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mercoledì 25 maggio 2022

Concorrenza perfetta, caccia alle lepri e valore-fatica risparmiata

di Fabio Massimo Nicosia

L’ideale di concorrenza perfetta, secondo Walras, consiste nella figura dell’imprenditore senza profitti e senza perdite, e quindi siamo di fronte a un ideale egualitario e “socialista”, salvo che qui l’errore non è di “scienza economica”, ma antropologico e sociologico, per la banale ragione che gli uomini sono diversi, e si differenzierebbero pure a perfetta parità di reddito, e quindi nemmeno la concorrenza perfetta invererebbe un ideale davvero “egualitario”, dato che le gerarchie sociali si riformerebbero per altre vie che non quella del reddito, ad esempio nella reputazione quanto a attitudine alla leadership naturale, intelligenza, cultura, coraggio, senso dell’onore e capacità di farsi rispettare, forza fisica, bellezza, seduzione erotica o fascinazione personale, e ogni altro profilo antropologico e sociologico si possa immaginare nella varietà delle conformazioni umane, che solo a volte ha a che fare con la dimensione del portafoglio;

lunedì 23 maggio 2022

Il modello idealtipico puro dello Stato fascista e l’ipotesi della sua estinzione su base economica

 

di Fabio Massimo Nicosia

Il Fascismo ha dovuto affrontare il problema di Otto Neurath, ossia ristrutturare la nave nel corso della navigazione in mare aperto, vale a dire darsi una teoria compiuta in corso d’opera, non sussistendo una dottrina fascista perfettamente definita vera e propria, che fosse davvero tale alle origini del movimento, anche per le esplicite proclamazioni di pragmatismo non ideologico di Mussolini (il che mi fa pensare all’analogo atteggiamento sempre mantenuto da Marco Pannella); questa è probabilmente la distinzione più netta tra marxismo e fascismo, dato che il marxismo, con Marx, Engels e tutti i seguaci di ogni sfumatura, pretesero di dare una sistematizzazione al pensiero “socialista”, che fino ad allora era stato pluralista, mentre per altri versi avvicina ciò il fascismo all’anarchismo, in quanto neanche questo possiede un “sistematizzatore” riconosciuto, ma una pluralità di voci anche dissonanti tra loro, per quanto attorno a un nucleo fondamentale, consistente nella contestazione dei fondamenti di legittimità dello Stato.

domenica 15 maggio 2022

Interesse collettivo, falsa negoziazione del contratto sociale e sacrificio dei migliori

 di Fabio Massimo Nicosia

Idealmente, nel gioco di una squadra, l’interesse individuale e quello collettivo della squadra combaciano perfettamente, dato che ideale sarebbe che ogni giocata individuale fosse la migliore possibile nell’interesse condiviso, e quindi anche nell’interesse di chi effettua la giocata; tuttavia, nel caso ad esempio in cui un buon giocatore giochi in una squadra scadente, egli può ben essere tentato da agire da free rider, e quindi mirare a porsi in luce individualmente con giocate personali, avendo egli stesso scarsa fiducia nei compagni, e quindi smarrendo, in quanto difficilmente perseguibile, l’interesse collettivo e condiviso (vincere), per perseguire deliberatamente esclusivamente il proprio. Di regola, tuttavia, in una squadra i giocatori hanno tutti lo stesso interesse, ossia che la squadra vinca, e quindi è fisiologico, almeno idealmente, che ognuno, perseguendo il proprio interesse, persegua quello collettivo, e viceversa, votandosi generosamente alla squadra, stia perseguendo l’interesse proprio: ma non mi stanco di sottolineare il fatto che tale coincidenza degli interessi, individuale e collettivo, consegue al carattere agonistico della vicenda, ossia al fatto di contrapporsi a un interesse egoistico-collettivo altrui, ossia dell’altra squadra.

venerdì 13 maggio 2022

Pluralismo dei valori, pensiero debole e Partito Libertario tra idiocrazia e morte della sinistra

di Fabio Massimo Nicosia

Dal punto di vista di un’impostazione libertaria, la coesistenza di sistemi di valori diversi e anche opposti è concepibile in quanto questi valori siano, come si suol dire, compossibili, diversamente si vengono a creare dei conflitti, la cui soluzione “libertaria” diventa molto difficile, dato che favorire un sistema di valori finisce con il far recedere l’altro, il che va a punto a minare quella compossibilità.
Per fare un caso limite, ammettiamo che esista in società una comunità sadiana, la quale ammetta l’omicidio libero e la tortura libera, che certo non può essere intesa come comunità compossibile con altre, le quali invece continuino a proibire l’omicidio e lo considerino tabù.

martedì 10 maggio 2022

I vizi genetici del pensiero "liberale"

 di Fabio Massimo Nicosia

I vari filoni del pensiero politico “liberale”, così come si è via via venuto conformando negli ultimi decenni, potremmo dire nell’ultimo secolo, ormai, hanno rappresentato un passo indietro rispetto alla ratio originaria dello stesso costituzionalismo originario, giacché in quell’impostazione si riteneva di potere costringere lo Stato al rispetto di determinati diritti fondamentali, senza che ciò, a ben vedere, comportasse un’aprioristica presa di posizione sulla “necessità” o “inevitabilità” del soggetto “Stato”, semplicemente ci si poneva l’obiettivo di costringerlo, non è chiaro esattamente come, entro certi limiti, attraverso i meccanismi noti come quelli tipici del governo della legge: 

lunedì 2 maggio 2022

Euro collettivista, svalutazione interna e disciplinamento autoritario dell’economia.

di Fabio Massimo Nicosia 

Immaginando l’euro come un cambio fisso, la moneta di partenza più debole viene irrigidita nel suo cambio con quella più forte. Ipotizzando che l’economia italiana sia più debole di quella tedesca, l’Italia avrebbe interesse, o ad abbassare i prezzi dei propri prodotti, o a svalutare la lira, al fine di incrementare il potere di acquisto delle monete più forti, e quindi favorire l’acquisto dei nostri prodotti da parte degli altri paesi, delle altre economie, rilanciando le esportazioni. Invece l’euro “cambio fisso” impedisce questo all’Italia, con la conseguenza che, per favorire le nostre esportazioni, è consentita solo la soluzione di abbassare i nostri prezzi. In questo modo, però, vengono a comprimersi le retribuzioni, e quindi il divieto di svalutazione della moneta rispetto all’esterno si trasforma in compressione interna dei salari, diminuendo il potere di acquisto non solo verso l’esterno, ma anche nell’economia interna. 

L’euro, in effetti, ha rappresentato una scelta politica e non “tecnica”, per la semplice ragione che grande parte degli economisti riconosce come l’eurozona non sia una Optimum Currency Area (OCA), con la conseguenza che l’euro cessa di essere una semplice “moneta”, per divenire un dispositivo di disciplinamento, sicché la moneta unica si rivela un gioco a somma zero, se tra i suoi partecipanti c’è chi vince e c’è chi perde, in conseguenza del fatto di avere adottato la medesima moneta; sicché ci troviamo di fronte a una tragedy of commons, ma di tipo verticale, il che consegue all’avere inteso una moneta come istituto di autorità e non di libertà, sempre nella logica del famoso “vincolo esterno”, il che sarebbe come imporre costumi patriarcali a una società matriarcale o viceversa, dato che non si intende che la moneta debba esprimere le specificità di un popolo, e quindi sia espressione della cultura di una società, ma debba imporre la cultura di un popolo a un altro, in nome di determinati obiettivi politici, che poi sono obiettivi di ceto e di classe, i quali prevalgono, paradossalmente, giovandosi di una struttura monetaria collettivista e non liberista, in quanto coercitivamente inclusiva di soggetti in condizioni diverse all’interno di un’unica struttura rigida e non flessibile (gioco a somma zero, tragedy of commons verticale).

Il concetto di OCA è stato introdotto dall’economista Robert Mundell con un saggio del 1961, con il quale si fissavano paletti precisi, nel determinare quando ci troviamo di fronte a un’area valutaria ottimale; posto infatti che un’unica moneta implica un’unica banca centrale, se non ci troviamo di fronte a un territorio sufficientemente omogeno dal punto di vista economico e produttivo, quella banca centrale potrebbe entrare in conflitto con se stessa nell’elaborare politiche adeguate; dato che in conflitto potrebbero risultare le politiche di lotta contro l’inflazione nei confronti di quelle volte a migliorare l’occupazione, se sono diverse le esigenze delle diverse regioni, nelle quali si suddivide l’area di riferimento; ragionando in termini invece di moneta come espressione spontanea di una cultura sociale, potrebbe benissimo accadere che un popolo preferisca privilegiare la lotta alla disoccupazione, a discapito della stabilità dei prezzi, e un altro popolo preferisca l’esatto opposto: invece, con l’euro, la preferenza del secondo popolo (diciamo la Germania o i nordici) viene imposta al primo popolo (poniamo Italia o Stati membri meridionali), dato che poi il Trattato di Funzionamento Europeo nemmeno indica tra gli obiettivi della BCE quello della piena occupazione, a differenza di quanto avviene invece ad esempio nello statuto della FED.

Inoltre, si introducono regole idonee a fotografare la situazione di alcuni Stati e non di altri -come imporre il diritto di famiglia cattolico a un paese islamico o viceversa-, ad esempio con regole sul debito caratterizzate in senso “statalista”, ovvero, forse meglio, statocentriche, dato che non guardano alle condizioni complessive dell’economia di un paese –men che meno alle persone reali-, ma solo alle condizioni del suo “Stato”. Ad esempio, viene spesso rilevato come l’Italia goda di un forte risparmio privato a fronte di un basso indebitamento (privato), ma tale circostanza –che pure viene talora presa in considerazione dalle stesse agenzie di rating- non rileva a fini di esenzione dalle procedure d’infrazione, mentre paesi come quelli nordici vengono favorite da regole, le quali ignorino il debito privato, dato che possiedono un alto debito privato, ma ciò non li sfavorisce in alcun modo, stante che l’ideologia neo-liberista incoraggia e non combatte l’indebitamento privato. Si è già sottolineato, a tale proposito, come una nazione potrebbe liberamente pensare di utilizzare il proprio Stato come una bad company, più di quanto già non sia, con l’indebitamento pubblico a fronte di una ricchezza privata, ma una simile sperimentazione –ad esempio, coniugare indebitamento con bassa tassazione- non è consentita dai parametri di Maastricht e dalla normazione attuativa, mentre un paese potrebbe avere un forte indebitamento privato e i conti dello Stato “in ordine”, senza che per questo si possa dire che le condizioni di quella nazione siano “migliori” dell’altra: questo è il senso di ritenere espressione di collettivismo e non di flessibilità o libertà un tale sistema di “regole”, quando le regole sono sempre opinabili, e non giustificano mai un simile feticismo nei loro confronti.

Si noti che, da deputato, l’economista liberista, allievo di Milton Friedman, Antonio Martino votò, in dissenso dal gruppo, contro l’introduzione del vincolo di pareggio di bilancio in Costituzione, motivando proprio sul fatto che esso avrebbe comportato maggiore tassazione. Il liberale medio sostiene però che il debito di oggi è tassazione futura, e per tale motivo finisce però con il preferire una tassazione certa oggi rispetto a una futura e incerta –tale perché non conosciamo il corso degli eventi sulle sorti dello stesso debito, che potrebbe venire ripudiato, ristrutturato o cancellato-, entrando in un chiaro loop, dato che considera irrazionalmente la tassazione certa immediata un meno peggio rispetto a quella eventuale futura; oltretutto in violazione del principio di preferenza temporale, per il quale è razionale preferire un danno futuro solo ipotetico –nel frattempo potrebbe avvenire qualche sorta di collasso - a un danno certo attuale. “Per pagare c’è sempre tempo” è un assioma della morale di senso comune, direbbe Sidgwick

Il fatto che l’euro sia ben più che una moneta, ma un fattore attivo di disciplinamento viene rivendicato esplicitamente da un esponente della scuola austriaca di economia, Huerta de Soto, il quale accosta il rigore dell’euro al meccanismo del gold standard, e accomuna tutti i critici in quanto demagoghi e scialacquatori; però se un libertarian sostiene l’euro esattamente per la sua capacità di vincolare e disciplinare, si fuoriesce secondo me dal pur ristretto ambito libertarian, per sposare a vele spiegate la dottrina neoliberal. Tuttavia, tra gli oppositori dell’euro troviamo non solo uno Stiglitz, ma persino, ante litteram, Hayek, il quale difese, come second best rispetto all’ipotesi di un libero mercato tra monete private, la concorrenza tra monete nazionali, a corso libero in ciascuno Stato, per evitare il concentrarsi di eccessivo potere nelle mani del banchiere centrale continentale.

Certo, gli oppositori “di sinistra” avanzano critiche diverse, soprattutto sottolineano come un sistema a cambi fissi, impedendo le svalutazioni competitive, dia poi vita alla ricordata svalutazione interna, vale a dire a una compressione dei salari e a una precarizzazione del lavoro, che finiscono per diventare l’unica via per poter “competere” tra economie nazionali così differenti, aventi però la moneta in comune. Si tratta del resto di un tracciato, che è stato formalizzato e istituzionalizzato dalla modifica, intervenuta nel 2011 ed entrata in vigore nel 2013, dell’art. 136 del Trattato, che ha istituito un meccanismo permanente di stabilità di governance dell’eurozona (European Stability Mechanism, ESM), in base al quale la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria agli Stati sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. E tali “condizioni” comprendono l’impegno a contenere la spesa pensionistica, quella per la sanità e l’istruzione, ma anche indicazioni sulle modalità di incremento delle entrate attraverso programmi di privatizzazione nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, delle assicurazioni e dei servizi pubblici locali; e questo per non parlare degli interventi sul mercato del lavoro, rimuovendo gli ostacoli alla flessibilizzazione e alla precarizzazione. Alla categoria della “condizionalità” sono state ricondotte altresì le “lettere” inviate dalla BCE di Trichet, con controfirma dei governatori nazionali, , tra cui Mario Draghi, ai governi italiano e spagnolo nel 2011. Per quanto in particolare riguarda l’Italia, la BCE indicava quali misure strutturali antispeculazione l’Italia avrebbe dovuto adottare con urgenza, “per ristabilire la fiducia degli investitori”. Più precisamente, tra tali misure venivano indicate una maggiore concorrenza nei servizi locali, con “privatizzazioni su larga scala”, e professionali, “riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa”, “revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, ottenere “un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011”, “un bilancio in pareggio nel 2013” e interventi vari sull’amministrazione pubblica; come si vede, le questioni di bilancio sono solo uno degli elementi di tale informale atto di supremazia, negli altri casi trattandosi di opzioni opinabili squisitamente politiche e discrezionali: in questo modo, il “vincolo esterno” diventava anche verticale.

In definitiva, proprio l’euro diventa un test all’acido del cosiddetto neo-liberismo, mostrando il carattere per nulla genuinamente “liberista” di questo filone di pensiero, e svelandone il carattere perfettamente autoritario.