a dire
che si tratta di una falsa negoziazione, trattandosi in realtà dell’adempimento
a un imperativo, salvo poi verificare empiricamente donde scaturisca e da
parte di chi tale imperativo; tant’è vero che lo stesso Robert Nozick, il quale
pure passa per “libertario”, si è visto costretto a introdurre un elemento coattivo
e non contrattuale, non riconducibile a effettive dinamiche di mercato, per
giungere alla costituzione del suo cosiddetto Stato minimo, il classico esito delle
buone intenzioni, delle quali sono lastricate le vie dell’inferno, dato che
tale “Stato minimo”, che si vorrebbe esito di mercato, rappresenta in realtà
una vera e propria imposizione dell’agenzia dominante. In
definitiva, il concetto di “interesse collettivo, comune, della squadra”
funziona perché la squadra è come un individuo, sicché il bene della squadra,
anche se collettivo di un gruppo, a ben vedere è un bene individuale del gruppo,
che vive fisiologicamente in quanto contrapposto e agonistico rispetto
all’interesse di altri individui, ossia di altre squadre e di altri gruppi,
in un contesto, si badi, a somma zero, in cui l’interesse di una squadra si
contrappone, senza potere in linea di massima cooperare, con quello di altre
squadre: come si vede, le condizioni perché si possa parlare davvero di bene
comune sono alquanto ristrette, al punto di frastagliare il bene comune in una
pluralità di beni collettivi, non solo distinti, ma irriducibili e antagonisti,
pena la ricaduta in concezioni totalitarie, che possono trovare antidoto solo
se si tratta di un totalitarismo del tutto ideale e collocato a un meta-livello
da ognuno liberamente attingibile, tal per cui al totalitarismo dell’idea
suprema condivisa corrisponda la piena e perfetta libertà di ciascuno dei
singoli individui.
Conferma di quanto vado dicendo si trova
in una scena del film “A beautiful mind”, biografia di uno dei padri della
teoria dei giochi Johnny Nash, nella quale Nash si trova in un pub con gli
amici, e all’ingresso nel locale di un gruppo di ragazze, una delle quali è più
bella delle altre, immagina che sarebbe strategia più efficiente, non quella di
buttarsi tutti a corteggiare la più bella, entrando in una competizione che
avrebbe visto dei perdenti, ma di orientarsi nella direzione delle meno belle,
avendo così ognuno maggiori chance di successo, non dovendo subire la
concorrenza dell’altro: secondo il Nash cinematografico, ci troveremmo di fronte
a una logica di “dinamiche dominanti”, tal per cui si perseguirebbe meglio l’interesse
individuale, perseguendo quello del gruppo, e quindi in tal modo avremmo una
soluzione più efficiente attraverso tale cooperazione e accordo preliminare tra
i maschi, che non agendo individualmente, sicché secondo sempre il Nash
cinematografico la geniale proposta sarebbe migliorativa rispetto ad Adam
Smith, tant’è che poi Nash ha ottenuto pure il Premio Nobel, pur dopo decenni
di traversie mentali, anche se non esattamente per quanto illustrato in questa
scena. In realtà, qui, il ragionamento di Nash (o almeno di quello interpretato
nel film) è parecchio traballante sotto diversi profili, che fanno sì che la
sua soluzione sia tutt’altro che ottimale; noto infatti quantomeno questi
profili: a) anzitutto qui la cooperazione e il cartello si costituiscono, come
nel discorso che ho svolto sopra, tra alcune persone, le quali costituiscono un
gruppo antagonistico, i maschi, e la cooperazione e il cartello non
includono le femmine; quindi è un fuor d’opera vantare l’ottimalità della
cooperazione, quando qui si coopera per “combattere”; e infatti Nash si nutriva
della cultura militare della RAND, com’è noto, ossia un gruppo di ricerca di
strategie militari: la cooperazione di Nash è qui la cooperazione tra soldati
per combattere contro altri soldati, non la cooperazione universale tra gli esseri
umani; b) Non si comprende in che senso una simile proposta sarebbe in grado di
“superare Adam Smith” in quanto “incompleto”: Smith si limita ad affermare che,
in un mercato aperto, quindi non in una gara d’asta tra quattro persone in
competizione, la quale, a differenza di un mercato aperto, consiste in un gioco
a somma zero, perseguire ognuno al meglio il proprio interesse personale
conduce a un ottimale equilibrio generale e, quindi, al bene comune; ma non
dice affatto che perseguire il proprio interesse personale debba consistere in
strategie ottusamente egotistiche e solipsistiche, dato che i famosi birraio,
macellaio e fornaio, se vogliono conseguire utile, dovranno pur soddisfare le
esigenze del cliente, non rapinarlo e defraudarlo; dato che non di questo si
compone la “mano invisibile” smithiana, ma esattamente della convergenza ideale
tra azioni cooperative, sicché l’”interesse personale” di questi commercianti incorpora,
dal punto di vista di Smith, l’elemento cooperativo, dato che non opera qui un
principio di scarsità dell'offerta rispetto alla domanda, tal per cui, come
nell’esempio del Nash cinematografico, birraio, macellaio e fornaio si debbano
fare la guerra tra loro, eventualità che trovi rimedio in un cartello tra
birraio, macellaio e fornaio, al fine di definire insieme le strategie
migliori; c) Infine, l’esito del cartello di Nash è qui ampiamente subottimale,
dato che -rimanendo nella logica maschilista dell’esempio- la donna più
bella resta da sola, e trovano partner solo le brutte o meno belle:
sicché al cartello “cooperativo” maschile, cartello di pusillanimi e castrati, corrisponde
la frantumazione della solidarietà femminile, fino al sacrificio della donna
migliore, per quanto ella potrà trovare soddisfazione altrove; ma nemmeno
la troverà se tutti i maschi che incontra ragioneranno come l’impotente Nash,
il quale pensa così solo perché teme di
non essere in grado di approcciare la donna troppo bella, e allora cerca di
convincere anche gli amici a fare altrettanto, accontentandosi tutti quanti
delle brutte! Insomma, la solidarietà di gruppo come inno alla mediocrità e
apologia sua, sicché qui il gruppo di Nash pare finalizzato a tarpare le ali al
migliore del gruppo, il quale fosse invece in grado di approcciare la bella con
successo: ne consegue che risulta confermato che “fare l’interesse del
gruppo” significa sacrificare i migliori, in questo caso il maschio
migliore e la femmina migliore, e “perseguire meglio l’interesse individuale”,
perseguendo quello del gruppo, significa perseguire al meglio l’interesse individuale
dei mediocri.
Nessun commento:
Posta un commento