MANIFESTO COSTITUTIVO DEL PARTITO LIBERTARIO
Partiamo da una tautologia: un partito
libertario nasce per promuovere la libertà; salvo che la tautologia è solo
apparente, perché troppo diverse tra loro sono le concezioni della libertà, e
ancor più gli usi strumentali di questo termine, che spesso nemmeno assurge a
dignità di concetto sufficientemente elaborato: oggi il mondo è pieno di
“liberali” delle più varie risme, il cui compito primario è, lungi
dall’ampliarla, limitare la libertà in nome del nostro stesso bene.
Esistono anche già gruppi, gruppuscoli e
movimenti che si autodefiniscono “libertari”, ad esempio gli
anarco-capitalisti, i quali di solito sono in buona fede, ma conservano una
visione piuttosto confusa della libertà. Ad esempio, loro pensano che un
“privato”, in quanto soggetto di diritto privato, abbia pieni poteri sulla
propria proprietà, e non si rendono conto delle gravi controindicazioni di
un’affermazione del genere non accompagnata dalle necessarie precisazioni e da caveat adeguati, perché al livello della
grande dimensione di scala non c’è distinzione tra poprietà privata e “Stato
privato”.
Il fatto è che, nel mondo di oggi, una
polemica libertaria, che sia sviluppata esclusivamente contro il tradizionale
nemico, lo Stato, si rivela insufficiente, dato l’intreccio che vivono con lo
Stato stesso i grandi poteri privati, sicché la distinzione formale tra diritto
pubblico e diritto privato è quasi sempre inservibile, quando si tratta di
individuare poteri da combattere: il grande privato è quello che ha accesso
privilegiato alla moneta fiat, e
quindi nemmeno può parlarsi, in molti casi, di soggetti che rischiano investendo
in proprio: soggetti burocratici, che esprimono nei confronti del cittadino
(dell’individuo) un’oppressione
spesso indistinguibile da quella dello Stato, che del resto li nutre con
protezioni quali marchi, brevetti, copyright, uso gratuito del demanio, come
nel caso dei giganti del web; assegnazione privilegiata di risorse, come nel
caso dell’industria farmaceutica, partecipazione al sistema
militare-industriale, e così via.
Anzi, la formula esteriore del diritto
privato risulta poi funzionale a un più incontrollato esercizio del potere, e
infatti lo Stato stesso vi ricorre, quando vuole sottrarre a controllo le
proprie attività: del resto, uno “Stato privato” sarebbe ancor peggiore di uno
Stato costituzionale classico, in quanto privo degli stessi elementi minimali
di equilibrio e di pesi e contrappesi che lo Stato costituzionale prevede.
In realtà, così come il diritto pubblico
si è rilevato inadeguato a limitare poi davvero il potere dello Stato di
auto-svincolarsi da quelle limitazioni, allo stesso modo il diritto privato si
rivela inadeguato a tutelare il cittadino-consumatore dai grandi poteri
privati; occorre dunque un nuovo diritto
comune, che prenda il meglio da entrambi, e valorizzi un nuovo modo di
intendere l’istituto dell’abuso di posizione dominante, come strumento capace
di sindacare tanto il soggetto “pubblico”, quanto il soggetto “privato” dotato
di effettivo potere.
*****
Va però anche spiegata la scelta di
costituire un partito libertario da
parte di anarchici quali noi siamo. Per alcuni potrebbe trattarsi di un
ossimoro, tuttavia esistono a sostegno di questa scelta argomenti razionali. Si
tratta di prendere atto delle secche in cui si è arenato il movimento anarchico
ufficiale con il suo estraniarsi dalla politica, riconoscendo che, almeno su
questo punto, hanno avuto ragione i marxisti, ossia che per far valere le
proprie idee nella società è indispensabile fare i conti con la questione del
potere, e possibilmente esercitarlo,
non essendo affatto sufficiente evocare sia pure necessari “movimenti dal
basso”.
Naturalmente i marxisti hanno poi
fallito, perché non disponevano di
un’adeguata dottrina dello Stato, o dell’estinzione dello Stato, e quindi,
una volta conquistatolo, non l’hanno per nulla fatto deperire, ma, anzi, l’hanno
rafforzato. Occorre allora riflettere attorno a un’ipotesi alternativa, quella
di dittatura libertaria, concetto
naturalmente da non prendere alla lettera, ma essenzialmente come metafora
dell’attitudine di un partito libertario al
governo, il quale implementi scelte libertarie.
Il
punto da cui partire è probabilmente il concetto di dittatura in Kenneth Arrow.
Semplificando di molto, ci limitiamo a dire che, per Arrow, è impossibile un
governante, anche democratico, che non imponga le proprie preferenze al resto
della società. In questo senso, anche il governante libertario sarebbe
inevitabilmente un “dittatore”, in quanto imporrebbe le proprie preferenze
libertarie alla società.
Ma
c’è una differenza. Il dittatore libertario imporrebbe infatti alla società
preferenze libertarie, ossia meta-preferenze.
Il dittatore libertario verrebbe cioè collocato non al livello delle sue
proprie preferenze personali di contenuto, ma al meta-livello della preferenza
di consentire tutte le preferenze compossibili. Il dittatore libertario consente
quindi l’esplicazione di qualsiasi preferenza, alla sola condizione che si
tratti di preferenza non invasiva e non impeditiva nei confronti dell’esplicarsi
delle preferenze altrui (salvo risarcimento del danno e mercato delle
esternalità).
Il
dittatore libertario è quindi innanzi tutto una figura metaforica: chiunque di
noi può essere “dittatore libertario”, imponendosi e impedendo gl’impedimenti
agli illiberali. Tuttavia vi è un problema. E cioè che, nel mondo moderno, non
risulta che l’inclinazione libertaria sia particolarmente diffusa. Dato il
sistema democratico, rischiano cioè di prevalere costantemente le pulsioni
illiberali, per quanto si possa sempre confidare nell’evoluzione del costume.
Le battaglie sui diritti civili lo dimostrano. Esse hanno accompagnato per
molti anni questa evoluzione, qualche volta l’hanno anticipata (droghe), altre
volte (si pensi alla chiusura dei manicomi) si sono imposte con
un successo ancora troppo parziale a un’opinione pubblica recalcitrante.
Sic stantibus rebus, la proposta tradizionale degli
anarchici di puramente e semplicemente demolire lo Stato non ci garantisce che
ne emergerebbe una società libertaria, se l’inclinazione libertaria nella
società è ancora minoritaria. Che cosa devono fare allora i libertari? A nostro
avviso è loro compito andare al governo e
imporre la loro dittatura (meta-dittatura) alla società, mettendo
gl’illiberali in condizione di non nuocere.
Naturalmente, tutto ciò
va apparentemente contro i principi anarchici di Saint Imier, quelli che li
opposero a marxiani e marxisti. Vediamo allora in che cosa tale proposta
somiglia e in che cosa differisce da quella delle correnti marxiste.
Somiglia sotto il
profilo della presa del potere. Gli
anarchici, come alcuni liberali, vedono nel potere solo una cosa cattiva, ma
non spiegano come farebbero loro a realizzare la società da loro auspicata,
attraverso quale processo di transizione. E allora si dica chiaramente che si
punta alla presa del potere, e che da lì si governi un processo di transizione
verso la società futura.
Se
vi è questa analogia, vi sono però anche profonde differenze. Marx, e
soprattutto Lenin, pensavano a una presa del potere che comportasse un rafforzamento dello Stato, mentre la
nostra proposta ne implica, non troppo paradossalmente, l’indebolimento. Si tratta infatti, sia pure dal governo, di ampliare
progressivamente e incessantemente le libertà individuali, fino a immaginare l’estinzione
dello Stato non, come in Marx e Lenin (ma anche in Stalin e Mao) come uno
strano effetto dialettico automatico di quel rafforzamento, ma come un
obiettivo da perseguire deliberatamente e coerentemente.
Oltre a simili questioni di strategia,
ci distingue invece dagli anarco-comunisti la nostra difesa della libera
iniziativa come espressione della libertà e della personalità dell’individuo, e
il rifiuto di qualsiasi forma di comunismo della scarsità, che sarebbe una tirannia insopportabile per la dignità
umana. Altra cosa sarebbe ipotizzare un comunismo
dell’abbondanza e del lusso, come ha fatto di recente Aaron Bastani, il che
presuppone però un ulteriore sviluppo della tecnologia nella direzione della
piena automazione, la quale sola consentirebbe l’anarchica “presa nel mucchio”
e di ipotizzare modelli di gratuità, non in nome di una totalitaria “abolizione
della moneta”, ma in nome del suo ridimensionamento pratico con riferimento a
beni di consumo liberamente e largamente attingibili.
Proponiamo quindi un “centro anarchico”,
distinto sia dall’idiocrazia (potere dei privati, da idion, privato in greco) anarco-capitalista, sia dal pauperismo
anarco-comunista.
*****
Vediamo allora i capisaldi teorici, più
decisamente filosofico-politici, del nostro pensiero, che poniamo alla base
dell’ispirazione del Partito Libertario e della sua azione coerente.
a)
Terra res communis e non res nullius;
Questo è un punto che ci distingue
fortemente dagli anarco-capitalisti, i quali ritengono che il primo che arriva
piglia tutto. A parte che ha poco senso, nel mondo di oggi, proporre ipotesi
inverosimili, che Marx aveva già bollato come “robinsonate”, di fatto oggi chi
“primo arriva” sono multinazionali che si appropriano con il land grabbing del territorio nei Paesi
poveri con l’ausilio dei governanti locali corrotti.
Noi riteniamo invece che dall’”assioma
libertario”, ossia dal principio per il quale nessuno è legittimato a imporre unilateralmente
obblighi agli altri che non siano di tipo difensivo, deriva immediatamente il
fatto che la Terra sia comune a tutti gli
individui umani e a tutti gli esseri senzienti, dato che rivendicare
unilateralmente la propria proprietà significa proprio pretendere di imporre
unilateralmente obblighi agli altri.
Com’è noto, l’idea che la Terra sia
comune agli uomini percorre il percorso storico, dal diritto biblico e antico,
fu elaborata dal pensiero cristiano, arrivò a John Locke, poi a Henry George, e
infine ai left-libertarians
contemporanei del filone Steiner-Vallentyne-Otsuka. Da noi ha sviluppato il
tema il nostro Fabio Massimo Nicosia.
b)
Proprietà fondata sul consenso e non
sull'appropriazione unilaterale;
Ne deriva appunto che una proprietà
legittimata dal punto di vista libertario non possa che fondarsi sul consenso
degli altri, e non possa essere rivendicata unilateralmente, perché in tal caso
si tratterebbe semplicemente di una ratifica del potere del più forte. La
proprietà che proponiamo, conformemente al principio georgista, non investe
perciò il suolo, ma solo l’edificazione sul suolo, come nell’istituto del
diritto di superficie.
c)
Compensazione degli spossessati
attraverso rendita di esistenza o utile universale;
L’ipotesi migliore per ottenere il
consenso altrui sulla rivendicazione di una propria proprietà è che, nel
rispetto del cosiddetto proviso di
Locke, anche gli altri dispongano di altrettanta proprietà e altrettanto buona.
In mancanza di che, il non proprietario potrà prestare il proprio consenso
esclusivamente se compensato: noi proponiamo a tale proposito che ognuno sia
assegnatario di una quota di utile
universale, calcolata sulla quota di Terra di sua spettanza, e, quindi, sul
quantum di risorse naturali impiegate
nel processo produttivo, sicché ognuno corrisponda agli altri un adeguato canone commisurato appunto sulle risorse
naturali impiegate. Funzione di un cospicuo utile universale è anche di poter
acquistare liberamente la propria quota di bene pubblico, consentendo così
l’abbandono dello Stato sociale burocratico, ma anche di potere contrattare da
posizione non svantaggiata la propria condizione nel mercato del lavoro,
favorendo la libera iniziativa economica, il che comporta anche l’abolizione di
albi, registri, ordini e altri orpelli burocratici.
Per le stesse ragioni, l'utile
universale favorirebbe il libero associazionismo per la soluzione di qualsiasi
esigenza di interesse e bene pubblico in chiave non burocratica e autoritaria
ma di auto-organizzazione spontanea e autogestione.
d)
Mercato liberato e non “capitalistico”:
quindi abolizione dei diritti di proprietà intellettuale (brevetti copyright e
marchi) e tutela del consumatore (prosumer);
Il capitalismo reale è capitalismo
monopolistico, e tali monopoli sono costituiti attraverso l’attivistico
intervento dello Stato, che li concede attraverso, in buona parte, i cosiddetti
diritti di proprietà intellettuale. Il grande capitale dell’immateriale riesce
a monopolizzare e a privatizzare ciò che, per “natura della cosa”, sarebbe
comune, proprio in quanto immateriale, e quindi riproducibile all’infinito
gratuitamente, proprio perché lo Stato concede esclusive attraverso i diritti
di proprietà intellettuale.
Proponiamo invece una tutela morale
piena dell'inventore e dell’autore, i cui diritti sono oggi espropriati dalle
multinazionali, che accumulano a migliaia ciascuno brevetti e copyright, frutto
della creatività dei propri dipendenti. L’abolizione dei diritti di proprietà
intellettuali comporterebbe evidentemente un deciso ampliamento della libera
concorrenza. A questo proposito, la nostra attenzione andrà alle connessioni
tra diritto della concorrenza e tutela del consumatore, che oggi è sempre più
anche produttore di servizi non compensati (prosumerismo), il che pone anche il
problema della sostenibilità della grande distribuzione da questo punto di
vista, dato che a un controllo monopolistico del settore corrisponde la pretesa
di sempre crescenti prestazioni da parte del consumatore.
e)
Critica dello Stato come abuso di
posizione dominante;
L’architrave e l’ossatura del sistema
resta però lo Stato, il cui preteso monopolio della forza e delle
qualificazioni di legittimità favorisce qualsiasi abuso, oltre al proprio
diretto. È chiaro che, a livello di second
best, ci tocca difendere le garanzie dello Stato di diritto dagli attacchi,
che soprattutto oggi emergono prepotenti con il pretesto epidemico, e tuttavia
la nostra scelta di fondo resta quella di superare l’istituzione monopolistica
in quanto ingiustificata, inefficiente e costosa: nessuno ha l’obbligo di
obbedire a un soggetto che si auto-proclama legittimo per propria
auto-definizione, sicché ribadiamo con forza il nostro anarchismo, per il quale ognuno è fonte legittima del diritto e non
vi sono pretesi monopoli autorizzati in tal senso.
f)
Libero conio;
Tra i monopoli da abbattere, forse il
più importante oggi è quello monetario, affidato al sistema di diritto feudale misto
pubblico-privato delle banche centrali e del sistema bancario tutto. Ciò è
fonte, come si è visto, di inaccettabili privilegi e di scelte unilaterali,
sicché va rilanciata quella particolare tradizione dell’anarchismo classico, da
Proudhon agli americani del XIX secolo, Warren, Tucker, Spooner, che
considerava la libera emissione monetaria un caposaldo della libertà e della
lotta allo sfruttamento: guardiamo perciò con simpatia al movimento delle
criptovalute, pur operando distinguo al suo interno.
g)
Ethos libertario in favore degli
svantaggiati;
Ci accomuna alla tradizione
dell’anarchismo classico, e ci allontana ancora di più dall’anarco-capitalismo,
l’opzione di fondo di sentirci dalla parte degli svantaggiati, dei poveri e
degli emarginati, che sono coloro i quali hanno patito e pagato di più dal
sistema Stato-capitalista, perché è nostra convinzione che la questione della
povertà, nella storia, sia quasi sempre stata questione di libertà, per meglio
dire di mancanza di libertà. Per tale motivo, siamo favorevoli a politiche di universal basic income incondizionato,
inteso come strumento di ampliamento delle facoltà di scelta e non come
meramente assistenziale, e a tal fine proponiamo l’istituzione di una “Banca
demaniale”, ossia di proprietà di tutti i cittadini, con la funzione di
valorizzare finanziariamente il demanio (art. 822 c.c.) e di emettere moneta
locale positiva (non a debito) destinata esclusivamente al basic income.
h)
Introduzione del Common Trust come
strumento tecnico-politico improntato al paradigma per cui ci si associa per
guadagnarci e non per rimetterci come nel paradigma classico;
Disponiamo di un’alternativa allo Stato
abusivo e predatore ed è il common trust (anzi, i common trust, trattandosi di
una pluralità di istituzioni), ossia istituzioni fiduciarie ad adesione
volontaria e non territoriale, volta alla valorizzazione finanziaria del
capitale comune, ad esempio del demanio, a vantaggio diretto di tutti i
cittadini, che la dottrina costituzionalistica riconosce essere i titolari
diretti del capitale demaniale. Ciò comporta come primo passo la sua
contabilizzazione, in modo da fare emergere con trasparenza queste potenti
ricchezze (demanio artificiale infrastrutturale, demanio storico, monumentale e
artistico, demanio capitale naturale), in modo da valutarne il modo di renderlo
fruttuoso per i cittadini stessi sotto forma di dividendo e di royalties.
Compito del governo libertario sarebbe
quindi, oltre che a implementare un “codice libertario” a tutto campo, quello
di avviare la transizione dallo Stato ai common trust
i)
“Diritti civili” come questione di libertà e
non di legalità statalista;
Riteniamo
che in questioni come la libertà di parola e di dare seguito al proprio
pensiero, che deve essere totale anche sui social
networks con abolizione di ogni sorta di psicoreato limitativo del free speech, le droghe, la sessualità,
la famiglia, le scelte scientifiche e sanitarie, non siano questioni di
“legalità”, ma di libertà, e quindi pensiamo che lo Stato debba tenersene
totalmente al di fuori, trattandosi di questioni affidate al pieno libero
arbitrio e al libero contratto.
l) Strategia dei second best;
Posti
questi principi fondamentali, ogni scelta politica sarà effettuata sulla base
di valutazioni di coerenza in termini di second
best, vale a dire che, tra due opzioni politiche a disposizione, ve ne sarà
sempre una più coerente con i nostri principi rispetto ad altri. Si tratta
dell’attività forse più difficile e divisiva, perché è relativamente semplice
convergere sui principi fondamentali, altra cosa è comprendere quale, tra le
scelte concretamente sul tappeto, sia da privilegiare alla luce di quei principi.
Ad esempio, siamo contrari a indiscriminati tagli della spesa pubblica che
vadano in danno dei soggetti svantaggiati, sempre nella prospettiva
dell’introduzione di strumenti universalistici al posto delle misure
assistenziali parziali, mentre siamo favorevoli a qualsiasi forma di taglio di
imposizione fiscale, anzitutto istituendo un’ampia no tax area, dato che non è attraverso le tasse che si possono
reperire le risorse necessarie, ma semmai attraverso la valorizzazione del
capitale comune e la libera iniziativa e la mutua associazione. Ciò comporta
però una radicale critica del sistema di moneta-debito, così come ci viene
imposto dall’Unione Europea e da ogni sorta di daneistocrati: da qui la
necessità di applicare alla moneta il principio di sussidiarietà.
Inoltre, si propone la “rettificazione”
dei grandi titoli di proprietà più marcatamente illegittimi, quindi con la loro
invalidazione e assegnazione della titolarità alla generalità dei cittadini e,
per le grandi imprese, forme di tassa georigista ed ecologica, in modo da
compensare direttamente i cittadini stessi (e non lo Stato e la sua burocrazia)
per la privazione e l’inquinamento di risorse naturali (chi inquina paga chi è
inquinato e non lo Stato), al contempo abbassando la pressione fiscale,
ampliando la No tax area per tutti fino a 20.000 euro di reddito, e abolendo la
necessità della partita iva per le piccole attività.
m)
Confederalismo;
A
tale proposito, pur non nutrendo alcuna simpatia di carattere nazionalistico,
osteggiamo un percorso cieco di unificazione europea, che non sia fondato sulla
valorizzazione delle realtà locali, e quindi dando vita semmai a una
confederazione libera, fondata sul diritto di exit. Di conseguenza, favoriamo il processo confederativo anche a
livello interno, contro ogni nuovo vagheggiamento centralistico, in nome però di un federalismo non solo
territoriale, ma anche funzionale, sociale ed economico.
n) Carcere, diritto penale, salute
mentale, polizia;
Quanto
al carcere siamo abolizionisti: siamo convinti che il carcere verrà di fatto
abolito come lo conosciamo da un processo di ampia depenalizzazione, che passi
dall’abolizione di tutti i reati senza vittime, come quelli relativi al
commercio di droghe, e dalla dislocazione della più parte dei reati all’area
del diritto civile sotto specie di risarcimento del danno e della giustizia
riparativa in generale, con vasto ricorso alle misure alternative per i reati
gravi. Siamo per l’abolizione del TSO,
togliendo così ai medici il potere di decidere della vita degli altri. Quanto
alle forze di polizia, riteniamo che sia suo compito non quello di agire da
ottusi burocrati armati, ma di applicare la gerarchia delle fonti e, quindi,
tutelare i diritti umani lesi dai gruppi di potere, per quanto ci rendiamo
conto di quanto questo auspicio sia utopico finché la polizia sarà un monopolio
di Stato.
o) Diritto di portare armi.
Siamo
per l’applicazione del principio di cui al II Emendamento alla Costituzione USA
nella sua impostazione originaria jeffersoniana, vale a dire non per dare la
caccia ai rubagalline secondo lo schema leghista, ma come strumento di
resistenza contro la stessa oppressione statale.
p)
Scuola
L’obiettivo libertario
è di separare la scuola dallo Stato, al fine di evitare ogni forma di
indottrinamento ministeriale, il che comporta anche abolizione del valore
legale del titolo di studio e, in prospettiva, la messa in discussione del concetto
stesso di “scuola” con insegnanti istituzionali, in favore di una pedagogia e
di un “liceo” diffusi nell’agorà. D’altra parte, riteniamo opportuno che la
pedagogia libertaria esca dalla fase della semplice sperimentazione, per
entrare nel novero dei sistemi educativi comunemente accettati. Quindi si può
ammettere che si renda necessaria una base educativa minimale comune, ma senza
imposizione sui modi e sui metodi, fermo restando che le vie dell’apprendimento
sono infinite, consentendo così la pluralità dei contenuti, anche di base. Se
il modello dell’utile universale consentirebbe a tutti di acquisire istruzione
sul mercato, o di autogestirla comunitariamente, ipotesi di basic income non sufficienti da questo
punto di vista devono poter essere integrate da voucher a favore dei genitori
per le età più basse, e direttamente ai ragazzi a partire dalle scuole
superiori, in modo da favorire la loro libera scelta.
q) Immigrazione
La libertà di circolazione per il mondo è una libertà fondamentale per un
libertario, il quale non riconosce fondamento di legittimità ai confini degli
Stati, in quanto questi sono del tutto arbitrari. Se i confini fossero aboliti,
e ognuno al mondo godesse dell’utile universale e/o del libero conio, non ci
sarebbero problemi di sorta alla libera circolazione, anche se una comunità
territoriale potrebbe comunque prevedere delle restrizioni ad ingressi
massicci. Il problema maggiore, oggi, è invece rappresentato dal nesso
tassazione/welfare, per cui chi paga le tasse si aspetta di ricevere
determinati servizi, e può vivere come una sopraffazione il fatto che chi venga
fuori e non abbia pagato le tasse condivida con lui i servizi stessi,
evidentemente riducendoli. Lo stesso vale in una prospettiva di second best
fondata sul basic income, dato che l’ingresso da fuori ne determinerebbe una
riduzione; per altro verso, tutti dovrebbero avere diritto di accesso al
reddito di base, il quale, peraltro, a differenza dell’utile universale, non
sostituisce interamente il welfare state. Si propone perciò, in una prospettiva
di “meno peggio”, che le frontiere siano aperte secondo la logica degli open
borders, riconoscendo il basic income all’immigrato solo dopo un certo periodo
di tempo di stabilimento, che potrebbe essere indicativamente di cinque anni,
nel quale si presume che per vivere abbia lavorato, e che, quantomeno come
consumatore, egli ha se non altro pagato imposte.
In
conclusione…
…favoriremo
qualsiasi iniziativa, che vada nella direzione dell’ampliamento della libertà,
una libertà non ignara delle sue implicazioni egualitarie, e osteggeremo quanto
vada nella direzione della sua riduzione…
non sono d'accordo sull'avere le armi, sulla droga perchè alcune droghe portano vittime, sui reati gravi perchè chi sbaglia con senso di responsabilità e nel rispetto di chi ha subito il reato ci deve essere una pena commisurata al danno procurato, sono contrario alla pena di morte, sono favorevole per alcune tipologie di reati a lavori socialmente utili.
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