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domenica 15 maggio 2022

Interesse collettivo, falsa negoziazione del contratto sociale e sacrificio dei migliori

 di Fabio Massimo Nicosia

Idealmente, nel gioco di una squadra, l’interesse individuale e quello collettivo della squadra combaciano perfettamente, dato che ideale sarebbe che ogni giocata individuale fosse la migliore possibile nell’interesse condiviso, e quindi anche nell’interesse di chi effettua la giocata; tuttavia, nel caso ad esempio in cui un buon giocatore giochi in una squadra scadente, egli può ben essere tentato da agire da free rider, e quindi mirare a porsi in luce individualmente con giocate personali, avendo egli stesso scarsa fiducia nei compagni, e quindi smarrendo, in quanto difficilmente perseguibile, l’interesse collettivo e condiviso (vincere), per perseguire deliberatamente esclusivamente il proprio. Di regola, tuttavia, in una squadra i giocatori hanno tutti lo stesso interesse, ossia che la squadra vinca, e quindi è fisiologico, almeno idealmente, che ognuno, perseguendo il proprio interesse, persegua quello collettivo, e viceversa, votandosi generosamente alla squadra, stia perseguendo l’interesse proprio: ma non mi stanco di sottolineare il fatto che tale coincidenza degli interessi, individuale e collettivo, consegue al carattere agonistico della vicenda, ossia al fatto di contrapporsi a un interesse egoistico-collettivo altrui, ossia dell’altra squadra.

 Ai nostri fini, merita infatti di essere sottolineato che tale coincidenza tra interesse privato e interesse collettivo, ossia quello della squadra, tende a smarrirsi quando i componenti di un collettivo non si contrappongono a un altro interesse collettivo -si pensi alla dialettica classica sindacato dei lavoratori/sindacato dei datori di lavoro- ma sono tutti dalla stessa parte, idealmente in assenza di antagonisti, dato che l’antagonismo si viene in tal caso a creare ed emerge all’interno del collettivo, stante l’individualismo ontologico, per il quale il collettivo è a sua volta costituito da singoli individui, ognuno dei quali è portatore fisiologicamente di un interesse individuale proprio, distinto da quello degli altri membri del collettivo; e allora si determinano conflitti entro il collettivo, che saranno gestibili in quanto vi siano buone regole sulla gestione dei conflitti endocollettivi, ovvero ancora se il collettivo è nutrito da un collante particolarmente forte, in grado di prevenire i dilemmi del prigioniero.

 

Si tratta, in generale, del paradosso insito nell’idea stessa del contratto sociale, la quale si propone di fare nascere lo Stato dal “mercato”, ossia da una libera negoziazione, ma con la contraddizione logica che questo mercato, che contratta, contratta poi in realtà costretto nel Letto di Procuste che il suo esito ha da essere la precostituita costituzione di un collettivo monopolistico, in cui tutti siano coartati a forza a stare dalla stessa parte senza controparte -dato che il governante diventa loro “rappresentante”, e non loro controparte-, quando i liberi contratti , se sono tali, dovrebbero dare vita a una pluralità di opzioni in concorrenza, e non a un’unica opzione obbligata, ossia quella del collettivo mononopolistico statuale, che quindi risulta soluzione inefficiente fin dalle fondamenta, dato che la sua costituzione non ha lasciato le persone libere davvero di esprimere le loro preferenze: vero che esse hanno negoziato, ma, nella dottrina del contratto sociale, esse a) erano tenute a negoziare; b) erano tenute a negoziare la costituzione di un monopolio, essendo vietata dal “gioco” qualsiasi altra opzione, sicché sono state premiate solo preferenze subordinate, non mai la prima, ma nemmeno la preferenza di riserva, ossia quella che tu puoi esercitare quantomeno, in una libera negoziazione; vale a dire che si tratta di una falsa negoziazione, trattandosi in realtà dell’adempimento a un imperativo, salvo poi verificare empiricamente donde scaturisca e da parte di chi tale imperativo; tant’è vero che lo stesso Robert Nozick, il quale pure passa per “libertario”, si è visto costretto a introdurre un elemento coattivo e non contrattuale, non riconducibile a effettive dinamiche di mercato, per giungere alla costituzione del suo cosiddetto Stato minimo, il classico esito delle buone intenzioni, delle quali sono lastricate le vie dell’inferno, dato che tale “Stato minimo”, che si vorrebbe esito di mercato, rappresenta in realtà una vera e propria imposizione dell’agenzia dominante. In definitiva, il concetto di “interesse collettivo, comune, della squadra” funziona perché la squadra è come un individuo, sicché il bene della squadra, anche se collettivo di un gruppo, a ben vedere è un bene individuale del gruppo, che vive fisiologicamente in quanto contrapposto e agonistico rispetto all’interesse di altri individui, ossia di altre squadre e di altri gruppi, in un contesto, si badi, a somma zero, in cui l’interesse di una squadra si contrappone, senza potere in linea di massima cooperare, con quello di altre squadre: come si vede, le condizioni perché si possa parlare davvero di bene comune sono alquanto ristrette, al punto di frastagliare il bene comune in una pluralità di beni collettivi, non solo distinti, ma irriducibili e antagonisti, pena la ricaduta in concezioni totalitarie, che possono trovare antidoto solo se si tratta di un totalitarismo del tutto ideale e collocato a un meta-livello da ognuno liberamente attingibile, tal per cui al totalitarismo dell’idea suprema condivisa corrisponda la piena e perfetta libertà di ciascuno dei singoli individui.

Conferma di quanto vado dicendo si trova in una scena del film “A beautiful mind”, biografia di uno dei padri della teoria dei giochi Johnny Nash, nella quale Nash si trova in un pub con gli amici, e all’ingresso nel locale di un gruppo di ragazze, una delle quali è più bella delle altre, immagina che sarebbe strategia più efficiente, non quella di buttarsi tutti a corteggiare la più bella, entrando in una competizione che avrebbe visto dei perdenti, ma di orientarsi nella direzione delle meno belle, avendo così ognuno maggiori chance di successo, non dovendo subire la concorrenza dell’altro: secondo il Nash cinematografico, ci troveremmo di fronte a una logica di “dinamiche dominanti”, tal per cui si perseguirebbe meglio l’interesse individuale, perseguendo quello del gruppo, e quindi in tal modo avremmo una soluzione più efficiente attraverso tale cooperazione e accordo preliminare tra i maschi, che non agendo individualmente, sicché secondo sempre il Nash cinematografico la geniale proposta sarebbe migliorativa rispetto ad Adam Smith, tant’è che poi Nash ha ottenuto pure il Premio Nobel, pur dopo decenni di traversie mentali, anche se non esattamente per quanto illustrato in questa scena. In realtà, qui, il ragionamento di Nash (o almeno di quello interpretato nel film) è parecchio traballante sotto diversi profili, che fanno sì che la sua soluzione sia tutt’altro che ottimale; noto infatti quantomeno questi profili: a) anzitutto qui la cooperazione e il cartello si costituiscono, come nel discorso che ho svolto sopra, tra alcune persone, le quali costituiscono un gruppo antagonistico, i maschi, e la cooperazione e il cartello non includono le femmine; quindi è un fuor d’opera vantare l’ottimalità della cooperazione, quando qui si coopera per “combattere”; e infatti Nash si nutriva della cultura militare della RAND, com’è noto, ossia un gruppo di ricerca di strategie militari: la cooperazione di Nash è qui la cooperazione tra soldati per combattere contro altri soldati, non la cooperazione universale tra gli esseri umani; b) Non si comprende in che senso una simile proposta sarebbe in grado di “superare Adam Smith” in quanto “incompleto”: Smith si limita ad affermare che, in un mercato aperto, quindi non in una gara d’asta tra quattro persone in competizione, la quale, a differenza di un mercato aperto, consiste in un gioco a somma zero, perseguire ognuno al meglio il proprio interesse personale conduce a un ottimale equilibrio generale e, quindi, al bene comune; ma non dice affatto che perseguire il proprio interesse personale debba consistere in strategie ottusamente egotistiche e solipsistiche, dato che i famosi birraio, macellaio e fornaio, se vogliono conseguire utile, dovranno pur soddisfare le esigenze del cliente, non rapinarlo e defraudarlo; dato che non di questo si compone la “mano invisibile” smithiana, ma esattamente della convergenza ideale tra azioni cooperative, sicché l’”interesse personale” di questi commercianti incorpora, dal punto di vista di Smith, l’elemento cooperativo, dato che non opera qui un principio di scarsità dell'offerta rispetto alla domanda, tal per cui, come nell’esempio del Nash cinematografico, birraio, macellaio e fornaio si debbano fare la guerra tra loro, eventualità che trovi rimedio in un cartello tra birraio, macellaio e fornaio, al fine di definire insieme le strategie migliori; c) Infine, l’esito del cartello di Nash è qui ampiamente subottimale, dato che -rimanendo nella logica maschilista dell’esempio- la donna più bella resta da sola, e trovano partner solo le brutte o meno belle: sicché al cartello “cooperativo” maschile, cartello di pusillanimi e castrati, corrisponde la frantumazione della solidarietà femminile, fino al sacrificio della donna migliore, per quanto ella potrà trovare soddisfazione altrove; ma nemmeno la troverà se tutti i maschi che incontra ragioneranno come l’impotente Nash, il quale pensa  così solo perché teme di non essere in grado di approcciare la donna troppo bella, e allora cerca di convincere anche gli amici a fare altrettanto, accontentandosi tutti quanti delle brutte! Insomma, la solidarietà di gruppo come inno alla mediocrità e apologia sua, sicché qui il gruppo di Nash pare finalizzato a tarpare le ali al migliore del gruppo, il quale fosse invece in grado di approcciare la bella con successo: ne consegue che risulta confermato che “fare l’interesse del gruppo” significa sacrificare i migliori, in questo caso il maschio migliore e la femmina migliore, e “perseguire meglio l’interesse individuale”, perseguendo quello del gruppo, significa perseguire al meglio l’interesse individuale dei mediocri.

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