di Fabio Massimo Nicosia
Secondo la filosofia morale moderna, non esiste obbligo di obbedire ai comandi altrui, al di fuori di una convenzione condivisa che lo preveda, e che funzioni quindi da autorizzazione a emettere il comando, con la conseguenza che un comando così conformato non è poi davvero tale, ma solo un’indicazione ad attenersi al già convenuto, almeno sotto il profilo procedurale quanto alle determinazioni da assumere, sicché in un caso come questo la procedura convenuta funziona come un’attribuzione condivisa di competenza.
Allo stesso modo, Rousseau nel “Contratto
sociale” sostiene che non esiste alcun obbligo morale di obbedire al più forte
per il solo fatto ch’egli è il più forte, anche perché l’essere “il più forte”
può essere vicenda contingente e ribaltabile in favore di un nuovo “più forte”,
mentre invece si deve obbedire solo alle autorità convalidate dal diritto, e in
questo senso “legittime”. Senonché il punto critico insiste esattamente in tale
requisito della “legittimità”, che non è perfettamente chiaro in che cosa
consista, al di là delle palesi turlupinature di mascheramento del potere
arbitrario, e in che cosa mai possa consistere, se non appunto in consenso
prestato, anche perché abbondano le turlupinature subdole e non plateali: ma se
c’è consenso, non si tratta di obbedienza all’altro, ma di obbedienza a se
stesso, vale a dire a quanto liberamente convenuto di propria spontanea volontà
in accordo con l’altro, esattamente come in un contratto, che, una volta stipulato,
comporta un adempimento a una volontà che è in pari tempo la nostra e quella
della controparte contrattuale.
Al fondo, il pensiero
anarchico, al di là di alterazioni tonali e cromatiche dovute ai contesti
storici, altro non sostiene che questo, ossia il carattere abusivo del
comando unilaterale, e quindi dell’autorità autoreferenziale, la quale
pretenda di nutrirsi da sé della propria legittimità e legittimazione, oppure
la ricerchi in modo fraudolento attraverso argomenti in grado di conseguire
acquiescenza da parte di popoli supini, e allora subentra l’elemento ribellistico
o rivoluzionario dell’anarchismo, così come espressosi nelle varie epoche
storiche, ossia quando è stato posto, o si è posto, in grado di esprimersi,
agitandosi anche contro quelle masse o maggioranze supine e acquiescenti.
L’anarchismo genuino va
quindi inteso come una dottrina della delegittimazione della pretesa
dell’altro a imporsi unilateralmente nei nostri confronti, pretesa alla quale l’anarchico
oppone un satirico e demistificante “E tu chi ti credi di essere?”, chi
saresti mai tu per pretendere di dettare regole a me, dato che io non mi sento
in nulla inferiore o subalterno a te, e quindi non riconosco in tuo capo alcun
potere di disporre di me in alcun modo. Maestro, anche nel senso della primazia
storica, di tale approccio delegittimante è stato evidentemente Max Stirner, al
quale si contrappose comprensibilmente Marx, il quale in effetti andava alla
ricerca di altre e nuove formule di legittimazione, sicché l’approccio in
ultima analisi di mera devastazione di ogni pretesa di supremazia e di
costruzione istituzionale artificiosa di Stirner non poteva risultargli
congeniale; e a Stirner fece seguito immediato Nietzsche, con quello che ho
definito “programma naturalistico”, ossia di demistificazione di ogni
istituzione, in favore della valorizzazione degli impulsi naturali vitali, il
che non significa poi davvero di per sé che istituzioni non debbano esistere in
assoluto, ma solo, o soprattutto, che quelle esistenti vanno desacralizzate e
demistificate, giammai prese sul serio e giammai considerate meritevoli di
alcuna incondizionata fiducia.
Vien da chiedersi allora
su quali basi teoriche e filosofiche l’anarchismo abbia allora fatto propri
modi di intendere di tipo socialistico e non meramente individualistico:
il fatto è che se il “tu devi” di A non comporta obblighi per B, la Terra
deve considerarsi in origine comune. E infatti, se tu non sei legittimato a
impormi alcunché, e la mia libertà non si esprime nel vacuo etereo, ma sul
concreto materiale del Pianeta, ciò significa che ogni qualvolta io eserciti la
mia libertà io sia inevitabilmente compartecipe di determinazioni in ordine
alla destinazione d’uso della Terra; ma ciò comporta per implicazione
che, se io sono autorizzato dalla mia libertà a fissare destinazioni d’uso
sulla Terra, io non acquisisco titoli proprietari sulla Terra in conseguenza
delle mie determinazioni su quella destinazione d’uso, ma che ne disponevo già
prima di quelle determinazioni e che quelle determinazioni sono frutto ed
esito esattamente del potere legittimo che mi deriva da una mia preesistente
titolarità o contitolarità nei raffronti della Terra: vale a dire che la tua
carenza di legittimazione in ordine all’imporre determinati usi della Terra nei
miei confronti legittima al contempo il fatto che io a ciò provveda da me per
quanto riguarda me stesso, e che quindi la tua delegittimazione in quanto
autorità mi legittima quale proprietario, al pari di ogni altro, della Terra,
con la conseguenza che, prima facie e di base, la Terra è comune agli uomini,
delegittimandoti io a impormi alcun impedimento quanto alla mia circolazione o
al mio stazionamento sul Pianeta; ciò, in quanto la mia libertà, non
sviluppandosi nel vacuo etereo, ma sul suolo -o comunque sul sottosuolo
o il soprasuolo, ma solo occasionalmente-, la nozione di libertà si lega ab
origine strettamente con una qualche titolarità riconosciuta sul suolo, con
qualche diritto di possesso sul suolo, dato che la mia libertà si esprime
invariabilmente in una successione nel tempo di stati di occupazione dello
spazio terrestre; salvo che, siccome questo principio vale per tutti e
ciascuno, ecco allora che l’implicazione è inevitabilmente comunista da
questo punto di vista, detto anche Geo-comunista, in quanto riferito al
possesso condiviso originario della Terra.
Questo iter
argomentativo è in grado a mio avviso di esplicare come un approccio iconoclasta
nei confronti delle legittimazioni all’esercizio dell’autorità nei miei
confronti abbia immediate ricadute e implicazioni di tipo comunistico, il che
spiega molte cose sulla storia del pensiero e del movimento anarchico, cui
compito è stato, e a livello teorico è tuttora, di trovare una qualche forma di
equilibrio tra i due elementi fondamentali, che emergono dall’illustrazione che
precede, vale a dire l’elemento individualistico e l’elemento comunistico,
il tutto mantenendosi coerenti quanto alla negazione delegittimante nei
confronti di qualsiasi forma di autorità unilaterale dell’uomo sull’uomo: la
storia del pensiero anarchico, in particolare, è la storia della difficilissima
ricerca di tale equilibrio nella sua forma migliore possibile.
E ciò in quanto il
presupposto Geo-comunista poi non preclude affatto -e qui riemerge l’elemento
individualista iniziale- differenziazioni, in funzione di vari elementi
e requisiti, che sono la capacità di lavoro individuale, la reputazione e la
capacità, quindi, di dotarsi di una rete di relazioni: da tutto questo
emergono, in termini economici, due elementi di base: a) il diritto a una
qualche forma di rendita in capo a ognuno sull’uso del suolo, che poi trova
migliore sistematizzazione in chiave produttivistica nelle categorie dell’utile
universale o del profitto universale; b) il diritto al libero conio, in quanto
proiezione ed estrinsecazione -oltre che della titolarità, da parte mia, di una
quota di mondo, quel mondo che sono legittimato a possedere in unione
con gli altri- di quelle capacità, che sono prettamente individuali e
soggettive, di lavoro, di intessere relazioni sociali e di conseguire
reputazione. Ciò che in particolare va sottolineato è che tutto quanto precede
io sostengo, non in via normativa, come avviene nei left-libertarians
classici, che non sono in grado di dotare di alcun fondamento giustificativo la
propria proposta combinatoria di comunismo della Terra e di self-ownership;
ma su di un chiaro presupposto assiomatico, ma tale in quanto si auto-impone per
forza propria, e non per certazione costitutiva positiva mia, di delegittimazione
dell’autorità tua nei miei confronti: il che, lungi dal gravarmi di
particolari oneri di argomentazione, produce un chiaro effetto traslativo su di
te, che pretendi di comandarmi, del relativo onere di motivazione e della
prova: salvo che si tratta di probatio diabolica, posto che io potrò sempre
negare e contestare ad libitum, e in perfetta buona fede, qualsiasi supposta
prova o motivazione tu potrai mai pretendere di allegare, potendo io sempre e
comunque dichiararmene insoddisfatto, o almeno fin quando la tua pretesa di
dominio si manterrà nell’ambito del novero delle mere pretese unilaterali.
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