di Fabio Massimo Nicosia
Il diritto è sempre una forza autorizzata, sottolinea Derrida, e allora resta sempre la domanda fondamentale “autorizzata da chi?”, e la risposta ovvia e banale non può che essere “dal soggetto più forte”, il quale quindi si auto-autorizza e si auto-legittima -oppure delega qualcuno a rappresentarlo, lo investe della propria auto-legittimazione- a esercitare la propria superiore forza, anche se poi ha bisogno di ammantare con svariate formule di legittimazione l’esercizio della forza stessa, per eludere l’impressione che si tratti di forza bruta, e non di forza istituzionale, tale in quanto formalmente finalizzata e funzionale al perseguimento di un qualche “bene”, che esso stesso soggetto forte ha stabilito, magari attraverso plurime negoziazioni con altri, essere tale, nonché meritevole di essere perseguito con la forza, stante la sua importanza in quanto “bene” da assicurare assolutamente e indefettibilmente.
Emerge qui, considerando Benjamin, la distinzione
tra una violenza fondativa dell’ordinamento e del sistema e una violenza
occasionale, che però allude sempre a una sottesa violenza fondativa, che
viene a confermarsi e riprodursi, però, ogni qualvolta sia esercitata in suo
nome quella occasionale, dato che, ragionando in termini kelseniani
(rettificati), se una Grundnorm empirica si pone alla base fondamentale
di un ordinamento, i suoi atti di polizia riconfermano nel mondo reale
l’effettiva vigenza di quella Grundnorm giorno per giorno, divenendone
continuo rinnovato fondamento e Grundnorm empirica dinamica e
riproduttiva a propria volta; a ben vedere, il bruto poliziotto dovrebbe essere
in realtà un fine giurista, se il suo compito fosse davvero di “applicare la
legge”, e così, ad esempio, arrestare ogni giorno gli uomini di governo per i
loro palesi abusi in danno dei cittadini, il che solamente darebbe senso alla
formola dello “Stato di diritto”; e invece il poliziotto è a sua volta autorizzato
ad abusare, autorizzato formalmente e informalmente, di solito illegittimamente,
ma l’illegittimità del suo atto non oblitera la sua giuridicità, atto giuridico
per quanto invalido è il suo atto abusivamente violento; ma tale autorizzazione,
formale e informale, all’abuso vige in quanto autorizzazione a confermare e
ribadire la supremazia del sistema; e quindi la sovranità si corrobora momento
dopo momento, inevitabilmente in forma abusiva, dato che l’atto sovrano è extra
legem e contra legem, dato che fonda la legge e non ne discende,
e quindi anche l’atto di riconferma della supremazia non può che essere extra
legem e contra legem, in quanto volto in perpetua riproduzione della
legittimazione del dominio, salvo che tale riconferma non può avvenire nell’ambito
della legalità, altrimenti sarebbe mera applicazione della legge e non
affermazione dei suoi fondamenti sovrani fattuali, sicché il richiamo operato
da tali atti “confermativi” e “riproduttivi” del dominio alla formula di
legittimazione, fondante la sovranità al livello ideale e non a quello empirico,
è a un tempo immediato (per saltum rispetto alla normativa
interposta) e generico, dato che si applica immediatamente, per
ribadirne la pregnanza, un principio generalissimo e vago, anche perché il
poliziotto violento non è in condizione di sofisticare e sottilizzare, e quindi
applicherà direttamente qualche principio generico come l’”ordine” o qualcosa
di simile, e nulla di molto più preciso; del resto, anche in guerra il soldato
è autorizzato dai superiori gerarchici, se non addirittura politici, a stuprare
donne e bambini, benché si tratti evidentemente di atti illegali, e tuttavia
reputati necessari all’allietamento delle truppe, e quindi alla riaffermazione supposta
efficace della sovranità, questa volta verso l’esterno.
In tale quadro, sostiene Benjamin, la violenza
normativa ed esecutiva si pone nel regno dei mezzi dell’ordinamento, e non in
quello dei suoi fini; se il nesso mezzi/fini introduce un elemento
economicistico, per il quale poi il mezzo va verificato persistentemente nella
propria adeguatezza e idoneità a conseguire lo scopo, va anche detto che lo
scopo primario è l’esercizio stesso della violenza a propria volta in quanto
tale e di per sé, in quanto lo scopo primario di un ordinamento è vigere
-il che rappresenta il suo elemento conservativo-, e quindi confermarsi
e riprodursi nella propria esistenza, di tal che lo “scopo” proclamato appare
più un obiettivo, non solo secondario, ma addirittura pretestuoso e di mera
(auto)giustificazione esteriore, giacché quello scopo è cangiante -e noi lo
vediamo nel nostro tempo con riferimento a valori come la “salute”, l’”ambiente”
e altre vaniloquenze-, e meramente funzionale a fornire argomentazioni a
sostegno dell’esercizio, o comunque all’immanenza, della forza e della violenza
come quintessenza della sussistenza dell’ordinamento giuridico.
A questo punto il senso della distinzione tra
“violenza legittima” e “violenza illegittima” evapora. In effetti, posto che il
carattere “legittimo” dell’esercizio della forza, nel quadro descritto, risulta
in ultima analisi oggetto di un’autocertificazione, l’unico modo per assodare
tale carattere parrebbe l’invocazione giusnaturalista, ossia l’appellarsi a un
novero di principi “superiori”, esterni all’ordinamento, e che però vengono
“internalizzati”, al fine di giustificarlo con una modalità esterna-interna, in
forza della quale il principio pre-esiste all’ordinamento, ma l’ordinamento
decide di farlo proprio, positivizzandolo; e allora la sua utilità consiste
nel divenire metro di giudizio degli atti dell’ordinamento, nella convinzione
che fare a meno di un tale principio, o pacchetto di principi, privi
l’ordinamento stesso della possibilità medesima di formulare simili giudizi di
legittimità, e allora a tal fine sorgono le costituzioni -in genere si presume
che le costituzioni siano imposte dal basso verso l’alto e non elargite
dall’alto verso il basso, pur quando la loro forma sia quella ottriata-, la cui
funzione consiste nel simulare una contrattazione, attraverso la quale
stabilire che cosa sia consentito alle “parti”: salvo che si tratta di
contratto squilibrato, dato che esso non intende negare che una delle parti si
situi in posizione di supremazia, sicché il contratto stesso finisce con il
risultare della specie “con obbligazioni da una sola parte”, o quasi,
nel senso che le obbligazioni gravanti sulla parte più forte sono più
indeterminate, e comunque poi di fatto unilateralmente risolvibili dalla parte
più forte stessa, giacché essa si cura di premunirsi e di predisporre di
procedure all’uopo: in altri termini, la costituzione è concepita in guisa
tale da potere essere violata e abusata, destino inevitabile in una
relazione che rimane totalmente unilaterale, a dispetto di qualsiasi dottrina
del contratto sociale, che la costituzione vorrebbe invece fosse negoziata.
Che il senso della contrapposizione violenza
legittima/violenza illegittima è sempre sul crinale del suo smarrirsi è
dimostrato dalla guerra, che, si badi, è istituto giuridico a propria volta,
perché, trattandosi appunto di istituto giuridico, e quindi “legale” -che anzi
comporta la più piena e profonda giuridificazione della così resa precaria
esistenza umana-, il dispiegarsi della violenza che esso istituto autorizza è
legale e legittimo a propria volta, così come è legittima una rivoluzione, alla
luce dello stesso diritto internazionale, nel momento in cui gli insorti siano
anche “vincitori”, e quindi fonte legittimata del diritto in quanto autori
trionfanti della violenza fondativa.
Il fatto è che la parte più forte rimane, pur in
presenza di assegnazione di diritti costituzionali in capo ai “cittadini”, che
sono i soggetti deboli della relazione, pur tributari di una verniciatura di “sovranità”,
la titolare monopolistica ed esclusiva del potere di posizione del diritto
-teoricamente, sempre rispettando i vincoli costituzionali-, essendo altresì
vietato il cosiddetto “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, che viene
giudicato “arbitrario” esclusivamente in considerazione del fatto che anche le
“proprie ragioni” debbono passare per il vaglio autorizzatorio del monopolista
e delle sue articolazioni amministrative e giudiziarie: come dice Benjamin, “l’ordinamento
giuridico considera pericoloso il diritto nelle mani della singola persona”,
dato che l’autotutela è diritto dello Stato e non mai del cittadino, fatti
salvi particolari casi di necessità e legittima difesa, ma sempre entro i
limiti concessi dallo Stato stesso.
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