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martedì 1 dicembre 2020

Dalla riscossione del canone indennitario alla soluzione del libero conio

 Il sistema della riscossione del canone indennitario dovuto dall'utilizzatore di risorse naturali nel processo produttivo è stato criticato da alcuni, in quanto ritenuto poco libertario; senonché, in realtà, ho sempre precisato come in realtà si trattasse di una fase transitoria, relativa al passaggio di consegne dallo Stato ai common trust, dimodoché non fossero maturate né consuetudini di versamento spontaneo, né tantomeno si fosse approdato a un sistema compiuto di libero conio. E allora vediamo meglio tali passaggi.

Anzitutto, una volta che il Partito Libertario sia andato al governo, si tratta di partire dalla contabilizzazione del demanio, quale primissimo passo di un processo di transizione verso il superamento dell’istituzione, a un tempo antica e moderna, dello Stato monopolistico e coercitivo, per procedere nella direzione di una sua dissoluzione finanziaria e del suo rimpiazzo con istituzioni volontarie come i common trust, improntate al ben diverso paradigma del guadagno comune; e ciò ferma restando la libertà del guadagno individuale sul libero mercato, a condizione, in una prima fase, del versamento di un canone indennitario in proporzione alle risorse naturali impiegate nel processo produttivo, in quanto capitale comune, che andranno a nutrire la quota di utile universale di ciascuno; peraltro, può ammettersi che un piccolo utilizzatore di risorse, un piccolo occupatore di porzioni di terra, possa essere esentato dal pagamento, a patto che rinunci all’eventuale surplus a suo favore, derivante dalla sua quota di utile universale di astratta spettanza, e naturalmente a patto che la sua attività riceva consenso dalla sua riconosciuta utilità da parte del mercato; si pensi a un piccolo panificatore, che proprio in considerazione della sua riconosciuta utilità potrebbe sottrarsi al pagamento, ma, appunto, ripeto, in tal caso starebbe confidando esclusivamente sui suoi utili individuali, e verrebbe a rinunciare a quella sorta di “assicurazione”, che sarebbe costituita dalla quota di utile universale di sua spettanza; l’assicurazione sarebbe in un duplice senso, dato che versando il canone indennitario la sua proprietà sarebbe anche convalidata dal consenso sociale acquisito attraverso il pagamento.

Qualcuno potrebbe obiettare che, nei confronti dei soggetti di maggiore dimensione di scala, viceversa comunque tenuti al versamento del canone, vi sarebbe un rapporto di coercizione nei loro confronti da parte della comunità, che ad esempio si esprimerebbe sotto forma di Common Trust; ma l’obiezione è infondata, data che la coercizione, al contrario, va imputata al proprietario, il quale pretenda di imporsi unilateralmente e senza consenso, sicché l’imposizione del canone –in attesa che il suo versamento divenga una consuetudine rispettata spontaneamente- vale a ripristinare una reciprocità, e non ad assoggettare a un’imposizione unilaterale, questa volta da parte della comunità: quantomeno, la costrizione è reciproca, come tutte le volte in cui ci si trova di fronte a una relazione di tipo contrattuale o tacitamente convenzionale, e a costrizione reciproca corrisponde vantaggio reciproco, dato che il proprietario ottiene la legittimazione, la convalidazione e l’assicurazione del suo possesso, mentre la comunità consegue il relativo canone indennitario.

Si dirà, infine, che è difficile assegnare un valore a un bene non attualmente collocato nel mercato, e tuttavia ciò già avviene oggi attraverso le perizie di ogni genere; occorrerà in particolare tenere conto che tra chi impiega una risorsa in un processo produttivo e la risorsa stessa si viene a determinare una sorta di scambio di valore, per il quale l’impiego acquisisce valore perché la risorsa rappresenta in sé una ricchezza, in quanto risorsa oggetto di domanda del mercato, ma, d’altro canto, quell’impiego conferisce ulteriore valore alla risorsa, che viene valorizzata dal proprio essere utile, dimodoché quanto più produttiva è la risorsa, tanto più ricchezza produce il suo utilizzo, ma, d’altra parte, quanto meglio essa è utilizzata, tanto più essa acquisisce ulteriore valore: il che apre spazio alla contrattazione tra utilizzatore e common trust in sede di determinazione del canone indennitario dovuto.

Si noti, infine, che in una logica di compiuto libero conio, nemmeno si rendono necessari versamenti diretti, ma basta scomputare dalla moneta coniabile da un determinato soggetto il corrispondente del valore negoziato delle risorse naturali da lui impiegate nel processo produttivo, dando vita così a una sorta di redistribuzione mediata dai limiti posti al conio; il che ben si spiega, dato che le risorse naturali non sono sue, ma di tutti, e quindi rappresentano retrostante monetario comune e non suo esclusivo, sicché la sua emanazione potrebbe competere al common trust della relativa risorsa, quale emissione a vantaggio di tutti gli aderenti, considerato che le risorse naturali, nella misura in cui presentino un intrinseco valore produttivo o d’uso, da valorizzarsi attraverso il lavoro o l’utilizzo e il godimento, assumono un valore di mercato, il quale può ben fungere da retrostante comune. 

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