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giovedì 2 luglio 2020

La prostituzione non esiste.


di Fabio Massimo Nicosia

Disclaimer: la presente trattazione viene svolta da un punto di vista inevitabilmente maschile, eterosessuale e “patriarcale”; tuttavia, mutatis mutandis, può funzionare anche a parti invertite, ovvero con riferimento a relazioni omosessuali

Quand’ero piccolo, avendo sentito un compagno dire le “parolacce”, chiesi a mia madre che cosa volesse dire “puttana”, e lei mi rispose che le puttane erano le donne che fanno divertire gli uomini; mai risposta fu più precisa dal punto di vista della giurisprudenza, come vedremo, ma a me vennero immediatamente in mente le ragazze dei saloon dei film western, con l’immagine di loro che ballavano, sgambettando e agitando la lunga sottana, sui tavoli, mentre i cow boy ridevano, applaudivano e sorseggiavano whiskey, e guardando da sotto. Ed effettivamente, imparai molto dopo che le ragazze dei saloon erano “prostitute” anche in senso tecnico, e non solo nel mio impreciso e approssimativo immaginario.

Uso le virgolette, perché, come intendo dimostrare, “prostituzione” è concetto del tutto indeterminato, anzi, evanescente e inconsistente, anche perché alla fine si rivela ubiquitario; si tratta comunque di una sfida portata al nostro empirismo afairetico-costitutivo, dato che nella sua configurazione i pregiudizi e gli elementi sociologici prevalgono, dominandoli totalmente, su quelli analitici, all’atto della sussunzione costitutiva di una determinata situazione.
Partiamo dalla definizione di “prostituzione” fornita dal Dizionario Treccani: “Il fatto di prostituire, di prostituirsi, spec. come attività abituale e professionale di chi offre prestazioni sessuali a scopo di lucro”. In altri termini, viene qui delineato uno scambio, in particolare tra prestazione sessuale e una qualche utilità, che può essere il denaro, ma non necessariamente; a questo si aggiunge l’elemento, problematico, del carattere “abituale e professionale” di tale attività. 
Ammettiamo che un’amministrazione comunale adotti un’ordinanza del seguente tenore: “È vietata la prostituzione su tutto il territorio comunale”; vien da chiedersi che cosa il comune abbia effettivamente vietato, dato che non è immediatamente chiaro, perché dipende attraverso quali mediazioni culturali e linguistiche noi individuiamo, in un dato evento materiale, l’inverarsi del fatto istituzionale “prostituzione”, termine quanti mai valutativo, che esprime più il giudizio morale del pronunciante che non un “fatto” davvero preciso, individuato e determinato, il che fa una nozione essenzialmente metafisica, ricomprendendo in questa nozione, come d’abitudine, l’elemento assiologico, qui sub specie di giudizio negativo di valore.
Prima di rispondere al nostro interrogativo, è probabilmente utile fornire un inquadramento di carattere generale, a proposito di tal genere di problemi di carattere linguistico, a partire dai concetti fondamentali, offerti da Wittgenstein in apertura al suo celebre Tractatus[1]. L’affermazione d’esordio è che “Il mondo è tutto ciò che accade” (1). Tali accadimenti sono detti fatti[2], e “Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose” (2), quindi “fatto” e “stato di cose” sono locuzioni sinonimiche; senonché lo stato di cose è costituito da un “nesso d’oggetti (entità, cose)” (2.01), di cui la “cosa” è solo “parte costitutiva” (2.011).
Si parla quindi di situazioni complesse, quindi di fatti che possono essere resi solamente attraverso proposizioni molecolari e non atomiche[3], però, si badi, proprio per tali ragioni suscettibili di selezione arbitraria dal complesso dei fatti osservati e, quindi, nella loro composizione, nell’individuazione dei nessi e, soprattutto, nella loro stessa denominazione, costitutiva del loro riconoscimento e quindi della loro stessa esistenza in quanto fatto (molecolare e istituzionale). Noi possiamo concepire un oggetto solo in quel nesso (2.0121), ossia in una “relazione” (2.I4). Senonché “Noi ci facciamo immagini dei fatti” (2.I), e “L’immagine rappresenta il suo oggetto correttamente o falsamente”: (2.I73) “L’immagine concorda o non concorda con la realtà; essa è corretta o scorretta, vera o falsa” (2.21). 2.181 Tant’è vero che si parla di “Immagine logica”, che è la “forma di raffigurazione”, che è quindi altro dal mero oggetto percepito dai sensi.
Senonché l’immagine, essendo soggettiva, è un “fatto” autonomo rispetto al raffigurato (2.141), soggettivo, quindi noi “percepiamo” non l’oggetto, ma questo fatto autonomo “immagine”, che non è né vero né falso rispetto all’oggetto (e allora torna in mente quanto si è detto a proposito dell’ambiguità vero/falso per Nietzsche). Ora, siccome le nostre proposizioni sono fondate non sull’oggetto, ma sull’immagine, nemmeno delle proposizioni si può dire che esse siano vere o false, se non con riferimento all’immagine e non all’oggetto[4]. Ma siccome l’immagine è soggettiva, lo è anche il giudizio di verità (oltre che fallibile sulla stessa propria immagine), il che non esclude che possano esservi convergenze plurisoggettive, se, per ragioni ad esempio culturali, l’immagine mia e l’immagine tua almeno in parte combaciano o sono simili: comunque ognuno ha i suoi motivi per ritenere giustificata la propria credenza, salvo poi essere smentiti dai fatti, il che conduce a una ri-produzione corretta dell’immagine.
Del resto, possono esservi convenzioni sociali, in grado di indurci a ritenerci costretti, o lo siamo psicologicamente, a un’applicazione determinata dell’immagine che ci siamo formati[5]; lo stesso concetto dell’accadimento è intriso di altro da ciò che i sensi percepiscono, va al di là di questo, e così il “fatto” viene ad assumere una rappresentazione linguistica totalmente autonomizzata rispetto all’evento bruto (come il derivato si autonomizza rispetto al sottostante, o come la cambiale astrae dalla causa), sicché ogni discussione abbandona l’evento e si concentra sulla sua rappresentazione formale e valoriale, che diviene evento essa stessa in sostituzione dell’evento originario fattuale neutro.
Ad esempio, io potrei “istituzionalizzare”, facendone un “gioco”[6], l’atto del fare i gradini delle scale a due a due con un dito nel naso, e munire tale condotta complessa di una denominazione, facendone un’essenza puramente nominale, ad esempio darle il nome di Torinko, dimodoché il gioco diventi linguistico, e poi non si discuta più del far le scale (atto lecito) e del mettere il dito nel naso (atto lecito), ma del fatto se Torinko abbia rilevanza sociale, se sia bene o male, adatto o no ai giovani, lecito o illecito autonomamente, nonostante si tratti della combinazione di due atti moralmente e giuridicamente leciti, anzi, banali; allo stesso modo, si discute della legittimità (morale o giuridica) della “prostituzione” (altra essenza puramente nominale), nonostante si tratti in modo cristallino della combinazione molecolare di due fatti atomici, presi in sé, perfettamente leciti: fare sesso –salvo comprendere che cosa sia ricompreso in tale dizione- e prendere denaro o altra utilità, con la precisazione che qualsiasi cosa è suscettibile di un giudizio di valore economico soggettivo di utilità; e però scatta lo slut-shaming in danno dell’autrice di tali attività, che, prese a sé, sono perfettamente lecite e moralmente neutre o indifferenti, perché la differenza è che Torinko è termine non ancora definitivamente caricato di valenze negative –a quanto pare se ne discute-, mentre “prostituzione” sì.
Al fatto molecolare viene dunque attribuito un nomen arbitrario, che può assumere carattere moralizzato e valutativo, che entra pari pari nel mondo della costruzione sociale e del diritto, senza che al fatto molecolare così costituito possa attagliarsi alcun giudizio oggettivo di verità[7], perché all’astrazione si accompagnano la lontananza dal referente, la vaghezza e l’indeterminatezza del suo preteso senso, per cui, con Nietzsche, il fatto è interpretazione, ma un’interpretazione sempre più svincolata dal presunto fatto e che vive sempre di più di vita propria sulla base dell’autonomizzazione della “teoria”, che funge da prisma distorcente nell’osservazione del fatto[8], denotandolo assiologicamente.
Si potrebbe forse sostenere che il linguaggio presenta sempre, inevitabilmente, un certo grado di carattere valutativo? Molto spesso, sono i fattori extra-linguistici che accompagnano la sua formulazione a connotare in un senso o in un altro un enunciato, come la gestualità del volto e delle mani, o il tono della voce. Nelle Ricerche filosofiche Wittgenstein sostiene che esistono infinite modalità sfumate, tutte apofantiche, aggiungerei[9], negli atteggiamenti linguistici: “Ma quanti tipi di proposizione ci sono? Per esempio: asserzione, domanda e ordine? – Di tali tipi ne esistono innumerevoli: innumerevoli tipi differenti d’impiego di tutto ciò che chiamiamo ‘segni’, ‘parole’, ‘proposizioni’. E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte: ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giuochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati (…). Qui la parola ‘giuoco linguistico’ è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita”[10]. Sicché anche “comandare e agire secondo il comando”[11] diventa “gioco linguistico”, ma allora anche ignorare il comando e agire come si ritiene, anche nell’uso difforme o nella critica delle parole, dei segni, delle indicazioni necessariamente non vincolanti (un segnale stradale non accompagnato da dissuasore fisico), per cui seguire la “regola” è solo un’eventualità abitudinaria[12].
Non cercate nulla dietro ai fenomeni: essi stessi sono la teoria”, sosteneva Goethe[13]. E allora veniamo al punto, ossia che cosa abbia effettivamente vietato quell’ordinanza comunale sulla “prostituzione”: essa ha vietato, in realtà, esclusivamente un “tipo d’autore”, non una condotta, sicché ci troviamo di fronte a un empirio-afairetismo estremamente rozzo, perché la sussunzione, l’astrazione e la teorizzazione che si innalzano sull’osservazione empirica si rivelano assai grevi.
Mi muoverò così secondo lo stile di Wittgenstein (e di Nietzsche), proponendo esempi concreti, casi pratici e “ostensioni”, accompagnandoli con argute annotazioni, precisando subito che riduzione in schiavitù, tratta di persone e simili non c’entrano nulla con il concetto, ma rappresentano eventi che ruotano attorno al concetto, connotandolo socialmente: fatti atomici che, concatenandosi, danno vita a uno “stato di cose” estremamente complesso, ma che finiscono con l’obnubilare l’analisi del concetto stesso, deviando il focus dai reali problemi sociali a un concetto, che, in sé, non invera alcun problema sociale, ma solo semmai “morale”, almeno per sessuofobi strabici, che non sanno cogliere l’ubiquità dissolvente del concetto stretto –che non è un altro modo per dire “le donne sono tutte puttane”, ma semmai l’opposto, ossia che non lo è nessuna-, e quindi la sua effettiva irrilevanza morale, come via via illustrerò.
-          Due persone svolgono un’attività sessuale a casa di uno dei due, accompagnando tale attività con una regalia unilaterale: ciò si svolge sul “territorio comunale”, rientra nella definizione di “prostituzione” fornita, dato che v’è sesso in cambio di utilità, e tuttavia non v’è “tipo d’autore” (quanto al duplice requisito della professionalità e dell’abitualità, si noti che di fatto la giurisprudenza non lo richiede, dato che appunta la propria attenzione su situazioni singolari);

-          Donna in minigonna vicino la fermata dell’autobus: l’ordinanza, probabilmente, ha inteso vietare, avendolo a mente quale referente, il “sostare sulla pubblica via in abiti succinti”, il che avrebbe probabilmente un valore empirico superiore, salvo che, allo stato, non è vietato né sostare, né indossare abiti succinti (entro certi limiti, fin quasi alla nudità, ad esempio non lo è in spiaggia), quindi non è possibile vietare la combinazione delle due cose.

-          Come all’esempio precedente, ma dalla minigonna fa capolino un reggicalze (“tipo d’autore”); indicandola, diamo una definizione ostensiva di donna che aspetta l’autobus in libertà o di “prostituta”? A differenza dell’esempio precedente, in questo caso molto probabilmente la donna sarà sanzionata, in nome di un suo presunto stato mentale, inferito dal suo abbigliamento, che la delinea come autore tipico dell’illecito. Tuttavia, è impossibile dare una definizione ostensiva di un pensiero, o di un’idea, a meno che non sia materializzata: in che cosa si materializzerebbe la “prostituzione” in questo caso? Lo pseudo-concetto viene ricostruito a partire da un’immagine -“un’immagine può corrispondere a una rappresentazione[14]-, che funge da indizio, il quale fa presumere un evento della coscienza della persona, e quindi funziona come forma comunicativa di linguaggio; saremmo quindi di fronte a una “prostituta”, mentre con un normale collant avrebbe potuto essere una donna che attende l’autobus. La qualificazione dipende quindi dal contesto e dalle “circostanze”, ma le circostanze, come dice la parola, sono estrinseche rispetto all’evento in sé, o all’oggetto e al concetto, e tuttavia si riverberano sulla sua stessa definizione e qualificazione, attribuendogli significato ab extrinseco.
Nell’universo giuridico, la sussunzione è teoricamente immediata, nel senso che il fatto o l’evento è, in un contesto normativizzato, è ab origine intriso di quella giuridicità (per cui il fatto è sempre istituzionale), dopo di che poi il lavoro tecnico e pratico di individuazione della fattispecie richiede tempo, in quanto attività di particolare complessità (e quanto più la normazione è complessa, attraverso quei “giochi risolti”[15] che sono gli istituti giuridici), e ciò in particolare nel diritto penale, imperocché la sussunzione diviene mediata da siffatta attività che comporta uno scarto temporale dalla considerazione del fatto alla sua qualificazione istituzionale, benché questa sia in sé simultanea all’accadere del fatto: sia la concezione bipartita che quella tripartita dell’illecito muovono dall’idea che sia configurabile un accadimento naturalistico oggettivo indipendente dalle sue qualificazioni istituzionali, che conseguono alla compresenza dello stato mentale (si pensi ancora all’esempio di chi tenta di aprire un’automobile, che si qualifica giuridicamente non per l’evento materiale, ma per l’impenetrabile stato mentale di chi lo fa), sicché l’approccio corretto è quello monista, per cui lo stato mentale qualifica la condotta e l’evento, e non semplicemente li accompagna (): con un diverso stato mentale si ha un altro evento, non lo stesso evento con un diverso stato mentale[16].
Orbene, nel caso della repressione della “prostituzione” affidata alle forze di polizia sul campo, ognuna di siffatte delicate operazioni va a pallino, e si assiste alla becera sussunzione “sul campo” della forza di polizia, che si affida a indizi sussuntorei, quale quello indicato (l’abbigliamento, etc.).
-          Il poliziotto municipale coglie sul fatto due coppie appartate, intente a praticare sesso: le situazioni appaiono identiche, eppure Si duo idem faciunt non est idem[17], dato il descritto carattere costitutivo della soggettività rispetto a un evento in apparenza identico a un altro. Vale cioè il principio per cui alla coestensività non corrisponde l’identità sicché in tal caso le due rappresentazioni hanno lo stesso senso ma diverso od opposto significato[18]. Eppure qui l’osservazione non ci permette di individuare chiaramente alcuna regola costitutiva di differenziazione delle due fattispecie[19]. Può essere infatti che in una delle due coppie si sia proceduto a una qualche dazione di utilità in concomitanza con l’atto sessuale –in precedenza, o avverrà successivamente-, mentre nell’altra no[20]; ma coglierli sul fatto non consente di cogliere sul fatto l’evenienza dell’atto di “prostituzione”, che non esiste nel mondo sensibile, dato che in entrambi i casi si vedono solo due che fanno sesso, null’altro, sicché l’unica via concessa al poliziotto municipale è il processo alle intenzioni: in altri termini, se la “prostituta” è una professionista abituale, ciò che la distingue da altri professionisti abituali è la non riconoscibilità della prestazione, perché se io colgo sul fatto un dentista vedo una persona armeggiare con la bocca del paziente, e so per certo che è un dentista (o un odontotecnico che si spaccia per dentista, ma questo è un altro discorso); mentre se colgo in flagrante la prostituta non colgo coi sensi l’atto di “prostituzione”, ma solo una pratica sessuale indistinguibile da una analoga non “prostitutoria”(il che fa capire anche quanto non abbia senso la proposta di “tassare” la prostituzione, che sarebbe null’altro che la tassazione di un atto sessuale); quindi per stabilire che si tratta di pratica “prostitutoria”, o, come dicono le femministe, “prostituente”, il poliziotto municipale deve procedere al suddetto processo alle intenzioni e a congetturare sullo stato mentale dei coinvolti. Tra l’altro, la dazione potrebbe essere avvenuta un anno prima, o potrebbe avvenire dopo un anno, sicché il poliziotto locale non dispone di elementi di sorta, a meno che i due non stiano facendo sesso coi soldi in bocca –ma potrebbe anche essere semplicemente un loro gioco erotico.

-          Secondo Wittgenstein, tutta la filosofia è critica del linguaggio[21], mentre per Heidegger la filosofia non dev’essere filosofia del linguaggio, ma delle cose stesse[22]. Qual è qui la cosa stessa?

-          Un compagno di scuola offre un gelato alla compagna, poi vanno al cinema, paga anche il cinema, e le mette una mano sul ginocchio (il concetto di sesso, per la Cassazione, è molto ampio).

-          Un compagno di scuola regala un Cd alla compagna, lei lo abbraccia e lui la bacia sulla bocca. Lei non oppone resistenza perché è contenta del regalo.

-          Ventenne bacia sulla punta delle labbra una quattordicenne dopo averle offerto una pizza. (La quattordicenne si è fatta baciare per ringraziare della pizza)

-          Settantenne pratica sesso sfrenato con una quattordicenne e non le dona nulla; un vero maleducato, di sicuro non è un signore; e tuttavia, se anche solo le avesse regalato una borsetta, sarebbe incorso nel reato di “prostituzione minorile”, per cui approfittare gratis si può (quattordici anni è il limite di legge), mentre è vietato un cortese dono di gratitudine! Si noti che dal dono sarebbe derivato anche lo stigma morale per la ragazza e, quindi, la sua emarginazione sociale più che non per il caso della gratuità (sempre che la cosa si sappia in giro).

-          Si pensi a Silvio Berlusconi, alle “Olgettine” e a Ruby Rubacuori, per la quale vale quanto detto al punto precedente, avendo avuto all’epoca diciassette anni. Si racconta che ci fu una divergenza tra gli originari avvocati di Berlusconi e il sopraggiunto prof. Franco Coppi, decano dei penalisti italiani, perché i primi volevano sostenere la tesi che non si trattasse di “prostituzione”, ma di normali rapporti sessuali, e il fatto che ci fossero state regalie non incidesse sulla fattispecie; il prof. Coppi non se la sarebbe sentita di spingersi a tanto. Nel frattempo, Vittorio Sgarbi sosteneva che non di “prostitute” si trattasse, sibbene di “mantenute”, ruolo nobile e antico. In effetti, qualificandole “prostitute” per meglio tutelarle (!), il giudice ha gettato uno stigma morale (slut-shaming) sulle Olgettine (ma la “mantenuta” non è oggetto a sua volta di stigma morale? O forse qualcuno ne ammira abilità e intelligenza?).

-          Un caso di corteggiamento:
Faust: “Non c’è un vezzo, un anello di cui io possa ornare la mia cara bambina?”
Mefistofele: “Veramente un qualche cosa come fili di perle, ce l’ho visto!”
Faust: “Questo mi torna; mi spiace sempre quando vado da lei senza regali.”
Mefistofele: “Non vi dovrebbe poi tanto dispiacere, se anche qualche cosina ve la godeste gratis.”[23]
Se ne ricava che la persona per bene fa regali alla ragazza perché si compiaccia, un gentiluomo la premia anche materialmente, è il diavolo a suggerire a Faust, tentandolo, di ottenere gratis il godimento, sicché la morale giuridica corrente viene a essere ribaltata, dato che pretendere di godere gratis è diabolico, dunque malvagio, trattandosi di una prevaricazione.

-          Ragazza dice di avere il mal di testa dopo essere stata portata per la terza volta a cenare in un ristorante di lusso, sottraendosi alle avances e negandosi: accettando ancora l’invito aveva alimentato comprensibilmente attese. Non è forse qui lei a essere moralmente reprensibile? Qui siamo in una situazione speculare rispetto a quella mefistofelica, è lei a pretendere qualcosa gratis.

-          La porno-attrice è una “prostituta”? È pagata per far sesso, eppure il trattamento giuridico è differenziato. Con quale giustificazione il produttore e il regista non sono accusati di sfruttamento della prostituzione? In certi stati americani la prostituzione è perseguita, ma non il cinema porno, con la conseguenza che, se io filmo e metto in vendita il video del mio rapporto con la “prostituta”, l’attività da illecita diviene lecita. Ma anche senza arrivare alla pornografia vera e propria, in qualsiasi film ci si bacia, e oltre, essendone compensati in quanto attori (“a pagamento”).

-          Nel film Volere volare di Maurizio Nichetti (1991), l’attrice Angela Finocchiaro soddisfa alcuni desideri stravaganti dei suoi clienti, senza mai toccare direttamente la sfera comunemente ritenuta sessuale. Ad esempio, si fa spalmare il corpo di cioccolato, ma nel corpo ci sono zone erogene, quindi l’atto è probabilmente comunque di carattere sessuale (sempre per la Cassazione). Quindi il quesito diventa duplice: è prostituzione farsi spalmare il corpo di cioccolato? Si è meta-prostituita Angela Finocchiaro, nel film, facendosi spalmare il corpo di cioccolato, venendone remunerata come attrice?

-          In un centro massaggi cinese vige la pratica di massaggiare il pene ai clienti, quindi per la giurisprudenza si tratta di “prostituzione”. Perché non sarebbe comunque “prostituzione” massaggiare il piede o il gluteo e non il pene? Perché il pene ha a che fare con la sfera sessuale? Anche il piede e il gluteo sono potenzialmente zone erogene, quindi anche il comune massaggio andrebbe punito (più esattamente, da noi, andrebbe punito il suo favoreggiamento e il suo sfruttamento). Resta sempre sullo sfondo l’interrogativo di che cosa ci sarebbe è di “male” nella sfera sessuale o nel sollecitare zone erogene, tanto da essere oggetto di un giudizio di disvalore etico chi compie le relative pratiche: l’immoralità del pene, se ci si pensa, appare un nonsenso[24], e non si vede perché dovrebbe ottenere significato in quanto associata al denaro: ovviamente non ignoro gli elementi simbolici e culturali, antropologici, ma ritengo che si tratti esattamente di uno di quegli elementi afairetici da resettare, di cui ho detto in precedenza.

-          La ballerina della lap dance che si fa toccare dagli spettatori è oggetto del consueto stigma morale, perché la giurisprudenza ha bollato come prostituzione tale attività: un locale milanese si faceva pubblicità sulle televisioni locali con lo slogan raffinato “Più soldi ne metti, più carne ne tocchi”, ed è stato chiuso immediatamente per sfruttamento della prostituzione. Direi inevitabilmente, poco furbo il gestore.

-          In pratica la Cassazione dà della puttana a chiunque, anche alle ragazze delle videocamere del web, le quali pure nemmeno si fanno toccare[25]?: “Non conosciamo i confini perché non sono tracciati”, dice Wittgenstein[26]. E ancora: “Ma un concetto sfumato è ancora un concetto?”[27].

-          Constatate le difficoltà nel “combattere la prostituzione” con le armi della vigilanza, la nostra amministrazione comunale si decide a instaurare una “Zona a luci rosse”, stabilendo che, sul “territorio comunale”, la “prostituzione” è ammessa solo rispettando quella zonizzazione urbanistica. Ma che succede se una trattativa, uno scambio o una regalia avvengono fuori zona? Niente, siamo daccapo, dal che si ricava che le zone a luci rosse sono prive di senso analitico.

-          Lascio per ultimo l’esempio che parrebbe il più scontato, quello dei matrimoni (o delle relazioni non matrimoniali) di interesse, e quali matrimoni non hanno comunque una componente di interesse? Per Nietzsche, il matrimonio non è altro che un “commercio cristiano dei sessi[28], salvo che un simile commercio, invece che essere aperto programmaticamente alla concorrenza, aspira al monopolio e al monopsonio, anche se sappiamo che raramente si tratta di un legame assoluto e più spesso, al più, di una preferenza. Del resto, l’istituzione del matrimonio d’amore è concetto relativamente recente nella storia, come si ricava dalle lezioni di storia del diritto di famiglia del prof. Giulio Vismara (peraltro un cattolico): la trattativa economica è sempre stata presente, ovviamente -più tra le famiglie che tra gli interessati-, e certo lo è ancora: un darwiniano direbbe che fa parte dei processi evolutivi elementari il fatto che la femmina scelga il maschio più forte e potente di status, quello che le dà più noccioline e, quindi, nel caso degli esseri umani, anche il più ricco -e gli uomini più ricchi hanno le mogli più belle, non sarà un caso: il che spiega anche perché i ricchi di seconda generazione sono più belli dei padri.

-          Nel film Ragazze di oggi di Luigi Zampa (1955), un vedovo (Paolo Stoppa) ha quattro figlie, che, come si suol dire, vengono “tirate su” dalla zia, la cui unica preoccupazione è che le nipoti facciano di tutto per trovare un’ottima sistemazione, alias sposare un marito ricco. Nondimeno tre delle quattro ragazze finiscono per questo motivo in gravi guai, tranne la più bella delle quattro (Marisa Allasio), inopinatamente fidanzata con un giovane impiegato, interpretato da un progressista Mike Bongiorno; il quale a un certo punto tiene una concione rivolta alla zia, accusandola di volere trasformare le nipoti in “prostitute”, per questa sua fissazione di dovere trovare un marito ricco. Paolo Stoppa subisce il colpo.

-          Chi affermasse che starei dando della puttana alle mogli sta ribaltando la frittata, perché non si tratta di estendere il giudizio moralistico sessuofobico ad altri, ma di toglierlo a chi è attualmente oggetto di stigma, deistituzionalizzando e desacralizzando lo stesso matrimonio, ricondotto a rapporto nature, come a Nietzsche sarebbe piaciuto. Del resto, così come non donare nulla a una signora, con la quale si è avuta una relazione, sarebbe ritenuto alquanto cafone, allo stesso modo se tua moglie ti rende felice, le farai un regalo costoso, e nessuno troverà immorale la cosa, dato che il matrimonio, normalmente, non comporta la qualifica di prostituzione, pur quando appaia sufficientemente chiaro il nesso con l’utilità e interesse; e ciò perché il matrimonio, remedium concupiscentiae, è socialmente accettato, in quanto volto alla riproduzione della specie, e di solito non scatta lo stigma. Una donna che, senza alcuna malizia, dia “tutta se stessa” in una relazione, non si aspetta forse riconoscenza, e quindi francamente dei regali, e non rimane giustamente di malumore se questi non arrivano? In un film di Antonio Albanese su “Cetto Laqualunque”, il protagonista, dopo avere fatto l’amore con la moglie, le dà una somma di denaro, e lei reagisce dicendo: “Ma cosa fai, mi paghi? Sono tua moglie!”. E lui risponde: “Scusa, è l’abitudine”; ma si badi bene che la moglie trattiene il denaro e non lo restituisce.
In definitiva, chiamare “prostitute” le “donne che fanno divertire gli uomini” (anche senza sesso vero e proprio, anche senza essere toccate, come vuole la Cassazione) è una fallacia naturalistica, perché è moralizzato il termine, “istituzionale” e valutativo, in senso spregiativo, evidentemente. Perché se per Moore è fallacia naturalistica anche solo dire good[29] in quanto termine valutativo, è fallacia naturalistica anche dire “prostituzione”, ossia usare un termine negativamente connotato e  costitutivo di una realtà di riprovazione morale per intendere arbitrariamente ciò che fanno tutti: uso linguistico in danno però soprattutto di alcune persone inquadrate in determinati tipi sociali, ritenute meritevole di una qualche forma di stigma e di emarginazione, sia pure con la volontà in buona fede di tutelarle paternalisticamente da determinate situazioni di sfruttamento e riduzione in schiavitù[30]: ma, in quanto concetto analitico, essendo assolutamente ubiquitario e totalmente privo di confini definiti, semplicemente –e così concluderei- la prostituzione non esiste[31] -semmai esistono le Escort, ossia dame di compagnia, che non hanno una visione ristretta del concetto di compagnia.



[1] Loc. cit., 25 ss.
[2]Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose” (I.I, ivi, 25).
[3] Bertrand Russell, Introduzione a Tractatus, cit. 6 ss. Cfr. anche ult. loc. cit. 4.1, 4.2 e 4.2211, 49 ss..
[4] Sul nesso proposizione-verità, cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., §136, 64.
[5] §140, 66.
[6] Il gioco linguistico di Wittgenstein corrisponde grosso modo al fatto istituzionale di Searle, salvo che in questo pare più accentuato il referente empirico-materiale, che del resto è desunto dal fatto bruto, mentre in Wittgenstein si è forse più legati al dato linguistico in senso stretto. Per un possibile raffronto, cfr. Ricerche filosofiche, cit. §200, 95.
[7] Cfr. Tractatus, loc. cit., 5 e 5.01, 64.
[8] Cfr. Alan Musgrave, Senso comune, cit., 68 ss.
[9] Rinvio in proposito alla trattazione contenuta nel mio Il sovrano occulto…
[10] Loc. cit., §23, 17.
[11] Ivi, §23, 18.
[12] Ivi, §198, 94-95.
[13]  Massime e riflessioni, n. 575, a cura di Max Hecker, Weimar, 1907.
[14] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., §301, 119. E ancora: “L’avere l’esperienza vissuta di un significato e l’avere l’esperienza vissuta di un’immagine mentale. ‘In entrambi i casi si ha l’esperienza vissuta di qualcosa’, si vorrebbe dire, ‘soltanto si esperiscono cose diverse. Alla coscienza viene presentato un contenuto diverso –un contenuto diverso le sta di fronte’- Qual è il contenuto dell’esperienza vissuta di una rappresentazione? Si risponde con un’immagine o con una descrizione. E che cos’è il contenuta dell’esperienza vissuta di un significato? Non so come rispondere”. (ivi, 206).
[15] Cfr. il mio Beati possidentes…
[16] Che poi lo stato mentale sia inaccessibile è un problema del diritto penale, che vale a invalidarlo quale branca razionale del diritto, non un problema che debba risolvere qui io, ma che la giurisprudenza penale “bypassa” rozzamente ricorrendo ai suoi “indizi” esteriori. Naturalmente, gli autoritari già fanno appello alle neuroscienze per poter penetrare l’impenetrabile stato mentale del “reo”, con l’apertura di scenari orwelliani poco gradevoli.
[17] Cfr. Gottlob Frege, Senso, funzione e concetto, Roma-Bari, Laterza, 2001, 36.
[18] Ivi, 42.
[19] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., §82, 48.
[20] Ma sarà poi vero? È ciò davvero possibile?
[21] Tractatus, cit., 4.0031, 43.
[22] Essere e tempo, cit., §34, 203 ss.
[23] Faust, 3670 ss., loc. cit., 283-284.
[24] Ma forse il non detto è che la sessualità è legata biologicamente nel maschio all’aggressività (cfr. Piergiorgio Strata, Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Roma, Carocci, 2014, 57), e quindi la liberazione dell’espressione sessuale porta con sé una qualche soglia di liberalizzazione dell’aggressività, il che non piace ai moralistici censori, i quali però dovrebbero invece apprezzare che sia incanalata nello sfogo sessuale e non in altre direzioni.
[25] “L’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione non è necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prostituzione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddsfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinatario della prestazione” (Cass. Pen., Sez. III, 8 giugno 2004 n. 25464 (come si vede l’elemento dell’abitualità o della professionalità non emerge) “Le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza, via web-chat, in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali, assume il valore di prostituzione e rende configurabile il reato di sfruttamento della prostituzione nei confronti di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o che abbiano reso possibile i collegamenti via internet, atteso che l’attività di prostituzione può, appunto, consistere anche nel compimento di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stessi, in presenza di colui che, pagando un compenso, ha richiesto una determinata prestazione al fine di soddisfare la propria libido, senza che avvenga alcun contatto fisico tra le parti” (Cass. Pen., sez. III, sentenza 3 maggio 2006, n. 15158).

[26] Ricerche filosofiche, cit., §69, 42.
[27] Ivi, §71, 42.
[28] Volontà di potenza, cit., §62, 43
[29] George.Edward Moore, Principia Ethica, Withorn, Anodos Book, 2018 (1903).
[30] Nella direzione sbagliata vanno quelle forme di “legalizzazione della prostituzione” che prevedono registri, patentini e simili, dato che consacrano lo stigma e al tempo stesso istituzionalizzano la figura, “de-naturalizzandola”, ossia de-negandone il fatto di “atto libero”, vieppiù.
[31] In definitiva, il punto moralmente sensibile non è nemmeno tanto il sesso, quanto il denaro (lo stigma non sta nel sesso, ma nell’accettare denaro per fare sesso), con la conseguenza che un anarco-comunista sostenitore dell’abolizione della moneta potrebbe ritenere di abolire la “prostituzione” cosiddetta in uno con l’abolizione della moneta stessa. Il punto è che anche senza moneta si può favorire una persona, se si è dotati di reputazione, prestigio e potere anche non monetari, che rappresentino pur sempre risorse scarse; del resto, si è subito premesso che l’utilità economica può essere resa anche in forma non monetaria.

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