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lunedì 2 maggio 2022

Euro collettivista, svalutazione interna e disciplinamento autoritario dell’economia.

di Fabio Massimo Nicosia 

Immaginando l’euro come un cambio fisso, la moneta di partenza più debole viene irrigidita nel suo cambio con quella più forte. Ipotizzando che l’economia italiana sia più debole di quella tedesca, l’Italia avrebbe interesse, o ad abbassare i prezzi dei propri prodotti, o a svalutare la lira, al fine di incrementare il potere di acquisto delle monete più forti, e quindi favorire l’acquisto dei nostri prodotti da parte degli altri paesi, delle altre economie, rilanciando le esportazioni. Invece l’euro “cambio fisso” impedisce questo all’Italia, con la conseguenza che, per favorire le nostre esportazioni, è consentita solo la soluzione di abbassare i nostri prezzi. In questo modo, però, vengono a comprimersi le retribuzioni, e quindi il divieto di svalutazione della moneta rispetto all’esterno si trasforma in compressione interna dei salari, diminuendo il potere di acquisto non solo verso l’esterno, ma anche nell’economia interna. 

L’euro, in effetti, ha rappresentato una scelta politica e non “tecnica”, per la semplice ragione che grande parte degli economisti riconosce come l’eurozona non sia una Optimum Currency Area (OCA), con la conseguenza che l’euro cessa di essere una semplice “moneta”, per divenire un dispositivo di disciplinamento, sicché la moneta unica si rivela un gioco a somma zero, se tra i suoi partecipanti c’è chi vince e c’è chi perde, in conseguenza del fatto di avere adottato la medesima moneta; sicché ci troviamo di fronte a una tragedy of commons, ma di tipo verticale, il che consegue all’avere inteso una moneta come istituto di autorità e non di libertà, sempre nella logica del famoso “vincolo esterno”, il che sarebbe come imporre costumi patriarcali a una società matriarcale o viceversa, dato che non si intende che la moneta debba esprimere le specificità di un popolo, e quindi sia espressione della cultura di una società, ma debba imporre la cultura di un popolo a un altro, in nome di determinati obiettivi politici, che poi sono obiettivi di ceto e di classe, i quali prevalgono, paradossalmente, giovandosi di una struttura monetaria collettivista e non liberista, in quanto coercitivamente inclusiva di soggetti in condizioni diverse all’interno di un’unica struttura rigida e non flessibile (gioco a somma zero, tragedy of commons verticale).

Il concetto di OCA è stato introdotto dall’economista Robert Mundell con un saggio del 1961, con il quale si fissavano paletti precisi, nel determinare quando ci troviamo di fronte a un’area valutaria ottimale; posto infatti che un’unica moneta implica un’unica banca centrale, se non ci troviamo di fronte a un territorio sufficientemente omogeno dal punto di vista economico e produttivo, quella banca centrale potrebbe entrare in conflitto con se stessa nell’elaborare politiche adeguate; dato che in conflitto potrebbero risultare le politiche di lotta contro l’inflazione nei confronti di quelle volte a migliorare l’occupazione, se sono diverse le esigenze delle diverse regioni, nelle quali si suddivide l’area di riferimento; ragionando in termini invece di moneta come espressione spontanea di una cultura sociale, potrebbe benissimo accadere che un popolo preferisca privilegiare la lotta alla disoccupazione, a discapito della stabilità dei prezzi, e un altro popolo preferisca l’esatto opposto: invece, con l’euro, la preferenza del secondo popolo (diciamo la Germania o i nordici) viene imposta al primo popolo (poniamo Italia o Stati membri meridionali), dato che poi il Trattato di Funzionamento Europeo nemmeno indica tra gli obiettivi della BCE quello della piena occupazione, a differenza di quanto avviene invece ad esempio nello statuto della FED.

Inoltre, si introducono regole idonee a fotografare la situazione di alcuni Stati e non di altri -come imporre il diritto di famiglia cattolico a un paese islamico o viceversa-, ad esempio con regole sul debito caratterizzate in senso “statalista”, ovvero, forse meglio, statocentriche, dato che non guardano alle condizioni complessive dell’economia di un paese –men che meno alle persone reali-, ma solo alle condizioni del suo “Stato”. Ad esempio, viene spesso rilevato come l’Italia goda di un forte risparmio privato a fronte di un basso indebitamento (privato), ma tale circostanza –che pure viene talora presa in considerazione dalle stesse agenzie di rating- non rileva a fini di esenzione dalle procedure d’infrazione, mentre paesi come quelli nordici vengono favorite da regole, le quali ignorino il debito privato, dato che possiedono un alto debito privato, ma ciò non li sfavorisce in alcun modo, stante che l’ideologia neo-liberista incoraggia e non combatte l’indebitamento privato. Si è già sottolineato, a tale proposito, come una nazione potrebbe liberamente pensare di utilizzare il proprio Stato come una bad company, più di quanto già non sia, con l’indebitamento pubblico a fronte di una ricchezza privata, ma una simile sperimentazione –ad esempio, coniugare indebitamento con bassa tassazione- non è consentita dai parametri di Maastricht e dalla normazione attuativa, mentre un paese potrebbe avere un forte indebitamento privato e i conti dello Stato “in ordine”, senza che per questo si possa dire che le condizioni di quella nazione siano “migliori” dell’altra: questo è il senso di ritenere espressione di collettivismo e non di flessibilità o libertà un tale sistema di “regole”, quando le regole sono sempre opinabili, e non giustificano mai un simile feticismo nei loro confronti.

Si noti che, da deputato, l’economista liberista, allievo di Milton Friedman, Antonio Martino votò, in dissenso dal gruppo, contro l’introduzione del vincolo di pareggio di bilancio in Costituzione, motivando proprio sul fatto che esso avrebbe comportato maggiore tassazione. Il liberale medio sostiene però che il debito di oggi è tassazione futura, e per tale motivo finisce però con il preferire una tassazione certa oggi rispetto a una futura e incerta –tale perché non conosciamo il corso degli eventi sulle sorti dello stesso debito, che potrebbe venire ripudiato, ristrutturato o cancellato-, entrando in un chiaro loop, dato che considera irrazionalmente la tassazione certa immediata un meno peggio rispetto a quella eventuale futura; oltretutto in violazione del principio di preferenza temporale, per il quale è razionale preferire un danno futuro solo ipotetico –nel frattempo potrebbe avvenire qualche sorta di collasso - a un danno certo attuale. “Per pagare c’è sempre tempo” è un assioma della morale di senso comune, direbbe Sidgwick

Il fatto che l’euro sia ben più che una moneta, ma un fattore attivo di disciplinamento viene rivendicato esplicitamente da un esponente della scuola austriaca di economia, Huerta de Soto, il quale accosta il rigore dell’euro al meccanismo del gold standard, e accomuna tutti i critici in quanto demagoghi e scialacquatori; però se un libertarian sostiene l’euro esattamente per la sua capacità di vincolare e disciplinare, si fuoriesce secondo me dal pur ristretto ambito libertarian, per sposare a vele spiegate la dottrina neoliberal. Tuttavia, tra gli oppositori dell’euro troviamo non solo uno Stiglitz, ma persino, ante litteram, Hayek, il quale difese, come second best rispetto all’ipotesi di un libero mercato tra monete private, la concorrenza tra monete nazionali, a corso libero in ciascuno Stato, per evitare il concentrarsi di eccessivo potere nelle mani del banchiere centrale continentale.

Certo, gli oppositori “di sinistra” avanzano critiche diverse, soprattutto sottolineano come un sistema a cambi fissi, impedendo le svalutazioni competitive, dia poi vita alla ricordata svalutazione interna, vale a dire a una compressione dei salari e a una precarizzazione del lavoro, che finiscono per diventare l’unica via per poter “competere” tra economie nazionali così differenti, aventi però la moneta in comune. Si tratta del resto di un tracciato, che è stato formalizzato e istituzionalizzato dalla modifica, intervenuta nel 2011 ed entrata in vigore nel 2013, dell’art. 136 del Trattato, che ha istituito un meccanismo permanente di stabilità di governance dell’eurozona (European Stability Mechanism, ESM), in base al quale la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria agli Stati sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. E tali “condizioni” comprendono l’impegno a contenere la spesa pensionistica, quella per la sanità e l’istruzione, ma anche indicazioni sulle modalità di incremento delle entrate attraverso programmi di privatizzazione nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, delle assicurazioni e dei servizi pubblici locali; e questo per non parlare degli interventi sul mercato del lavoro, rimuovendo gli ostacoli alla flessibilizzazione e alla precarizzazione. Alla categoria della “condizionalità” sono state ricondotte altresì le “lettere” inviate dalla BCE di Trichet, con controfirma dei governatori nazionali, , tra cui Mario Draghi, ai governi italiano e spagnolo nel 2011. Per quanto in particolare riguarda l’Italia, la BCE indicava quali misure strutturali antispeculazione l’Italia avrebbe dovuto adottare con urgenza, “per ristabilire la fiducia degli investitori”. Più precisamente, tra tali misure venivano indicate una maggiore concorrenza nei servizi locali, con “privatizzazioni su larga scala”, e professionali, “riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa”, “revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, ottenere “un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011”, “un bilancio in pareggio nel 2013” e interventi vari sull’amministrazione pubblica; come si vede, le questioni di bilancio sono solo uno degli elementi di tale informale atto di supremazia, negli altri casi trattandosi di opzioni opinabili squisitamente politiche e discrezionali: in questo modo, il “vincolo esterno” diventava anche verticale.

In definitiva, proprio l’euro diventa un test all’acido del cosiddetto neo-liberismo, mostrando il carattere per nulla genuinamente “liberista” di questo filone di pensiero, e svelandone il carattere perfettamente autoritario.


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