di Fabio Massimo Nicosia
Goethe nel Faust propone una satira degli "assegnati" della Rivoluzione francese, quegli assegnati su cui riflettè tanto Saint Just, ma senza arrivare a precise conclusioni, per denunciare i danni dell'inflazione monetaria.
Questi assegnati forse erano ispirati alle manovre di John Law, anzi, Goethe stesso sembra ancor più considerare la proposta di Law, il quale fondava il valore della moneta sulla terra, mentre Goethe va oltre e parla dell'oro del "sottosuolo".
Vale a dire, dice Mefistofele all'imperatore, tu sei proprietario di tutta la terra, ergo anche del sottosuolo, ergo di tutto l'oro situato nel sottosuolo; allora firma queste banconote, che hanno come retrostante e garanzia l'oro del tuo sottosuolo, senza bisogno, va da sé, di estrarre l'oro dal sottosuolo.
A questo punto si stampano tutte le banconote che si vogliono, e persino il buffone di corte potrà comprare latifondi e castelli, e in effetti anche oggi capita spesso che buffoni di corte accumulino ricchezze.
Io da tale satira dovrei sentirmi toccato, dato che parlo del demanio come retrostante monetario, salvo che il demanio, ad esempio l'etere, ha anche un valore d'uso effettivo e reale, quindi ha senz'altro un valore di mercato, per quanto si dirà che il demanio non è escutibile -il che nemmeno è vero come dimostra la Grecia.
Ma vediamo perché la satira di Goethe non funziona perfettamente a sostegno di politiche monetarie restrittive:
a) Quanto oro c'è nel sottosuolo dell'imperatore? Non si sa, mentre io chiedo contabilizzazione, voglio sapere in base a perizie quanto vale, in fair value, ossia in valore di mercato il demanio, che, in regime di sovranità popolare, non è dell'imperatore ma dei cittadini; se il presupposto è che l'oro sarà estratto un domani, allora qui siamo di fronte a un future, quindi si userebbero come moneta dei derivati, il che è già di per sé intrinsecamente rischioso, dato che si userebbero come moneta le ricevute di una scommessa.
b) Non sapendo quanto vale l'oro del sottosuolo, oltre che non conoscendo i costi di estrazione, ovvero nel mio caso non sapendo quanto vale il demanio (l'oro come metafora di tutto il demanio, ossia qui più precisamente di tutto il capitale naturale, e poi il demanio ricomprende anche il capitale comune artificiale), quante banconote vai stampando, o imperatore? Goethe dice che ne stampa all'infinito, ma ovvio che l'alternativa non è stamparne all'infinito, ma stamparne in base a valori di mercato sulla base delle effettive esigenze della produzione e della domanda del mercato, come già disse Ricardo, ossia che la quantità di moneta deve seguire lo sviluppo della produzione; quindi l'alternativa non è che la moneta debba essere assoggettata a regime di scarsità, come ritiene Goethe, basta che sia assoggettata a regime di ragione e non di delirio;
c) Ammettiamo che uno accetti la banconota dell'imperatore sul presupposto che a garanzia si situi l'oro del sottosuolo. Poi, dice Goethe, lui va dal cambiavalute, e il cambiavalute, con un po' di sconto, ti dà dell'oro effettivo. Ma bravo, ma se poi vai dall'imperatore lui non ti dà un cavolo dell'oro del sottosuolo, quindi è pura moneta fiat senza retrostante, e allora occorre ragionare in termini aggiornati sulla moneta fiat, non fingendo che l'oro del sottosuolo funga da garanzia e collaterale;
d) Anche nella mia proposta, ammettendo che ognuno sia titolare di pari quota di Terra (o di demanio), ognuno potrebbe emettere moneta su tale base, ma poi, se uno viene a riscuotere, gli cedi la tua quota di Terra o di demanio o è inalienabile? Ammetto di avere avuto opinioni oscillanti su questo; tuttavia, è diverso tra moneta monopolistica emessa dall'imperatore in nome del suo sottosuolo, e moneta libera sulla base ognuno della sua quota di Terra: intanto c'è questa distinzione che la quotizzazione della Terra (o del demanio), conferisce un valore preciso, che invece nel caso dell'imperatore non abbiamo. Ma il punto vero è un altro: ossia che, supponendo che la Terra sia comune e tutti ne dispongano di una pari quota, gli scambi sarebbero tutti alla pari, ma non è questo l'unico retrostante virtuale di un libero conio, ma solo la sua base psicologica (ossia che tutti sono assunti in quanto depositari di un capitale di base), dopo di che le differenziazioni avvengono sulla base delle reputazioni e dei servizi forniti e fornendi.
La base Terra viene assunta come presupposto logico, ma non necessariamente escussa alla bisogna, ciò che può essere escusso è il servizio promesso (mia rielaborazione della teoria di Josiah Warren), e la mancata escussione andrebbe a detrimento della reputazione, e quindi ci sarebbe una sanzione di mercato per l'inadempiente, ossia un danno reputazionale, che assume valore economico autonomo.
Resta aperta l'altra ipotesi, ossia che la quota di Terra di ciascuno sia intesa in senso non metaforico, ma effettivo, e quindi ognuno metterebbe a rischio la propria, il che però mi pare poco praticabile, in quanto il poggiare i piedi sulla Terra è prerogativa necessaria dell'essere umano.
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