di Fabio Massimo Nicosia
L’idea che la proprietà del suolo vada assegnata al primo occupante presuppone un’opzione preliminare nel senso che la terra, originariamente, sarebbe res nullius, viceversa tutti i problemi che si evidenziano non si porrebbero ove la terra fosse considerata res communis, dato che primo o secondo occupante che sia graverebbe su di lui comunque un onere di compensazione a vantaggio dei “comunisti”, mentre la tesi della res nullius non comporta tale implicazione, e quindi deve fare i conti con ben altre difficoltà.
Anzitutto, la tesi del primo occupante e della res nullius presuppone che ci si trovi in uno stato di natura, in una situazione originaria priva di istituzioni -istituzioni dalle quali invece consegua una già avvenuta assegnazione dei titoli proprietari sulla base di un qualche criterio formale-sostanziale-, di tal che ci troveremmo in una situazione del tutto sguarnita di regole, se non un ipotetico e vago “diritto naturale”.
Ora, posto che la situazione di una terra del tutto vergine e non occupata da alcuno, ma da occuparsi individualmente, rientra nelle famose robinsonate marxiane, dato che, non vivendo l’uomo isolato se non appunto nelle robinsonate, la terra viene occupata di solito collettivamente, quantomeno da famiglie, da gruppi o da tribù, immaginiamo che, al cospetto di una terra vergine, si situino due concorrenti, i quali entrambi aspirino allo stesso lotto di suolo, dato che se concorrenti non vi fossero non si porrebbe alcun problema da risolvere. Ebbene, i due concorrenti sono soggetti o no a qualche regola di gara, ad esempio la buona fede, o vince il più forte senza esclusione di colpi? Perché, se supponiamo di trovarci in uno stato di natura hobbeseano, ciascuno dei due possiede il diritto a tutto, e quindi il diritto di fare preda del corpo dell’altro, vale a dire azzoppare o sgambettare il competitor, o dargli un colpo in testa all’arrivo, il che però vanificherebbe la regola del primo occupante. D’altra parte, non si comprende quale merito di assegnazione possa attribuirsi a qualcuno solo perché di gamba più lesta dell’altro -e saremmo sempre nell’ambito della superiorità della bruta forza, sia pure espressa in una gara che supponiamo leale, salvo imporre al più lesto una gara ad handicap-, laddove il secondo arrivato potrebbe in ipotesi assicurare una superiore produttività del bene. Per altro verso, anche a tale proposito si confrontano due scuole, una per la quale basta la mera occupazione fisica e materiale, a sua volta priva della capacità di conferire alcun merito, mentre per l’altra scuola occorre “lavorare” il suolo, salvo che non è chiaro, né che cosa significhi lavorarlo, né quanto occorra lavorarlo per impadronirsi del suolo, dato che allora il primo arrivato potrebbe limitarsi a praticare dei buchi sul terreno o, al più, a realizzarne lo sbancamento, mentre nello stesso periodo di tempo il secondo arrivato avrebbe potuto fare ben di più, e quindi contestare al primo arrivato l’efficacia appropriativa del suo poco e scarso “lavoro” e inefficiente. Già Hume pose il problema se, in una simile gara o corsa, uno possa vincere la contesa non toccando con mano il bene da conquistare, ma scagliando di lontano una freccia, sul presupposto che la freccia rappresenti un’estensione del corpo del gareggiante; e tuttavia, anche in tal caso, verrebbe da chiedersi donde scaturisca la proprietà della freccia, e quindi se anche questa sia o no legittima.
In generale, tuttavia, il criterio del primo occupante, o, sia pure, del primo lavorante, rimane un requisito fondato sulla forza fisica e non sulla forza intellettuale e morale, sicché pertiene più alla discussione sulle facoltà naturali non moralizzate che a quella sui diritti, naturali o no, ma comunque razionalmente fondati o giustificabili, laddove l’opzione utilitarista, vale a dire l’assegnazione del bene a chi lo fa rendere di più, appare più sensata, logica e ragionevole, del tutto indipendentemente dal fatto che si tratti del primo, del secondo, o del dodicesimo arrivato, scala quantitativa ordinale e per nulla qualitativa, del tutto priva in sé di alcuna pregnanza meritevole di presa in considerazione. Un criterio fondato sulla bruta forza può ben essere realistico, ma è ben poco efficiente, e anche ben poco fondato dal punto di vista di un ipotetico diritto naturale, che non sia la mera sanzione del diritto del più forte, il quale in una gara d’asta corrente verrebbe escluso, ove approffiti della propria forza di mercato per proporre offerte anomale, ossia eccessivamente ribassate in quanto da lui sostenibili finanziariamente, il che però rappresenterebbe, a ben vedere, una forma di abuso di posizione dominante o di dumping.
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