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sabato 2 aprile 2022

Erroneità dell’auro-moneta e baratto informatico

 di Fabio Massimo Nicosia

L’anarco-capitalista Murray Rothbard, fervido sostenitore della moneta aurea, sostiene al riguardo varie tesi a mio avviso errate e male argomentate, o comunque in modo per nulla persuasivo, e anche contraddittorio. Più in generale, si tratta di tesi conservatrici, inadeguate alle esigenze dell’economia in generale, ma di quella moderna e contemporanea in particolare, tanto più alla luce dello sviluppo tecnologico; in effetti, tali tesi non sono altro che una riproposizione aggiornata di quelle che potevano essere proposte da un Oresme nel XIII secolo, come se i criteri di valutazione di uno strumento potessero essere oggi identici a quelli di sette od otto secoli fa.

Secondo Rothbard, in particolare, l’oro -e analogamente anche l’argento-, ceteris paribus, sarebbe destinato ad affermarsi sul mercato come “unico denaro”, stanti alcune sue “qualità monetarie”, che lo rendono superiore ad altre ipotesi merceologiche quanto alla sua attitudine a essere selezionato dal mercato per fungere da denaro; a) pregio intrinseco per la sua bellezza (il bene è “prezioso”); b) offerta “abbastanza limitata da avere un valore più o meno stabile, ma non così scarsa da non poter essere prontamente lottizzato per l’uso”; c) molto richiesto e facilmente trasportabile; d) altamente divisibile, tale da poter essere tagliato in piccoli pezzi, che mantengono una quota proporzionale del suo valore; e) si tratta di bene durevole, in grado di preservare una riserva di valore per un futuro indefinito.

Ora, punto b) a parte, che richiede un discorso specifico, nella nostra epoca, ma non da oggi, ciascuno di tali caratteri è totalmente insignificante e irrilevante, giacché si tratta di requisiti relativi a caratteri fisici del bene, che nella nostra epoca non assumono alcuna pregnanza, dato che la moneta, anche in presenza di retrostante merceologico, è smaterializzata e virtuale, anche perché nessuno, il quale pure faccia riferimento a un retrostante o parametro aureo, circola coi sacchetti di pepite, così come non andrebbe in giro con barre di ferro, sacchi di carbone o barili di petrolio, per il caso in cui il retrostante virtuale o il parametro di riferimento fossero il ferro, il carbone o il petrolio: ciascuno di tali oggetti merceologici sarebbe comunque oggetto di una rappresentazione, cartacea o informatica, e quindi i caratteri fisici del bene sarebbero del tutto ininfluenti. Una volta rappresentato il tipo merceologico attraverso carta o file informatico, ciascun tipo merceologico diviene, se non “bello”, però facilmente trasportabile, altamente divisibile, anzi, all’infinito, più di quanto non fosse l’oro fisico (mentre l’oro virtuale guadagna in divisibilità rispetto a quello fisico, divenendo suscettibile di illimitata quotizzazione), nonché durevole, dato che tanto la carta quanto il file informatico sono infinitamente riproducibili e rinnovabili; si noti che, in questo modo, diviene moneta-merce con tutti i requisiti necessari anche il bene deperibile, dato che, in quanto bene fungibile, la certificazione non riguarda un’unità materiale specifica di bene, ma un’unità astratta e teorica, da inverarsi in ipotesi solo al momento opportuno, e così diviene retrostante adeguato anche il concentrato di succo d’arancia come nel film “Una poltrona per due”.

Una volta dunque liquidati come irrilevanti tutti i caratteri fisici dell’oro, dell’argento, del rame o di qualsiasi altra materia o risorsa naturale, al fine di farne idonea “moneta”, resta il punto del carattere limitato, che si pretende essere un pregio e non un difetto, della tipologia merceologica in questione. Seguiamo al riguardo ancora il ragionamento di Rothbard. L’anarco-capitalista di scuola austriaca sostiene, a tale proposito, che, in linea generale, di ciascun bene, a parità di altre cose, più beni abbiamo a disposizione, meglio è, dato che è meglio avere più abiti che meno abiti, più abitazioni che meno abitazioni, e così via, anche se qualcuno opporrebbe considerazioni di carattere ecologista all’affermazione che è meglio avere più automobili che meno automobili, ma tralasciamo in questa sede questo genere di argomenti.

Ebbene, secondo Rothbard, se avere più penne è meglio dell’avere meno penne, naturalmente sempre nell’ambito dei bisogni reali di penne, dato che sarebbe inutile averne di tonnellate inutilizzate, lo stesso non varrebbe per la moneta, dato che il tema della sua quantità ottimale non si risolverebbe dicendo che ce ne vuole “di più”; in effetti, sottolinea correttamente Rothbard, in generale il concetto di “quantità ottimale” di un bene è un falso problema: non esiste la quantità ottimale di pesche in scatola, o di giochi Nintendo, dato che tale quantità ottimale è sempre legata agli effettivi bisogni umani, e quindi la quantità ottimale corrisponde alla quantità in grado di soddisfare la domanda da parte del mercato di un determinato bene. Invece, non si capisce bene perché, ciò non varrebbe per la moneta; perché la quantità ottimale di pesche in scatola sarebbe determinata dalla domanda del mercato, mentre ciò non varrebbe per la moneta, come se la moneta non fosse bene e merce a propria volta, sia pure di tipo particolare, e non fosse soggetta a propria volta a una domanda e a un’offerta? Invero, se, per stare a un esempio formulato dallo stesso Rothbard, moneta potrebbe essere il burro: ora, di quanto burro-moneta abbiamo bisogno? Esattamente di quanto burro il mercato richiede quale fluidificatore degli scambi: se gli scambi, attuali e potenziali, sono in numero di x, dovremmo avere in circolazione una quantità di moneta-burro in grado di fronteggiare e consentire effettivamente ciascuno di detti scambi; che cosa ci sarebbe di non funzionante in questo ragionamento?

Sostiene in proposito Rothbard che l’aumento di offerta di denaro, di per sé, non procura alcun beneficio, non essendo bene di consumo o strumento impiegato nella produzione, il che però è un abbaglio, dato che il denaro interviene in ogni episodio del consumo e della produzione, e quindi consumo e produzione necessitano di continuo di immissione monetaria, non solo come lubrificante dello scambio, ma come sangue e nervo dello scambio stesso, sicché tot scambi comportano tot denaro, per cui ne occorrono altrettante unità, per quanto sia vero che ciò non spiega ancora quale debba essere la consistenza dell’unità; tant’è che, secondo Rothbard, una quantità di denaro vale l’altra, il che può anche essere teoricamente vero, nei limiti che preciserò tra poco. Il punto saliente, però, per Rothbard è che, mentre l’incremento di pane soddisfa un numero più vasto di bisogni, l’incremento di moneta non soddisfa alcun bisogno, non potendo la moneta essere consumata direttamente; ma abbiamo visto come ciò sia errato, dato che un incremento di moneta soddisfa il bisogno di stipulare più scambi, di adottare più negozi giuridici, e poiché non esiste il numerus clausus dei negozi giuridici, non esiste il numerus clausus della moneta; anche perché, come si è visto, ogni negozio giuridico è in grado a regime di auto-dotarsi della propria moneta e di auto-costituirla nel momento stesso in cui il negozio giuridico viene stipulato, essendo, anzi, moneta direttamente il negozio giuridico stesso in quanto obbligazione, o supporto di un’obbligazione, suscettibile di trasferimento e di circolazione autonoma e di autonoma considerazione economica. Ad esempio, se io acquisto un immobile, e stipulo il relativo contratto, posso addivenire a ulteriori scambi con terzi anche solo girando loro, cedendolo, il contratto di acquisto dell’immobile, e a quel punto il cartaceo del contratto è esso stesso moneta in grado di supportare il nuovo contratto, quello stipulato con il terzo.

Tornando al punto rothbardiano, però, la questione starebbe in altro, ossia nel fatto che un incremento di moneta produrrebbe null’altro che un effetto inflazionistico e nessun beneficio all’economia, intendendosi per effetto inflazionistico non il dato tautologico che è incrementata la moneta in circolazione, ma l’aumento dei prezzi, formulando un’equazione, che ha valore tutt’altro che assoluto e incondizionato, tra incremento di moneta in circolazione e aumento dei prezzi. Rothbard fonda la propria affermazione sul noto esempio, formulato da Hume, che dimostrerebbe il carattere meramente inflazionistico e improduttivo dell’incremento di moneta: immaginiamo che l’Arcangelo Gabriele o chi per lui/lei magicamente raddoppi in una notte le scorte di denaro a disposizione di ogni persona; ebbene, in tal caso, la mattina successiva nel mondo della produzione non sarebbe mutato assolutamente nulla, se non il fatto che i prezzi sono raddoppiati; in realtà, perché i prezzi raddoppino, sarebbe prima necessario che tutti fossero informati dell’avvenuto raddoppio della moneta a disposizione, dato che prima di allora ognuno crederebbe di essere l’unico beneficiario del miracolo, e quindi in tal modo un’iniziale spinta al consumo si produrrebbe, e quindi anche una spinta alla produzione, dato che almeno qualcuno, tra quelli convinti di essere il solo miracolato, si lancerebbe in investimenti produttivi, ma tralasciamo questo aspetto.

In realtà, l’affermazione, secondo la quale il raddoppio di moneta in circolazione lascerebbe le cose come stanno dal punto di vista produttivo, limitandosi a raddoppiare i prezzi, andrebbe molto meglio contestualizzata. Intanto, occorrerebbe indagare i potenziali effetti redistributivi, e non meramente inflazionistici, di tale raddoppio; perché se la massa monetaria complessiva fosse raddoppiata, ma assegnandosi in quote diseguali gli incrementi, assegnando cioè di più a chi ha meno, non si avrebbe semplicemente un effetto inflazionistico; tale approccio redistributivo si rende qui necessario, considerando che il raddoppio non opera nel caso in cui qualcuno non disponesse di assolutamente nulla in moneta il giorno precedente, posto che raddoppiare zero produce ancora zero, e quindi costoro sarebbero esclusi dal meccanismo del raddoppio.

Ma il punto più significativo in realtà è un altro, a dimostrazione dell’erroneità del proporre l’esempio del raddoppio in assenza di alcuna contestualizzazione; i fautori del sistema rothbardiano, a tale riguardo, sono soliti proporre il seguente esempio: ammettiamo che sul mercato siano presenti quattro mele, e che ognuna costi un dollaro; in tal caso, bastano quattro dollari per comprare le quattro mele.

Ammettiamo ora che i dollari a disposizione da quattro diventino otto: forse che qualcuno in tal modo sia diventato più ricco e abbia conquistato più potere d’acquisto? No di sicuro: semplicemente le quattro mele, invece di costare un dollaro, ne costeranno due -ipotizzando che stiamo parlando di un mercato saturato dalla presenza di quattro mele, nel quale non esista null’altro da acquistare. Dove cade questo ragionamento? Cade là dove dà per scontato uno stato stazionario, in cui oggi ci sono quattro mele e ci saranno sempre quattro mele; perché se invece lo sviluppo dell’economia è tale da consentire la produzione, non di quattro mele, ma di otto, allora il fatto di disporre di otto dollari e non di quattro non comporta alcuna inflazione, dato che le otto mele continueranno a costare un dollaro l’una, esattamente come ai tempi in cui le mele erano quattro.

Che cosa si ricava da questo ragionamento? Si ricava che la quantità di moneta -o, per meglio dire, di unità monetarie- ottimale in circolazione corrisponde alle potenzialità ed effettualità dell’economia, perché se la nostra economia è in grado di produrre otto mele, ma i dollari in circolazione continuano a essere quattro, è pur vero che allora ogni mela costerà mezzo dollaro e non uno, ma allora il punto diventa di classe, dato che l’oro e il concetto di moneta scarsa o limitata che vi è connesso è un concetto di classe: vale a dire su chi possiede i quattro dollari, chi sia il proprietario dell’oro o di altro corrispondente ai quattro dollari; perché se il controllo dell’oro e della moneta scarsa è monopolistico, se pure la mela da un dollaro scenderà a costarne mezzo, accadrà semplicemente che i monopolisti detentori di moneta scarsa si accaparreranno al medesimo prezzo il doppio della merce, restando sul lastrico gli altri. Meglio allora che i quattro detentori di moneta iniziali siano affiancati da altri quattro detentori di moneta, e che le otto mele continuino a costare un dollaro l’una, e quindi otto dollari complessivi, con la conseguenza che il fatto che i quattro euro siano diventati otto non ha procurato alcun danno, anzi, ha consentito ad altre quattro persone di procurarsi una mela ciascuno: in Rothbard e in moltissimi altri, probabilmente la maggior parte degli autori che affrontano un simile tema, si parla in astratto della mole monetaria in circolazione, senza porsi il problema di chi siano i detentori di moneta, se tutti o solo alcuni, quando solo il libero conio consente che ognuno sia posto nella condizione, quantomeno teorica, di dotarsi della moneta, della quale ha bisogno; in altri termini, la questione della quantità ottimale di moneta deve procedere di pari passo con la questione della distribuzione della moneta, della cui quantità ottimale si sta discutendo, dato che, diversamente, si sta sempre ragionando in una logica monopolistica o, quantomeno, oligopolistica, tanto più stante l’ancoraggio aureo, posto che l’oro, come Rothbard riconosce, compiacendosene, è moneta limitata, se non esattamente scarsa.

C’è però del vero, almeno in via del tutto astratta, nell’affermazione che la “quantità” di moneta in circolazione non è rilevante, ma tale affermazione risulta viziata dal fatto che, in tal caso, si sta parlando di moneta materiale “a peso”; trattandosi di moneta a peso, la quantità è invece rilevante. E infatti, ipotizzando la divisibilità all’infinito della moneta, io non potrò dividere all’infinito una pepita d’oro fino alle briciole e agli atomi, per farne realisticamente uso pratico; però è vero che la quantità monetaria in circolazione non andrà misurata a kili o tonnellate, ma ad unità monetarie, salvo poi stabilire quanti grammi o microgrammi debbano pesare un’unità monetaria; il fatto importante è però che questo problema non si pone con riferimento alla moneta virtuale, si tratti pure di moneta-merce virtualizzata e quotizzata: a quel punto potrò anche teoricamente commerciare in 0,0000000001 grammi, se la moneta-merce oro sarà in circolazione in quantità estremamente limitata, dato che non dovrò davvero consegnare 0,0000000001 grammo, ma semplicemente digitare quel numero.

Senonché a questo punto non esiste alcuna ragione al mondo per la quale l’oro debba essere l’”unica” moneta in circolazione, o magari affiancata dall’argento, dato che la tavola degli elementi, delle commodities e dei servizi rappresenta una tavolozza infinita, di modo che ogni merce, ogni bene o servizio è moneta direttamente, una volta digitalizzata, virtualizzata e quotizzata, il che si attaglia perfettamente al libero conio, molto meglio che a una situazione monopolistica, si tratti di monopolio legale o monopolio-oligopolio di fatto aureo. In una situazione di libero conio, ammettiamo allora che ognuno disponga di una carta di credito, nella quale egli registri liberamente sotto la propria autoresponsabilità tutti i retrostanti, reputazionali e materiali, di cui ritenga di disporre, ed emetta tutta la moneta che vuole su tali basi, assumendosene la responsabilità in vista della loro accettazione, con riconduzione di tutti i retrostanti a un numerario comune proprio, e anche comune con gli altri al meta-livello di ragguaglio, tal per cui uno può pagare utilizzando direttamente quel minimo comune denominatore come unità di misura, come ora dirò meglio.

Poiché infatti un monopolio in linea di massima è sempre più inefficiente di un’impresa aperta alla concorrenza, e quindi alla sperimentazione di nuove tecniche, nuovi strumenti e nuovi artifizi, il monopolio monetario, tanto più se di corso legale, rallenta percorsi di superamento dello stesso istituto monetario tradizionale, così come viceversa la tecnologia oggi consentirebbe, scritturando un sistema tendenzialmente infinito di equazioni simultanee tra i rispettivi valori dei beni, consentendo l’emersione di una meta-moneta meramente scritturale e numeraria, che non richiede nessunissima materializzazione, che non sia l’esito a video di un calcolo, che, con i potenti calcolatori di oggi e, soprattutto a venire, si impiegherebbe frazioni di secondi a effettuare: ciò determinerebbe un ritorno al baratto, ma senza le inefficienze originarie imputate al baratto, dato che, trattandosi di beni virtuali, essi sono infinitamente divisibili e ragguagliabili l’un l’altro nella divisione, senza nessuna necessità di una “merce” terza di mediazione -per cui il pregio dell’oro sarebbe stato di essere ottima merce “terza”- che deve ritenersi ormai antiquato residuo dei tempi in cui la materialità della moneta si imponeva: l’autentica concorrenza monetaria della fase suprema è quindi l’autonegazione della moneta e il suo riassorbimento in un mero dato numerico contabile, finalizzato al mero ragguaglio dei valori tra quantità date di beni, quantità che possono anche essere infinitesimali, data l’infinita divisibilità del bene virtuale, senza che alcuno dei beni assurga a unità di misura ultima, ovviamente nemmeno l’oro, essendo questo a sua volta “listato” insieme a ciascun'altra materia prima o commodity di qualsiasi genere.

In definitiva, ogni bene che sul mercato ha valore è moneta; e se questo è stato sempre vero nella teoria, oggi, attraverso la smaterializzazione e virtualizzazione informatica del bene, diventa perfettamente vero anche nella pratica; ogni bene nel senso più lato, e quindi anche ogni servizio. E infatti noi vediamo come Josiah Warren proponesse in pratica un baratto virtuale tra differenti lavori, ogni attività lavorativa futura diventa moneta, con l’aggiunta che io posso pagare anche con un buono di lavoro altrui e non solo mio, buono altrui che io abbia conseguito lavorando per quel terzo, e ne sia stato compensato con un buono incorporante lavoro futuro di lui, o avendogli versato io un buono di lavoro futuro mio, al quale lui abbia corrisposto con pari moneta di sua emissione.

In definitiva, così come nell’astratta concorrenza perfetta il profitto è pari a zero, nella fase suprema della concorrenza monetaria, non solo è zero il signoraggio, ma è la stessa moneta come concetto separato a estinguersi, dato che, con la digitalizzazione, nemmeno v’è ragione che sussista un “concetto monetario” separato da qualsiasi tipo di merce, servizio e bene in generale, ognuno potendo svolgere pari funzione, superandosi così concettualmente la distinzione stessa tra baratto e scambio monetario.

Occorre anche considerare una distorsione cognitiva, nella quale Rothbard incorre, ed è imperdonabile, da parte sua, trattandosi di studioso indubbiamente dotato di inclinazione libertaria; vale a dire che egli sembra dare per scontato che, alla fine, dal mercato debba necessariamente scaturire una moneta, una sola, o almeno una assolutamente dominante. È pur vero che il mercato dà vita a standards, ma più esattamente a una pluralità di standards, in grado di coesistere del tutto pacificamente, dato che il primo arrivato non vieta, salvo che si avvalga di poteri coercitivi, illegali o messi a disposizione dello Stato, l’esistenza sul mercato di un secondo, di un terzo e di un quarto arrivato, così come la Coca-Cola non vieta la Pepsi-Cola o la San Pellegrino o la San Benedetto; e non è certo un sistema di simili divieti che Rothbard propone con riferimento alla moneta.

E allora anche tutto il suo discorso sull’inflazione cade, dato che l’inflazione non va considerata tenendo a riferimento tutta la moneta in circolazione, ma, in caso di pluralità di monete, va considerata moneta per moneta; di modo che, affiancando l’oro con altre infinite monete, anche nella prospettiva del neo-baratto, del quale ho parlato, tali altre infinite monete, pur incrementando notevolmente la massa circolante, non hanno di per sé alcun effetto inflattivo, non possono averlo sull’oro, dato che tale effetto andrebbe valutato con riferimento a ciascuna moneta e, quindi, con riferimento a ciascun retrostante; posto che, se nuovo monete sorgono, e noi lo vediamo con le criptovalute, ognuna di esse ha i suoi propri negozi giuridici, ai quali fare riferimento, in quanto ciascuno di essi è espressione delle potenzialità dell’economia in generale, considerato che, evidentemente, la moneta a corso legale o, nell’esempio, aurea, non è sufficiente a fare fronte all’intera domanda di moneta da parte del mercato.

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