di Fabio Massimo Nicosia
L’anarco-capitalista Murray Rothbard, fervido sostenitore della moneta aurea, sostiene al riguardo varie tesi a mio avviso errate e male argomentate, o comunque in modo per nulla persuasivo, e anche contraddittorio. Più in generale, si tratta di tesi conservatrici, inadeguate alle esigenze dell’economia in generale, ma di quella moderna e contemporanea in particolare, tanto più alla luce dello sviluppo tecnologico; in effetti, tali tesi non sono altro che una riproposizione aggiornata di quelle che potevano essere proposte da un Oresme nel XIII secolo, come se i criteri di valutazione di uno strumento potessero essere oggi identici a quelli di sette od otto secoli fa.
Secondo Rothbard, in particolare, l’oro -e
analogamente anche l’argento-, ceteris paribus, sarebbe destinato ad
affermarsi sul mercato come “unico denaro”, stanti alcune sue “qualità
monetarie”, che lo rendono superiore ad altre ipotesi merceologiche quanto alla
sua attitudine a essere selezionato dal mercato per fungere da denaro; a) pregio
intrinseco per la sua bellezza (il bene è “prezioso”); b) offerta “abbastanza limitata
da avere un valore più o meno stabile, ma non così scarsa da non poter
essere prontamente lottizzato per l’uso”; c) molto richiesto e facilmente
trasportabile; d) altamente divisibile, tale da poter essere tagliato in
piccoli pezzi, che mantengono una quota proporzionale del suo valore; e) si
tratta di bene durevole, in grado di preservare una riserva di valore per un
futuro indefinito.
Ora, punto b) a parte, che richiede un discorso
specifico, nella nostra epoca, ma non da oggi, ciascuno di tali caratteri è
totalmente insignificante e irrilevante, giacché si tratta di requisiti relativi
a caratteri fisici del bene, che nella nostra epoca non assumono alcuna
pregnanza, dato che la moneta, anche in presenza di retrostante merceologico, è
smaterializzata e virtuale, anche perché nessuno, il quale pure faccia riferimento
a un retrostante o parametro aureo, circola coi sacchetti di pepite, così come
non andrebbe in giro con barre di ferro, sacchi di carbone o barili di petrolio,
per il caso in cui il retrostante virtuale o il parametro di riferimento
fossero il ferro, il carbone o il petrolio: ciascuno di tali oggetti
merceologici sarebbe comunque oggetto di una rappresentazione, cartacea
o informatica, e quindi i caratteri fisici del bene sarebbero del tutto
ininfluenti. Una volta rappresentato il tipo merceologico attraverso carta o file
informatico, ciascun tipo merceologico diviene, se non “bello”, però facilmente
trasportabile, altamente divisibile, anzi, all’infinito, più di quanto non
fosse l’oro fisico (mentre l’oro virtuale guadagna in divisibilità rispetto a quello
fisico, divenendo suscettibile di illimitata quotizzazione), nonché
durevole, dato che tanto la carta quanto il file informatico sono
infinitamente riproducibili e rinnovabili; si noti che, in questo modo, diviene
moneta-merce con tutti i requisiti necessari anche il bene deperibile,
dato che, in quanto bene fungibile, la certificazione non riguarda un’unità
materiale specifica di bene, ma un’unità astratta e teorica, da inverarsi in
ipotesi solo al momento opportuno, e così diviene retrostante adeguato anche il
concentrato di succo d’arancia come nel film “Una poltrona per due”.
Una volta dunque liquidati come irrilevanti tutti
i caratteri fisici dell’oro, dell’argento, del rame o di qualsiasi altra
materia o risorsa naturale, al fine di farne idonea “moneta”, resta il punto
del carattere limitato, che si pretende essere un pregio e non un difetto, della
tipologia merceologica in questione. Seguiamo al riguardo ancora il
ragionamento di Rothbard. L’anarco-capitalista di scuola austriaca sostiene, a
tale proposito, che, in linea generale, di ciascun bene, a parità di altre
cose, più beni abbiamo a disposizione, meglio è, dato che è meglio avere
più abiti che meno abiti, più abitazioni che meno abitazioni, e così via, anche
se qualcuno opporrebbe considerazioni di carattere ecologista all’affermazione
che è meglio avere più automobili che meno automobili, ma tralasciamo in questa
sede questo genere di argomenti.
Ebbene, secondo Rothbard, se avere più penne è
meglio dell’avere meno penne, naturalmente sempre nell’ambito dei bisogni reali
di penne, dato che sarebbe inutile averne di tonnellate inutilizzate, lo stesso
non varrebbe per la moneta, dato che il tema della sua quantità ottimale
non si risolverebbe dicendo che ce ne vuole “di più”; in effetti, sottolinea
correttamente Rothbard, in generale il concetto di “quantità ottimale” di un
bene è un falso problema: non esiste la quantità ottimale di pesche in scatola,
o di giochi Nintendo, dato che tale quantità ottimale è sempre legata agli
effettivi bisogni umani, e quindi la quantità ottimale corrisponde alla quantità
in grado di soddisfare la domanda da parte del mercato di un determinato bene.
Invece, non si capisce bene perché, ciò non varrebbe per la moneta; perché la
quantità ottimale di pesche in scatola sarebbe determinata dalla domanda del
mercato, mentre ciò non varrebbe per la moneta, come se la moneta non fosse
bene e merce a propria volta, sia pure di tipo particolare, e non fosse
soggetta a propria volta a una domanda e a un’offerta? Invero, se, per stare a
un esempio formulato dallo stesso Rothbard, moneta potrebbe essere il burro:
ora, di quanto burro-moneta abbiamo bisogno? Esattamente di quanto burro il mercato
richiede quale fluidificatore degli scambi: se gli scambi, attuali e
potenziali, sono in numero di x, dovremmo avere in circolazione una
quantità di moneta-burro in grado di fronteggiare e consentire effettivamente
ciascuno di detti scambi; che cosa ci sarebbe di non funzionante in questo
ragionamento?
Sostiene in proposito Rothbard che l’aumento di
offerta di denaro, di per sé, non procura alcun beneficio, non essendo bene di
consumo o strumento impiegato nella produzione, il che però è un abbaglio, dato
che il denaro interviene in ogni episodio del consumo e della produzione,
e quindi consumo e produzione necessitano di continuo di immissione monetaria,
non solo come lubrificante dello scambio, ma come sangue e nervo dello scambio
stesso, sicché tot scambi comportano tot denaro, per cui ne
occorrono altrettante unità, per quanto sia vero che ciò non spiega
ancora quale debba essere la consistenza dell’unità; tant’è che, secondo Rothbard,
una quantità di denaro vale l’altra, il che può anche essere teoricamente
vero, nei limiti che preciserò tra poco. Il punto saliente, però, per Rothbard
è che, mentre l’incremento di pane soddisfa un numero più vasto di bisogni, l’incremento
di moneta non soddisfa alcun bisogno, non potendo la moneta essere consumata
direttamente; ma abbiamo visto come ciò sia errato, dato che un incremento di
moneta soddisfa il bisogno di stipulare più scambi, di adottare più negozi
giuridici, e poiché non esiste il numerus clausus dei negozi giuridici,
non esiste il numerus clausus della moneta; anche perché, come si è
visto, ogni negozio giuridico è in grado a regime di auto-dotarsi della propria
moneta e di auto-costituirla nel momento stesso in cui il negozio giuridico
viene stipulato, essendo, anzi, moneta direttamente il negozio giuridico stesso
in quanto obbligazione, o supporto di un’obbligazione,
suscettibile di trasferimento e di circolazione autonoma e di autonoma
considerazione economica. Ad esempio, se io acquisto un immobile, e stipulo il
relativo contratto, posso addivenire a ulteriori scambi con terzi anche solo girando
loro, cedendolo, il contratto di acquisto dell’immobile, e a quel punto il
cartaceo del contratto è esso stesso moneta in grado di supportare il nuovo
contratto, quello stipulato con il terzo.
Tornando al punto rothbardiano, però, la questione
starebbe in altro, ossia nel fatto che un incremento di moneta produrrebbe null’altro
che un effetto inflazionistico e nessun beneficio all’economia, intendendosi
per effetto inflazionistico non il dato tautologico che è incrementata la moneta
in circolazione, ma l’aumento dei prezzi, formulando un’equazione, che ha valore
tutt’altro che assoluto e incondizionato, tra incremento di moneta in
circolazione e aumento dei prezzi. Rothbard fonda la propria affermazione sul
noto esempio, formulato da Hume, che dimostrerebbe il carattere meramente
inflazionistico e improduttivo dell’incremento di moneta: immaginiamo che l’Arcangelo
Gabriele o chi per lui/lei magicamente raddoppi in una notte le scorte di
denaro a disposizione di ogni persona; ebbene, in tal caso, la mattina
successiva nel mondo della produzione non sarebbe mutato assolutamente nulla,
se non il fatto che i prezzi sono raddoppiati; in realtà, perché i prezzi raddoppino,
sarebbe prima necessario che tutti fossero informati dell’avvenuto raddoppio
della moneta a disposizione, dato che prima di allora ognuno crederebbe di
essere l’unico beneficiario del miracolo, e quindi in tal modo un’iniziale
spinta al consumo si produrrebbe, e quindi anche una spinta alla produzione,
dato che almeno qualcuno, tra quelli convinti di essere il solo miracolato, si lancerebbe
in investimenti produttivi, ma tralasciamo questo aspetto.
In realtà, l’affermazione, secondo la quale il
raddoppio di moneta in circolazione lascerebbe le cose come stanno dal punto di
vista produttivo, limitandosi a raddoppiare i prezzi, andrebbe molto meglio
contestualizzata. Intanto, occorrerebbe indagare i potenziali effetti redistributivi,
e non meramente inflazionistici, di tale raddoppio; perché se la massa
monetaria complessiva fosse raddoppiata, ma assegnandosi in quote diseguali gli
incrementi, assegnando cioè di più a chi ha meno, non si avrebbe semplicemente
un effetto inflazionistico; tale approccio redistributivo si rende qui
necessario, considerando che il raddoppio non opera nel caso in cui qualcuno
non disponesse di assolutamente nulla in moneta il giorno precedente, posto che
raddoppiare zero produce ancora zero, e quindi costoro sarebbero esclusi dal
meccanismo del raddoppio.
Ma il punto più significativo in realtà è un
altro, a dimostrazione dell’erroneità del proporre l’esempio del raddoppio in
assenza di alcuna contestualizzazione; i fautori del sistema rothbardiano, a
tale riguardo, sono soliti proporre il seguente esempio: ammettiamo che sul
mercato siano presenti quattro mele, e che ognuna costi un dollaro; in tal
caso, bastano quattro dollari per comprare le quattro mele.
Ammettiamo ora che i dollari a disposizione da
quattro diventino otto: forse che qualcuno in tal modo sia diventato più ricco
e abbia conquistato più potere d’acquisto? No di sicuro: semplicemente le
quattro mele, invece di costare un dollaro, ne costeranno due -ipotizzando che
stiamo parlando di un mercato saturato dalla presenza di quattro mele, nel
quale non esista null’altro da acquistare. Dove cade questo ragionamento? Cade
là dove dà per scontato uno stato stazionario, in cui oggi ci sono quattro mele
e ci saranno sempre quattro mele; perché se invece lo sviluppo dell’economia è
tale da consentire la produzione, non di quattro mele, ma di otto, allora il
fatto di disporre di otto dollari e non di quattro non comporta alcuna inflazione,
dato che le otto mele continueranno a costare un dollaro l’una, esattamente
come ai tempi in cui le mele erano quattro.
Che cosa si ricava da questo ragionamento? Si
ricava che la quantità di moneta -o, per meglio dire, di unità monetarie-
ottimale in circolazione corrisponde alle potenzialità ed effettualità dell’economia,
perché se la nostra economia è in grado di produrre otto mele, ma i dollari in
circolazione continuano a essere quattro, è pur vero che allora ogni mela costerà
mezzo dollaro e non uno, ma allora il punto diventa di classe, dato che
l’oro e il concetto di moneta scarsa o limitata che vi è connesso è un concetto
di classe: vale a dire su chi possiede i quattro dollari, chi sia il
proprietario dell’oro o di altro corrispondente ai quattro dollari; perché se
il controllo dell’oro e della moneta scarsa è monopolistico, se pure la mela da
un dollaro scenderà a costarne mezzo, accadrà semplicemente che i monopolisti
detentori di moneta scarsa si accaparreranno al medesimo prezzo il doppio della
merce, restando sul lastrico gli altri. Meglio allora che i quattro detentori
di moneta iniziali siano affiancati da altri quattro detentori di moneta, e che
le otto mele continuino a costare un dollaro l’una, e quindi otto dollari
complessivi, con la conseguenza che il fatto che i quattro euro siano diventati
otto non ha procurato alcun danno, anzi, ha consentito ad altre quattro persone
di procurarsi una mela ciascuno: in Rothbard e in moltissimi altri, probabilmente
la maggior parte degli autori che affrontano un simile tema, si parla in
astratto della mole monetaria in circolazione, senza porsi il problema di chi
siano i detentori di moneta, se tutti o solo alcuni, quando solo il libero
conio consente che ognuno sia posto nella condizione, quantomeno teorica, di
dotarsi della moneta, della quale ha bisogno; in altri termini, la questione
della quantità ottimale di moneta deve procedere di pari passo con la questione
della distribuzione della moneta, della cui quantità ottimale si sta discutendo,
dato che, diversamente, si sta sempre ragionando in una logica monopolistica o,
quantomeno, oligopolistica, tanto più stante l’ancoraggio aureo, posto che l’oro,
come Rothbard riconosce, compiacendosene, è moneta limitata, se non esattamente
scarsa.
C’è però del vero, almeno in via del tutto
astratta, nell’affermazione che la “quantità” di moneta in circolazione non è
rilevante, ma tale affermazione risulta viziata dal fatto che, in tal caso, si
sta parlando di moneta materiale “a peso”; trattandosi di moneta a peso, la
quantità è invece rilevante. E infatti, ipotizzando la divisibilità all’infinito
della moneta, io non potrò dividere all’infinito una pepita d’oro fino alle
briciole e agli atomi, per farne realisticamente uso pratico; però è vero che la
quantità monetaria in circolazione non andrà misurata a kili o tonnellate, ma
ad unità monetarie, salvo poi stabilire quanti grammi o microgrammi
debbano pesare un’unità monetaria; il fatto importante è però che questo
problema non si pone con riferimento alla moneta virtuale, si tratti pure di
moneta-merce virtualizzata e quotizzata: a quel punto potrò anche teoricamente
commerciare in 0,0000000001 grammi, se la moneta-merce oro sarà in circolazione
in quantità estremamente limitata, dato che non dovrò davvero consegnare
0,0000000001 grammo, ma semplicemente digitare quel numero.
Senonché a questo punto non esiste alcuna ragione
al mondo per la quale l’oro debba essere l’”unica” moneta in circolazione, o
magari affiancata dall’argento, dato che la tavola degli elementi, delle commodities
e dei servizi rappresenta una tavolozza infinita, di modo che ogni merce,
ogni bene o servizio è moneta direttamente, una volta digitalizzata,
virtualizzata e quotizzata, il che si attaglia perfettamente al libero conio,
molto meglio che a una situazione monopolistica, si tratti di monopolio legale
o monopolio-oligopolio di fatto aureo. In una situazione di libero conio, ammettiamo allora che ognuno
disponga di una carta di credito, nella quale egli registri liberamente sotto
la propria autoresponsabilità tutti i retrostanti, reputazionali e materiali,
di cui ritenga di disporre, ed emetta tutta la moneta che vuole su tali basi, assumendosene
la responsabilità in vista della loro accettazione, con riconduzione di tutti i
retrostanti a un numerario comune proprio, e anche comune con gli altri al
meta-livello di ragguaglio, tal per cui uno può pagare utilizzando direttamente
quel minimo comune denominatore come unità di misura, come ora dirò meglio.
Poiché infatti un monopolio in linea di massima è
sempre più inefficiente di un’impresa aperta alla concorrenza, e quindi alla
sperimentazione di nuove tecniche, nuovi strumenti e nuovi artifizi, il
monopolio monetario, tanto più se di corso legale, rallenta percorsi di
superamento dello stesso istituto monetario tradizionale, così come viceversa
la tecnologia oggi consentirebbe, scritturando un sistema tendenzialmente
infinito di equazioni simultanee tra i rispettivi valori dei beni,
consentendo l’emersione di una meta-moneta meramente scritturale e numeraria,
che non richiede nessunissima materializzazione, che non sia l’esito a video di
un calcolo, che, con i potenti calcolatori di oggi e, soprattutto a venire, si
impiegherebbe frazioni di secondi a effettuare: ciò determinerebbe un
ritorno al baratto, ma senza le inefficienze originarie imputate al
baratto, dato che, trattandosi di beni virtuali, essi sono infinitamente
divisibili e ragguagliabili l’un l’altro nella divisione, senza nessuna
necessità di una “merce” terza di mediazione -per cui il pregio dell’oro
sarebbe stato di essere ottima merce “terza”- che deve ritenersi ormai antiquato
residuo dei tempi in cui la materialità della moneta si imponeva: l’autentica
concorrenza monetaria della fase suprema è quindi l’autonegazione della moneta e
il suo riassorbimento in un mero dato numerico contabile, finalizzato al mero
ragguaglio dei valori tra quantità date di beni, quantità che possono anche
essere infinitesimali, data l’infinita divisibilità del bene virtuale, senza
che alcuno dei beni assurga a unità di misura ultima, ovviamente nemmeno l’oro,
essendo questo a sua volta “listato” insieme a ciascun'altra materia prima o commodity
di qualsiasi genere.
In definitiva, ogni bene che sul mercato ha valore
è moneta; e se questo è stato sempre vero nella teoria, oggi, attraverso la
smaterializzazione e virtualizzazione informatica del bene, diventa perfettamente
vero anche nella pratica; ogni bene nel senso più lato, e quindi anche ogni
servizio. E infatti noi vediamo come Josiah Warren proponesse in pratica un
baratto virtuale tra differenti lavori, ogni attività lavorativa futura
diventa moneta, con l’aggiunta che io posso pagare anche con un buono di
lavoro altrui e non solo mio, buono altrui che io abbia conseguito lavorando
per quel terzo, e ne sia stato compensato con un buono incorporante lavoro
futuro di lui, o avendogli versato io un buono di lavoro futuro mio, al quale
lui abbia corrisposto con pari moneta di sua emissione.
In definitiva, così come nell’astratta concorrenza
perfetta il profitto è pari a zero, nella fase suprema della concorrenza
monetaria, non solo è zero il signoraggio, ma è la stessa moneta come concetto
separato a estinguersi, dato che, con la digitalizzazione, nemmeno v’è ragione
che sussista un “concetto monetario” separato da qualsiasi tipo di merce, servizio
e bene in generale, ognuno potendo svolgere pari funzione, superandosi così concettualmente
la distinzione stessa tra baratto e scambio monetario.
Occorre anche considerare una distorsione cognitiva, nella quale Rothbard incorre, ed è imperdonabile, da parte sua, trattandosi di studioso indubbiamente dotato di inclinazione libertaria; vale a dire che egli sembra dare per scontato che, alla fine, dal mercato debba necessariamente scaturire una moneta, una sola, o almeno una assolutamente dominante. È pur vero che il mercato dà vita a standards, ma più esattamente a una pluralità di standards, in grado di coesistere del tutto pacificamente, dato che il primo arrivato non vieta, salvo che si avvalga di poteri coercitivi, illegali o messi a disposizione dello Stato, l’esistenza sul mercato di un secondo, di un terzo e di un quarto arrivato, così come la Coca-Cola non vieta la Pepsi-Cola o la San Pellegrino o la San Benedetto; e non è certo un sistema di simili divieti che Rothbard propone con riferimento alla moneta.
E allora anche tutto il suo discorso sull’inflazione cade, dato che l’inflazione non va considerata tenendo a riferimento tutta la moneta in circolazione, ma, in caso di pluralità di monete, va considerata moneta per moneta; di modo che, affiancando l’oro con altre infinite monete, anche nella prospettiva del neo-baratto, del quale ho parlato, tali altre infinite monete, pur incrementando notevolmente la massa circolante, non hanno di per sé alcun effetto inflattivo, non possono averlo sull’oro, dato che tale effetto andrebbe valutato con riferimento a ciascuna moneta e, quindi, con riferimento a ciascun retrostante; posto che, se nuovo monete sorgono, e noi lo vediamo con le criptovalute, ognuna di esse ha i suoi propri negozi giuridici, ai quali fare riferimento, in quanto ciascuno di essi è espressione delle potenzialità dell’economia in generale, considerato che, evidentemente, la moneta a corso legale o, nell’esempio, aurea, non è sufficiente a fare fronte all’intera domanda di moneta da parte del mercato.
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