Intervento di Fabio Massimo Nicosia al Comitato Nazionale di Radicali Italiani dell'8 maggio 2021
Cari compagni,
anche questo è un intervento di sinistra, ma della sinistra che non esiste più, quella laica, libertaria, tollerante e contro ogni fanatismo, che Pannella incarnò, e che purtroppo temo alcuni di voi stiano abbandonando, per aggregarsi al carrozzone sinistrese boldriniano e post-piccista.
Mi riferisco al DDR Zan, DDR, perché l’ispirazione è la stessa che muove Robertino “o’ DDR” Speranza, quello che invita gli italiani a spiarsi l’un l’altro in nome della sua distopia totalitaria, quella dello “stato sanitario permanente” (vedi suo libro), nonché quello del lockdown come strumento di partenza per imporre l’”egemonia culturale” della sinistra, ossia della sinistra che fa schifo che conosciamo.
È appena il caso di notare che Pannella nella vita non ha fatto altro che opporsi all’egemonia culturale del PCI sulla sinistra, ma pare che qui qualcuno se ne sia dimenticato, o non c’era per ragioni di età; invece se c’era dormiva.
In effetti, per quanto Renzi avesse chiari limiti nel suo ostentato “modernismo”, talora comico, dopo di lui il diluvio, nel senso che dopo di lui le segreterie PD sono state segreterie PCI.
Sto leggendo un libro utilissimo, Douglas Murray, La pazzia delle folle - Gender, razza, identità, Neri Pozza editore, che i radicali dovrebbero leggere quasi in una sorta di autobiografia della nazione (radicale), pensando intanto a quanto Pasolini scrisse nel suo testamento spirituale, rivolto ai radicali nel 1975, quasi a rischio di celebrare una commorienza, o quanto meno a indicare il rischio di una prognosi infausta.
Io li ricordo i congressi radicali degli anni ’70: l’intersezionalità nacque lì, o almeno era già presente. Ma Pannella personalmente, data la sua caratura liberale ben salda, non cadde mai nel rischio indicato da Pasolini, ossia l’accodarsi a una prevista (dal poeta-regista) egemonia comunista, e ora post-comunista, sui “diritti civili”.
Io ricordo la genesi di questo passaggio storico (vedi che i boomer servono?), ossia il preciso momento in cui i “diritti civili” da radicali sono diventati comunisti, perché non è da radicale, ma da comunista, definire “legge sui diritti civili” una legge che manda in galera le persone. Quindi ci troviamo di fronte a una manifestazione di neo-lingua orwelliana, dato che non si è mai saputo che Martin Luther King si battesse per diritti civili carcerari.
Quel preciso momento fu quando, al termine del triennio dell’Unità Nazionale, nel corso del quale il PCI nei confronti dei radicali aveva mostrato solo disprezzo (si veda il noto gesto volgare e liquidatorio di Natta a Emma Bonino a Tribuna politica, o le “satire” di Fortebraccio contro Pannella su l’Unità, e tante altre cose, per le quali Pannella era immancabilmente strumento consapevole delle destre e dei fascisti) il prestigioso periodico culturale del PCI “Rinascita”, inevitabilmente fondato dal compagno Palmiro Togliatti (noto alle croniche più che altro come sottopancia di Stalin, per le invettive verso liberal-socialisti e per complicità negli assassinii di anarchici, oltre che di Trotskj, ma anche per un brillante appello ai “compagni in camicia nera”, nel quale riconosceva tardivamente, ma prima di De Felice, le virtù di Piazza San Sepolcro nel 1919), “Rinascita”, dicevo, pubblicò un numero ampiamente, se non esclusivamente, dedicato ai radicali.
Per fare loro complimenti, riconoscendo il famoso “ritardo del PCI nelle lotte per i diritti civili”? Non esattamente. Ovviamente per dire invece che i radicali non includevano i diritti civili nel più ampio contesto della lotta operaia di classe, e che allora sarebbe dovuto toccare al PCI di farsi carico di codesti “diritti civili”, al fine precipuo di ricomprenderli in siffatta lotta operaia di classe: da qui gli Arci Gay, la Legambiente sempre dell’Arci, però c’era anche l’ArciCaccia, ma questo rientra logicamente nelle contraddizioni della dialettica hegeliana, che sempre presiede alle magnifiche sorti e progressive del destino storico e materiale del proletariato, sin quando dette contraddizioni dialettiche troveranno risoluzione definitiva e finale nella fase suprema del comunismo inverato (che, si badi, però, per Marx dovrebbe estinguere lo Stato, passaggio piuttosto dimenticato da quella gente, che non fa che invocarne l’intervento).
Da quel momento i diritti civili sono diventati fuffa (benché da diffidato cannabis io sia in attesa di una sana liberalizzazione: onore ai diffidati, come dice la Curva Nord). Ma si badi bene che non si tratta di un fenomeno prettamente italiano: se noi guardiamo agli Stati Uniti, con la bussola del citato libro di Douglas Murray (peraltro un omosessuale, che però si fa beffe con ironia e dovizia di argomenti di tutta la rumenta che viene dal mondo queer e gender), è anche peggio, quel peggio che ora atterra nella Colonia Italica sub specie di DDR Zan: sicché Pasolini ha sbagliato per difetto, non trattandosi solo di innocuo “conformismo de sinistra”, ma di molto peggio, ossia di nuovi fondamenti di legittimazione della coercizione.
Infatti, sottolinea Murray come questi movimenti identitari siano prontamente passati dall’essere libertari all’essere autoritari e coercitivi (un po’ come ho detto che da noi i diritti civili da radicali sono diventati comunisti), e ciò non casualmente, ma per precise ragioni ideologiche e storiche, connesse con quel nido di vipere che è l’accademia americana, soprattutto nel campo delle “scienze” sociali (pseudoscienze), dove prosperano marxisti e post-marxisti, con spezie foucaultiane maldigerite, i quali servono cocktail imbevibili e minestroni immangiabili; alias, scrivono libri illeggibili pieni di fumisterie “strutturaliste”, il che non depone a favore della loro scientificità, essendo del tutto privi di chiarezza e di analisi sui concetti utilizzati, il che non avviene certo, dico in America, nei dipartimenti STEM, dove la precisione richiesta è assoluta, ma nemmeno in filosofia politica, dove l’analisi dei concetti è parimenti richiesta: figurarsi nel diritto, che vive esclusivamente di concetti precisi, altrimenti è imbroglio.
Ebbene, nota Murray che il salto di qualità di questi movimenti, inizialmente soprattutto accademici, si ha con il 1989 e la caduta del Muro di Berlino, e quindi dei socialismi reali.
Siccome questi sono dei ritardati, non hanno letto nulla in passato, né Bruno Rizzi, né Castoriadis, né gli anarchici (Malatesta lo disse dopo due giorni dalla Rivoluzione d’ottobre che il comunismo di Lenin avrebbe fatto presto disastri), né liberali come Mises e Hayek; e quindi hanno dovuto aspettare il crollo del socialismo reale per capire che il socialismo reale faceva schifo, e stanno ancora elaborando il lutto: nemmeno evidentemente sapevano nulla del movimento del “dissenso”, che comunque ha prodotto ampia letteratura di critica politica, spesso buona.
E allora arrivano a dire con ritardo cose che, in realtà, noi dicevamo negli anni ’70, fondamentalmente sulla base del neo-femminismo, movimento che ha il mio più ampio rispetto, o come dicevano i primi omosessuali radicali del Fuori (io leggevo sempre il loro giornale, suscitando reazione non positiva in mia madre), i quali però si battevano per la liberazione sessuale di tutti e non chiedevano coercizione nei confronti degli altri: ossia che esistono forme di oppressione ulteriori rispetto a quella del lavoro salariato, e queste forme possono entrare in contraddizione con il movimento operaio: tradotto, gli operai sono gente come noi, come diceva Giorgio Gaber, ma sono anche un bel po’ maschilisti e gli stanno sul culo i culattoni (si veda il film con Pozzetto e Ranieri “La patata bollente”, nel quale il tema omosessuale viene fatto irrompere in una comunità di virili lavoratori).
Chi ha vissuto gli anni ’70 sa che Sofri ha chiuso Lotta Continua proprio su questo, dato che LC aveva matrice operaista, e poi si è trovata travolta da femministe, che ai cortei venivano sprangate dagli “operai”, fino al congresso del 1976 in cui di fatto le femministe non hanno nemmeno fatto prendere la parola ai maschi (“operai”), finendo il tutto in un futuristico tumulto degno di Boccioni.
Ora però emerge un dettaglio teorico fondamentale, ossia che il “diritto civile” dei post-marxisti (chiedere a Massimo Teodori lumi sui primi movimenti americani giovanili, che non erano marxisti, ma libertari, e cessarono di esistere quando persero questa caratteristica: fenomeno analogo a quanto è avvenuto a Milano in piccolo con il prevalere sui libertari del MS stalinista della Statale di Capanna), non è uno strumento di libertà, ma uno strumento intollerante di potere coercitivo e di sopraffazione, in linea con la logica della “dittatura del proletariato”, che diventa “dittatura del queer”, e così via, dato che il queer, il gender etc. non si accomodano ad ottenere rispetto, ma vogliono anche imporre, ad esempio sul lavoro, all’università, etc., le loro stronzate, che devono diventare regole per tutti, pena il licenziamento, l’ostracismo, il boicottaggio e ora la galera.
Murray narra il ruolo devastante che ha svolto il #metoo in questa vicenda, dando vita a una grandissima confusione, nel mondo stesso delle star americane, su quali siano i comportamenti ammessi e quelli non ammessi, latitando regole consuetudinarie consolidate, favorendo condotte opportunistiche e speculative, zittendo un grande numero di professori “dubbiosi” su molte cose, fino appunto alla Spada di Damocle del licenziamento (la sapete quella dei professori che lasciano la porta aperta quando entra una donna, o non salgono più in ascensore con una donna?).
Io so del licenziamento di una docente, cambiando apparentemente argomento, che è stata licenziata in tronco per avere effettuato una ricerca sul fatto che gli studenti di colore avessero esiti inferiori a quelli dei bianchi, dato che si tratterebbe di ricerca totalmente “inopportuna”, dato che poi qualcuno potrebbe iniziare a opinare sul “perché”, ma è totalmente vietato anche porsi solo la domanda, “domanda non ammessa”, in quanto discriminatoria e razzista (ma io ricordo che Feyerabend diceva cose totalmente diverse sulla libertà di ricerca anche in questo campo, benché alcuni imputino a lui di essere stato indirettamente uno dei padri del politicamente corretto, in quanto filosofo relativista).
E allora veniamo a noi (apprezzate che non vi ho parlato di Biancaneve e degli Aristogatti): il nostro legislatore cosiddetto, aspirante tale, che poi a vedere i nomi dei presentatori sono i soliti dissennati (Boldrini, Speranza, oltre a questo Zan, che negli ultimi giorni si è distinto per varie prese di posizione minatorie: si noti che viene da SEL, altro movimento di ritardati), pretende di imporre a tutto il popolo italiano, sotto minaccia di coercizione carceraria, nientedimeno che le teorie-fuffa sul gender di Judith Butler, come se queste avessero il crisma di chissà quale scientificità: ossia quelli che dicono che il sesso è interamente, interamente, si badi, un costrutto sociale e non ha alcun fondamento biologico, quando studi più seri spiegano la differenza tra il cervello della donna e quello del maschio (ovviamente non dicono che uno sia migliore dell’altro), oltre che tante altre cose, oltre a quanto sappiamo, dato che ognun lo vede.
Questo è puro fanatismo, che non deve trovare luogo in un testo di legge; Pannella avrebbe molto da ridire, se sapesse che appoggiate questa roba, o almeno alcuni di voi, i quali non hanno forse ben capito che qui si parla di carcere: cioè, se a uno Judith Butler gli schifa, viene incarcerato. Naturalmente in Italia nessuno sa chi sia, ma siccome il detto popolare (sbagliato) dice “la legge non ammette ignoranza”, da oggi tutti a studiare Judith Butler; e dire che dicevano che la teoria gender non esisteva e che si trattava di un complotto dell’estrema destra e di Qanon: invece diventa legge, dindondero.
Poi mi rimproverano che dico le parolacce (mentre Pannella era pure contro la legge Mancino, dato che dava la sua solidarietà ai giovani camerati imputati e cacciati dal buffone Fini).
Un libertario respinge al mittente il concetto stesso di hate speech, perché l’hate speech non è altro che una forma del free speech, anche per la sola ragione che, essendo l’odio un sentimento naturale, la libertà di manifestazione dei sentimenti, oltre che del pensiero, ci dice che anche l’odio deve potere essere espresso; l’odio, del resto, può essere un sentimento nobilissimo: ad esempio, io odio profondamente gli psichiatri che mi hanno danneggiato (economicamente, psichicamente, fisicamente), e voglio vedere se fanno la legge contro la psichiatrofobia, dopo quella contro la ciccionefobia, la occhialutofobia, la bruttezzafobia e via elencando categorie da tutelare via via, sempre corporativisticamente ragionando (adesso Salvini dice che vuole una legge generale sulle aggravanti, quindi la gara con gli Zanobiti diventa su chi vuole la pena più alta).
Non mi sfuggono alcune cose: ad esempio che non è perfettamente risolta la questione dell’inquadramento dell’atto linguistico performativo di istigazione (ma Erri de Luca è stato assolto dall’accusa di avere istigato a sabotare la TAV, si tratta di libera manifestazione del pensiero, hanno deciso).
Né mi sfugge che la giurisprudenza della Corte Costituzionale sull’art. 21 Cost. sia tutt’altro che buona, dato che ce l’arriminano sempre con la questione del “bilanciamento dei diritti”, per cui le limitazioni alla libertà di parola vanno oltre la lettera dell’art. 21, il che darebbe un argomento ai miei contraddittori (se conoscessero la giurisprudenza della Corte).
Io seguo un criterio: è reato ciò che comporta danno emergente visibile, il resto è fuffa panpenalistica. Nella mia prospettiva anarchica, il diritto penale è sostituito dal civile, quindi è illecito solo l’atto che, procurando danno effettivo a un terzo, legittima questi alla richiesta di un risarcimento del danno, con l’onere di dimostrare il danno stesso.
Se io pronuncio parole di hate speech, tipo “gli psichiatri sono tutti delle merde infami e pure degli ignoranti quaquaraquà”, gli psichiatri non hanno subito danno alcuno, se non quello legittimo nella reputazione di categoria nei limiti della mia credibilità, quindi non hanno nessun risarcimento del danno da chiedermi, dato che nemmeno sono in grado di dimostrare un danno effettivo.
Se io dico “frocio” su Facebook, cosa che non faccio, alcuni omosessuali si offenderanno, altri invece non darebbero alla cosa nessunissimo peso, ma qui si ragiona per categorie e non per individui, il che già di per sé deve mettere in allarme un libertario.
Ma quel che più mi sconsola, è la banalità del male, con la quale chi di voi difende il pattume Zan incorre in quella fallacia di salto di genere logico e non sequitur, che chiamo fallacia penalistica, ossia quella forma popolare diffusa, per la quale, quando ci si chiede se una condotta sia buona o cattiva, si intende se sia, non moralmente lecita, ma giuridicamente lecita o illecita; di più: nel caso in cui sia reputata illecita, a essa deve per forza corrispondere un divieto, anzi un divieto penale, anzi il carcere (di risarcimento danni non può parlarsi per le ragioni indicate, perché se invece tu aggredisci, insultandola, una persona specifica, ecco allora che il risarcimento del danno è previsto).
Ora, quanti milioni di volte ho sentito Emma Bonino dire che altro è il peccato, altro è il reato? Quindi questo concetto l’avete chiaro, l’avete avuto chiaro con l’aborto –per cui nei sondaggi sbagliavano, chiedendo alle persone “siete favorevoli o sfavorevoli all’aborto”, quando invece avrebbero dovuto chiedere “siete favorevoli o sfavorevoli alla penalizzazione (o alla depenalizzazione) dell’aborto, qualunque sia il giudizio morale che date sull’aborto?” (ricordo di passata che i radicali, quindi Bonino e Faccio comprese votarono contro la legge cattocomunista 194/1978, in quanto statalista, procedimentalizzante l’aborto, e così via: invece ora rivendicate la 194 senza fare precisazioni).
Capite benissimo e avete sempre capito questo concetto a proposito di droga e droghe (non come quelli per strada che dicono: “vuole firmare contro la droga?”), dato che il tema non è “sei favorevole alla droga”, ma “sei favorevole alla penalizzazione o depenalizzazione del consumo (o della coltivazione, etc.) di droghe, qualunque sia il giudizio morale che dai sul consumo di droghe?”.
Allora, se il concetto vi è ben chiaro, non capisco perché non lo applichiate alla Zan, come ha fatto il questa volta buon Maurizio Turco, che ha detto, “non con la pena, ma con la cultura, si batte l’omofobia”, per quanto a me tutte ste fobie facciano comunque cascare le balle, dato che io tutelo anche il diritto a essere omofobo, perché ogni essere umano ha le sue fobie e gli altri muti (si noti che la legge non fa eccezioni per la satira, per lo spettacolo, ad esempio il teatro, per cui io non potrei scrivere una pièce che si prenda gioco dell’ambiente gay, o cantare in pubblico una canzone come “Benvenuti a sti frocioni”, quella con Lino Banfi in “Fracchia la belva umana”): gira e rigira, la censura ha trovato una nuova fonte di legittimazione, ossia che ci sono alcuni, poverini, che si “offendono”: ma che si offendano pure! La libertà della circolazione delle idee per un libertario è un valore superiore, anche quando le idee sono sbagliate, come dicevano tanto John Stuart Mill quanto Thomas Jefferson.
Ma nessuno mi viene a chiedere che cosa offenda me: ad esempio quando su Facebook leggo ostiate giuridiche da parte di radicali che dicono che i DPCM Conte sono conformi allo “Stato di diritto”, che lo Statuto di Radicali Italiani impone di tutelare, mentre qui si è alquanto sbracato, divulgando per un anno intero bestialità quotidiane sulla gerarchia delle fonti, come nel caso dei post filo-governativi, per non dire di regime, di Capriccioli.
Il quale di gerarchia delle fonti non sa assolutamente nulla, e allora non si capisce perché se ne occupi con tanto zelo, facendo fare cattiva figura a RI –o, ancor peggio, raccogliendo il plauso ignorante del semicolto de sinistra-, ma anche diffondendo idee malfondate all’interno, per cui poi c’è chi le ripete e ti tocca pure discuterci; in questa notte in cui tutte le vacche sono bige, per cui il mio parere, ossia il parere di chi ha iniziato a fare il giurista 40 anni fa, vale il suo, che dà pareri tirando i bussolotti. Ma io lo dicevo già nel 2016 che non si può fare il “partito del diritto”, non capendo una beata minchia di diritto: dopo di che uno sceglie da chi vuole farsi rappresentare, ma poi non si lamenti se raccoglie acconci pernacchi da chi di dovere.
Quindi, tornando al nostro tema, la questione non è, come credono Fedez, Achille Lauro, Alessandra “Do You Want Applause” Mussolini e gli altri insigni giuristi par loro (perché quelli veri si vergognano) messi in campo dal centro-sinistra, “sei favorevole o contrario all’omofobia”, ma “sei favorevole o contrario a penalizzare l’omofobia, quale che sia il tuo giudizio morale sull’omofobia?”
Il non capire questo conduce immantinente dalle parti del panpenalismo e del populismo penale, argomenti su cui si è sovente soffermato mio cugino Giovanni Fiandaca, il noto docente di diritto penale (con il quale però non ho ancora parlato di Zan, ma lui è un prudente, quindi direbbe che fa schifo ma girandoci intorno).
Ora, vorrei fare sommessamente osservare, nell’ambito dell’iniziativa “Nicosia ha fatto anche cose buone”, che, nel 2016, quindi non nei favolosi anni di piombo, ma ieri l’altro, io ho organizzato, avendolo proposto a Riccardo Magi, un convegno alla Camera dei deputati, intitolato, mica ciufoli, ma: “Oltre il carcere, oltre la pena”, con ottima presenza anche di Michele Capano, al quale sono riuscito a portare anche Gherardo Colombo: quindi non solo critica del carcere, ma anche critica del diritto penale; certe cose, una volta acquisite, si mantengono nel proprio patrimonio politico e ideale, mica si buttano nel cesso alla prima occasione.
Vengo rapidamente ad alcuni punti specifici del progetto di legge, punti già noti ai dibattiti su Facebook, ai quali sono intervenuto come Giuseppe Bessarione (ossia Stalin nella versione italiana di Gramsci, che usava questa dizione al posto di quella di Iosif Vissarionovič (Džugašvili), per sfuggire alla censura carceraria). Mi scuso se sono apparso aggressivo in quei dibattiti su Facebook, ad esempio con Simone Sapienza, ma questa tensione deriva dalla delusione di trovare radicali su questa posizione.
Dunque, stabilito che l’identità di genere, disancorata dal sesso biologico, è spazzatura scientifica (fermo restando che io mi autocertifico come mi pare, ma senza oneri per lo Stato, come si suol dire), la mia amica Marina Terragni, nota “radfem”, mi segnala sempre varie conseguenze assurde della sua applicazione legislativa, ad esempio nel mondo dello sport, compreso il fatto che i trans, oltre a prendere a pugni in faccia le donne sul ring, perché sono donne anche loro secondo la federazione sportiva, prendono decisioni che impattano sulle donne, senza sentire il parere delle donne. Donne che rivendicano la fisicità biologica dell’essere donne, che non può essere sostituita da un certificato autoprodotto.
E allora capita che una donna, anche femminista radicale, scopra che la gravidanza, l’allattamento, il rapporto intimo con il bambino partorito, sono elementi costitutivi, anche se (ovviamente) non obbligatori, dell’essere donna: da qui l’apparente avvicinarsi delle radfem a posizioni cattoliche tradizionaliste, fermo restando che essere cattolico e tradizionalista è cosa per nulla biasimevole.
Ma veniamo all’art. 4, il punto che mi sta più a cuore, che dopo che ne ho parlato in un articolo è stato ripreso da molti, mentre prima non lo citava nessuno, dato che doveva trattarsi di una mediazione con la destra sulla libertà di parola: il che dimostra solo che quelli di destra sono degli incapaci che si fanno infinocchiare (e intanto Radicali Italiani, come sul covid, regala a Salvini e Meloni il linguaggio della libertà: suicidio!).
Qualcuno, al riguardo, invoca il cosiddetto “paradosso di Popper”, ma si tratta del rifugio dei mascalzoni, quando questi vogliono censurare o arrestare qualcuno, dato che il "paradosso di Popper" non è per nulla un paradosso e si riferisce agli atti concretamente violenti, cosa che nel noto meme che gira su Facebook viene taciuta: di solito viene tirato in ballo in senso “antifascista”, ma di fatto si tratta di un modo per attaccare i “fascisti” Salvini e Meloni e per sostenere leggi come quelle proposte di Fiano e dal Comune di Stazzema per la messa fuorilegge dei cavatappi e dei calendari col Duce che vendono a Predappio.
Quindi iniziative da poveri di spirito, che non sanno leggere quali siano i poteri reali della contemporaneità, e allora se la prendono con il “Presente!” alla rievocazione di Sergio Ramelli, ucciso a sedici anni dagli squadristi sprangatori di Avanguardia Operaia, uno dei peggiori gruppi extraparlamentari di allora e di sempre: insomma, Fiano e soci sono dei perdigiorno, e sapete come Pannella giudicava questo antifassismo ex post (si noti che la Cassazione ha sempre detto che il necessario saluto romano al Presente! non è reato, perché trattasi di rievocazione che non comporta pericolo di per sé di ricostituzione del PNF, mentre ora, mutato il clima, la giurisprudenza si sta facendo più restrittiva, posto che il risibile antifassismo da sardina del terzo millennio è fondamento legittimante del nuovo regime, dato che bisogna prendersela con i regimi di ieri, non potendosela quasi più prendersela con quello di oggi).
Nel caso dello Zan, l’intollerante da non tollerare è l’omofobo, è il transofobo, è il bifobo, è l’inabilofobo, che già fa ridere così (inutile dire che gli atti realmente aggressivi sono già puniti, e già puniti con l’aggravante dei motivi abbietti e futili, come da costante giurisprudenza).
A me pare che l’intollerante da non tollerare sia invece la schiera dei nuovi squadristi, quelli che scrivono su Facebook a favore della Zan, dichiarando di volere mandare in Siberia chi si oppone (eccallà), di solito senza saperne nulla: nemmeno temo la Zan, quanto il suo fan club, direbbe Woody Allen, dato che sono questi quelli dell’”egemonia culturale” speranziana, è questa la base di massa semicolta del neofascismo “democratico” degli Speranza, dei Bersani, delle Boldrini, degli Zingaretti, quello di #Milanononsiferma, #Abbracciauncinese, #Lunicovirusèilrazzismo, che viene sul Naviglio a toccare i salatini con le mani dove le mettono tutti, perché così imponeva un anno fa il mainstream di queste folli banderuole (a stato di emergenza già proclamato!).
Se quindi noi dissenzienti siamo destinati alla Siberia dal semicolto de sinistra, occorre riconoscere che, in effetti, le sanzioni della Zan, data la loro rozzezza, sono il corrispondente odierno delle chiavi inglesi e delle spranghe del post-68, dato che sempre di minaccia di violenza sul non allineato si tratta: solo che alla violenza da strada, come quella contro Ramelli, viene sostituita la violenza di Stato della minaccia penale e carceraria.
Ora, questo benedetto art. 4, che reputo un abominio giuridico, scritto con il culo da chi tratta il diritto, non in punta di penna, ma con la zappa, così dispone: “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”. “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
A voi non fa ridere? A me invece le supercazzole fanno ridere.
Anzitutto, notiamo che il legislatore di “sinistra” fatichi a usare la normale locuzione “libertà di manifestazione del pensiero”, dato che non giova ai suoi fini, e allora parla in modo poco tecnico di “libera espressione di convincimenti e opinioni”, e va bene. E le fa salve, insieme alle condotte “legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”, ma, come dirò subito, con dei limiti piuttosto stravaganti. Si noti intanto che il premuroso (aspirante) legislatore, fa salve condotte “legittime”. In termini tecnici, si tratta di una circolarità, dato che è del tutto ovvio che se una condotta è “legittima” è fatta salva, ma lo è a livello costituzionale, non per concessione graziosa del legislatore, e quindi si tratta di un mero e superfluo rinvio al principio costituzionale di cui all’art. 21.
Cioè, un legislatore scrive che ciò che è legittimo è ammesso, e noi non dovremmo ridere? Ma, si badi bene, qui il legislatore ordinario medesimo, mentre ci concede le libertà costituzionali bontà sua, pretende di imporre una deroga al principio costituzionale da esso stesso invocato, precisando che alcune “legittime” condotte (“purché”, infatti, dice la norma) sono escluse da quelle che l’art. 21 Cost. ammetterebbe!
Vale a dire quelle “idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”; si introduce così quindi, il concetto alquanto stalinista o maoista, o anche fascista, di “opinione pericolosa”, che non è chiaro in quale modo determinerebbe il pericolo di compimento di atti discriminatori o violenti, dato che nemmeno è richiesto che si tratti di istigazione, quindi non si sa in che forma “oggettiva” si determini il “pericolo”.
Con tale limitazione, la norma pretende di disapplicare direttamente l’art. 21 della Costituzione, e quindi rappresenta qualcosa di più di una semplice norma incostituzionale, per rivelarsi una norma radicalmente nulla, data la sua pretesa di derogare, in pratica esplicitamente, alla Costituzione stessa: si tratta perciò a mio avviso di norma disapplicabile direttamente dal giudice in quanto giuridicamente inesistente, un caso limite di scuola, quindi.
Del resto, nemmeno è richiesto che gli atti discriminatori o violenti si verifichino, né viene precisato in che modo vi sia nesso tra “opinione” e “atto discriminatorio o violento”, dato che non si richiede nesso di causalità, né infine viene chiarito se si debba trattare di atti propri o altrui; quindi, come ha notato Giandomenico Barcellona, ci troveremmo innanzi a un caso di responsabilità (oggettiva) per atto altrui, in presenza di un nesso logico con la nostra espressione di opinione del tutto evanescente, e nemmeno di causa/effetto.
L’arbitrio affidato al giudice, oltretutto nell’applicare concetti indeterminati, è completo.
D’altra parte, è lo stesso concetto di “discriminazione” a rimanere alquanto indeterminato, e già l’abbiamo visto con la giurisprudenza formatasi sulla legge Mancino. Anche qui si sa e si capisce poco. Ad esempio, qualcuno che invitasse a una festa i colleghi di lavoro, escludendo (per qualsiasi ragione) il collega omosessuale, commetterebbe reato? Perché altri sarebbero i discorsi se fossero impostati in termini puramente civilistici, ma qui, come da detto popolare, “si va nel penale”.
Il fatto è che nella forma mentis comunista, come in quella fascista, il cittadino è considerato una sorta di organo dello Stato, sicché si applicano a lui le stesse leggi e gli stessi principi che si applicano allo Stato. Infatti, lo Stato deve garantire il principio di parità di trattamento, e quindi, per esempio, non può escludere un omosessuale dall’insegnamento.
Il cittadino, invece, dovrebbe essere soggetto al solo principio di libertà nei limiti del neminem laedere, e quindi dovrebbe essere liberissimo di non ingaggiare un omosessuale come precettore del figlio: sarà pure una discriminazione stupida, e può anche rivelarsi in un caso determinato controproducente e autolesionista, ma non si può pretendere che assurga a violazione di precetto penale e a ragione di incarcerazione!
In generale, siamo qui ancora di fronte a una tendenza generale della sinistra odierna, ossia quella di trattare la nostra Costituzione rigida da costituzione flessibile: e si badi che, alle basi della dittatura fascista, sul piano formale, si è posto proprio l’approfittare, da parte di Mussolini, del fatto che lo Statuto Albertino fosse una costituzione flessibile e non rigida, e da qui i famosi decreti del 1925-1926.
Infatti, il solito ministro Speranza, nel suo libro ritirato dal commercio (e si capisce bene perché), riconosce esplicitamente che il governo ha leso diritti di rango costituzionale (pag. 153), ma fa questa affermazione con nonchalance, come se fosse nei suoi poteri farlo a propria discrezione, trattando la Costituzione come un elastico, per cui oggi vi si deroga e un domani vi si ritorna come se niente fosse, ma senza alcuna garanzia che vi si ritorni, in realtà. Se è vero che, come dicono alla televisione, “nulla sarà come prima”.
Insomma, normativa covid e DDR Zan vanno insieme, condividendo le stesse logiche paternalistiche, autoritarie e repressive. Radicali Italiani, obbligata per Statuto a difendere lo Stato di diritto, non può che opporsi a entrambe.
Fabio
PS Vi invito a riflettere sul fatto che nell’Associazione che qui rappresento, l’ARPL siamo tutti su queste posizioni, il che dovrebbe essere ritenuto indizio rilevante, essendo ciascuno di noi un libertario consapevole e convinto.
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