di Fabio Massimo Nicosia
Disclaimer: la presente
trattazione viene svolta da un punto di vista inevitabilmente maschile,
eterosessuale e “patriarcale”; tuttavia, mutatis
mutandis, può funzionare anche a parti invertite, ovvero con riferimento a
relazioni omosessuali
Quand’ero piccolo, avendo sentito un compagno dire le “parolacce”, chiesi a mia madre che cosa volesse dire “puttana”, e lei mi rispose che le puttane erano le donne che fanno divertire gli uomini; mai risposta fu più precisa dal punto di vista della giurisprudenza, come vedremo, ma a me vennero immediatamente in mente le ragazze dei saloon dei film western, con l’immagine di loro che ballavano, sgambettando e agitando la lunga sottana, sui tavoli, mentre i cow boy ridevano, applaudivano e sorseggiavano whiskey, e guardando da sotto. Ed effettivamente, imparai molto dopo che le ragazze dei saloon erano “prostitute” anche in senso tecnico, e non solo nel mio impreciso e approssimativo immaginario.
Quand’ero piccolo, avendo sentito un compagno dire le “parolacce”, chiesi a mia madre che cosa volesse dire “puttana”, e lei mi rispose che le puttane erano le donne che fanno divertire gli uomini; mai risposta fu più precisa dal punto di vista della giurisprudenza, come vedremo, ma a me vennero immediatamente in mente le ragazze dei saloon dei film western, con l’immagine di loro che ballavano, sgambettando e agitando la lunga sottana, sui tavoli, mentre i cow boy ridevano, applaudivano e sorseggiavano whiskey, e guardando da sotto. Ed effettivamente, imparai molto dopo che le ragazze dei saloon erano “prostitute” anche in senso tecnico, e non solo nel mio impreciso e approssimativo immaginario.
Uso
le virgolette, perché, come intendo dimostrare, “prostituzione” è concetto del
tutto indeterminato, anzi, evanescente e inconsistente, anche perché alla fine
si rivela ubiquitario; si tratta comunque di una sfida portata al nostro
empirismo afairetico-costitutivo, dato che nella sua configurazione i
pregiudizi e gli elementi sociologici prevalgono, dominandoli totalmente, su
quelli analitici, all’atto della sussunzione costitutiva di una determinata situazione.
Partiamo dalla definizione di “prostituzione”
fornita dal Dizionario Treccani: “Il
fatto di prostituire, di prostituirsi, spec. come attività abituale e
professionale di chi offre prestazioni sessuali a scopo di lucro”. In altri
termini, viene qui delineato uno scambio,
in particolare tra prestazione sessuale e una qualche utilità, che può essere
il denaro, ma non necessariamente; a questo si aggiunge l’elemento,
problematico, del carattere “abituale e professionale” di tale attività.
Ammettiamo
che un’amministrazione comunale adotti un’ordinanza del seguente tenore: “È vietata la prostituzione su tutto il
territorio comunale”; vien da chiedersi che cosa il comune abbia
effettivamente vietato, dato che non è immediatamente chiaro, perché dipende
attraverso quali mediazioni culturali e linguistiche noi individuiamo, in un
dato evento materiale, l’inverarsi del fatto istituzionale “prostituzione”,
termine quanti mai valutativo, che esprime più il giudizio morale del
pronunciante che non un “fatto” davvero preciso, individuato e determinato, il
che fa una nozione essenzialmente metafisica, ricomprendendo in questa nozione,
come d’abitudine, l’elemento assiologico, qui sub specie di giudizio negativo di valore.
Prima
di rispondere al nostro interrogativo, è probabilmente utile fornire un inquadramento
di carattere generale, a proposito di tal genere di problemi di carattere
linguistico, a partire dai concetti fondamentali, offerti da Wittgenstein in
apertura al suo celebre Tractatus[1].
L’affermazione d’esordio è che “Il mondo
è tutto ciò che accade” (1). Tali
accadimenti sono detti fatti[2], e
“Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose” (2), quindi “fatto” e
“stato di cose” sono locuzioni sinonimiche; senonché lo stato di cose è
costituito da un “nesso d’oggetti (entità, cose)” (2.01), di
cui la “cosa” è solo “parte costitutiva” (2.011).
Si
parla quindi di situazioni complesse, quindi di fatti che possono essere resi
solamente attraverso proposizioni molecolari e non atomiche[3],
però, si badi, proprio per tali ragioni suscettibili di selezione arbitraria dal
complesso dei fatti osservati e, quindi, nella loro composizione, nell’individuazione
dei nessi e, soprattutto, nella loro stessa denominazione, costitutiva del loro
riconoscimento e quindi della loro stessa esistenza in quanto fatto (molecolare
e istituzionale). Noi possiamo concepire un oggetto solo in quel nesso (2.0121), ossia in una “relazione” (2.I4).
Senonché “Noi ci facciamo immagini dei fatti” (2.I), e “L’immagine rappresenta
il suo oggetto correttamente o falsamente”: (2.I73) “L’immagine concorda o non
concorda con la realtà; essa è corretta o scorretta, vera o falsa” (2.21). 2.181
Tant’è vero che si parla di “Immagine logica”, che è la “forma di
raffigurazione”, che è quindi altro dal mero oggetto percepito dai sensi.
Senonché
l’immagine, essendo soggettiva, è un “fatto” autonomo rispetto al raffigurato (2.141),
soggettivo, quindi noi “percepiamo” non l’oggetto, ma questo fatto autonomo
“immagine”, che non è né vero né falso rispetto all’oggetto (e allora torna in
mente quanto si è detto a proposito dell’ambiguità vero/falso per Nietzsche).
Ora, siccome le nostre proposizioni sono fondate non sull’oggetto, ma
sull’immagine, nemmeno delle proposizioni si può dire che esse siano vere o
false, se non con riferimento all’immagine e non all’oggetto[4].
Ma siccome l’immagine è soggettiva, lo è anche il giudizio di verità (oltre che
fallibile sulla stessa propria immagine), il che non esclude che possano
esservi convergenze plurisoggettive, se, per ragioni ad esempio culturali,
l’immagine mia e l’immagine tua almeno in parte combaciano o sono simili:
comunque ognuno ha i suoi motivi per ritenere giustificata la propria credenza,
salvo poi essere smentiti dai fatti, il che conduce a una ri-produzione
corretta dell’immagine.
Del
resto, possono esservi convenzioni sociali, in grado di indurci a ritenerci
costretti, o lo siamo psicologicamente, a un’applicazione determinata
dell’immagine che ci siamo formati[5]; lo
stesso concetto dell’accadimento è intriso di altro da ciò che i sensi percepiscono,
va al di là di questo, e così il “fatto” viene ad assumere una rappresentazione
linguistica totalmente autonomizzata rispetto all’evento bruto (come il
derivato si autonomizza rispetto al sottostante, o come la cambiale astrae
dalla causa), sicché ogni discussione abbandona l’evento e si concentra sulla
sua rappresentazione formale e valoriale,
che diviene evento essa stessa in
sostituzione dell’evento originario fattuale neutro.
Ad
esempio, io potrei “istituzionalizzare”, facendone un “gioco”[6],
l’atto del fare i gradini delle scale a due a due con un dito nel naso, e
munire tale condotta complessa di una denominazione, facendone un’essenza
puramente nominale, ad esempio darle il nome di Torinko, dimodoché il gioco diventi linguistico, e poi non si discuta
più del far le scale (atto lecito) e del mettere il dito nel naso (atto
lecito), ma del fatto se Torinko abbia
rilevanza sociale, se sia bene o
male, adatto o no ai giovani, lecito o illecito autonomamente, nonostante si
tratti della combinazione di due atti moralmente e giuridicamente leciti, anzi,
banali; allo stesso modo, si discute della legittimità (morale o giuridica)
della “prostituzione” (altra essenza puramente nominale), nonostante si tratti
in modo cristallino della combinazione molecolare di due fatti atomici, presi
in sé, perfettamente leciti: fare sesso –salvo comprendere che cosa sia
ricompreso in tale dizione- e prendere denaro o altra utilità, con la
precisazione che qualsiasi cosa è suscettibile di un giudizio di valore
economico soggettivo di utilità; e però scatta lo slut-shaming in danno dell’autrice di tali attività, che, prese a sé, sono perfettamente lecite e
moralmente neutre o indifferenti, perché la differenza è che Torinko è termine non ancora definitivamente caricato di valenze negative –a quanto
pare se ne discute-, mentre “prostituzione” sì.
Al
fatto molecolare viene dunque attribuito un nomen
arbitrario, che può assumere carattere moralizzato e valutativo, che entra
pari pari nel mondo della costruzione sociale e del diritto, senza che al fatto
molecolare così costituito possa attagliarsi alcun giudizio oggettivo di verità[7],
perché all’astrazione si accompagnano la lontananza dal referente, la vaghezza
e l’indeterminatezza del suo preteso senso, per cui, con Nietzsche, il fatto è
interpretazione, ma un’interpretazione sempre più svincolata dal presunto fatto
e che vive sempre di più di vita propria sulla base dell’autonomizzazione della
“teoria”, che funge da prisma distorcente nell’osservazione del fatto[8],
denotandolo assiologicamente.
Si
potrebbe forse sostenere che il linguaggio presenta sempre, inevitabilmente, un
certo grado di carattere valutativo? Molto spesso, sono i fattori
extra-linguistici che accompagnano la sua formulazione a connotare in un senso
o in un altro un enunciato, come la gestualità del volto e delle mani, o il
tono della voce. Nelle Ricerche
filosofiche Wittgenstein sostiene che esistono infinite modalità sfumate,
tutte apofantiche, aggiungerei[9], negli
atteggiamenti linguistici: “Ma quanti tipi di proposizione ci sono? Per esempio:
asserzione, domanda e ordine? – Di tali tipi ne esistono innumerevoli: innumerevoli tipi differenti d’impiego di tutto ciò
che chiamiamo ‘segni’, ‘parole’, ‘proposizioni’. E questa molteplicità non è
qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte: ma nuovi tipi di linguaggio,
nuovi giuochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e
vengono dimenticati (…). Qui la parola ‘giuoco
linguistico’ è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di
un’attività, o di una forma di vita”[10].
Sicché anche “comandare e agire secondo il comando”[11]
diventa “gioco linguistico”, ma allora anche ignorare il comando e agire come
si ritiene, anche nell’uso difforme o
nella critica delle parole, dei segni, delle indicazioni necessariamente
non vincolanti (un segnale stradale non accompagnato da dissuasore fisico), per
cui seguire la “regola” è solo un’eventualità abitudinaria[12].
“Non cercate nulla dietro ai fenomeni: essi
stessi sono la teoria”, sosteneva Goethe[13].
E allora veniamo al punto, ossia che cosa abbia effettivamente vietato
quell’ordinanza comunale sulla “prostituzione”: essa ha vietato, in realtà,
esclusivamente un “tipo d’autore”, non una condotta, sicché ci troviamo di
fronte a un empirio-afairetismo estremamente rozzo, perché la sussunzione,
l’astrazione e la teorizzazione che si innalzano sull’osservazione empirica si
rivelano assai grevi.
Mi muoverò così secondo lo stile di Wittgenstein (e
di Nietzsche), proponendo esempi concreti, casi pratici e “ostensioni”,
accompagnandoli con argute annotazioni, precisando subito che riduzione in schiavitù, tratta di persone e simili non
c’entrano nulla con il concetto, ma rappresentano eventi che ruotano attorno al concetto, connotandolo
socialmente: fatti atomici che, concatenandosi, danno vita a uno “stato di
cose” estremamente complesso, ma che finiscono con l’obnubilare l’analisi del
concetto stesso, deviando il focus dai
reali problemi sociali a un concetto, che, in sé, non invera alcun problema
sociale, ma solo semmai “morale”, almeno per sessuofobi strabici, che non sanno
cogliere l’ubiquità dissolvente del concetto stretto –che non è un altro modo
per dire “le donne sono tutte puttane”,
ma semmai l’opposto, ossia che non lo è nessuna-, e quindi la sua effettiva irrilevanza morale, come via via illustrerò.
-
Due
persone svolgono un’attività sessuale a casa di uno dei due, accompagnando tale
attività con una regalia unilaterale: ciò si svolge sul “territorio comunale”,
rientra nella definizione di “prostituzione” fornita, dato che v’è sesso in
cambio di utilità, e tuttavia non v’è “tipo d’autore” (quanto al duplice
requisito della professionalità e dell’abitualità, si noti che di fatto la
giurisprudenza non lo richiede, dato che appunta la propria attenzione su
situazioni singolari);
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Donna
in minigonna vicino la fermata dell’autobus: l’ordinanza, probabilmente, ha
inteso vietare, avendolo a mente quale referente, il “sostare sulla pubblica
via in abiti succinti”, il che avrebbe probabilmente un valore empirico
superiore, salvo che, allo stato, non è vietato né sostare, né indossare abiti
succinti (entro certi limiti, fin quasi alla nudità, ad esempio non lo è in
spiaggia), quindi non è possibile vietare la combinazione delle due cose.
-
Come
all’esempio precedente, ma dalla
minigonna fa capolino un reggicalze (“tipo d’autore”); indicandola, diamo una definizione ostensiva di donna che aspetta
l’autobus in libertà o di “prostituta”? A differenza dell’esempio precedente,
in questo caso molto probabilmente la donna sarà sanzionata, in nome di un suo
presunto stato mentale, inferito dal suo abbigliamento, che la delinea come
autore tipico dell’illecito. Tuttavia, è impossibile dare una definizione
ostensiva di un pensiero, o di un’idea, a meno che non sia materializzata: in
che cosa si materializzerebbe la “prostituzione” in questo caso? Lo
pseudo-concetto viene ricostruito a partire da un’immagine -“un’immagine può corrispondere a una
rappresentazione”[14]-,
che funge da indizio, il quale fa presumere un evento della coscienza della
persona, e quindi funziona come forma comunicativa di linguaggio; saremmo
quindi di fronte a una “prostituta”, mentre con un normale collant avrebbe potuto essere una donna che attende l’autobus. La
qualificazione dipende quindi dal contesto e dalle “circostanze”, ma le
circostanze, come dice la parola, sono estrinseche rispetto all’evento in sé, o
all’oggetto e al concetto, e tuttavia
si riverberano sulla sua stessa definizione e qualificazione, attribuendogli
significato ab extrinseco.
Nell’universo
giuridico, la sussunzione è teoricamente immediata, nel senso che il fatto o
l’evento è, in un contesto normativizzato, è ab origine intriso di quella giuridicità (per cui il fatto è sempre
istituzionale), dopo di che poi il lavoro tecnico e pratico di individuazione
della fattispecie richiede tempo, in quanto attività di particolare complessità
(e quanto più la normazione è complessa, attraverso quei “giochi risolti”[15]
che sono gli istituti giuridici), e ciò in particolare nel diritto penale, imperocché
la sussunzione diviene mediata da
siffatta attività che comporta uno scarto temporale dalla considerazione del
fatto alla sua qualificazione istituzionale, benché questa sia in sé simultanea
all’accadere del fatto: sia la concezione bipartita che quella tripartita dell’illecito
muovono dall’idea che sia configurabile un accadimento naturalistico oggettivo
indipendente dalle sue qualificazioni istituzionali, che conseguono alla
compresenza dello stato mentale (si pensi ancora all’esempio di chi tenta di
aprire un’automobile, che si qualifica giuridicamente non per l’evento
materiale, ma per l’impenetrabile stato mentale di chi lo fa), sicché
l’approccio corretto è quello monista,
per cui lo stato mentale qualifica la condotta e l’evento, e non semplicemente
li accompagna (): con un diverso stato
mentale si ha un altro evento, non lo stesso evento con un diverso stato
mentale[16].
Orbene,
nel caso della repressione della “prostituzione” affidata alle forze di polizia
sul campo, ognuna di siffatte delicate operazioni va a pallino, e si assiste
alla becera sussunzione “sul campo” della forza di polizia, che si affida a
indizi sussuntorei, quale quello indicato (l’abbigliamento, etc.).
-
Il
poliziotto municipale coglie sul fatto due coppie appartate, intente a
praticare sesso: le situazioni appaiono identiche, eppure Si duo idem faciunt non est idem[17],
dato il descritto carattere costitutivo della soggettività rispetto a un evento
in apparenza identico a un altro. Vale cioè il principio per cui alla coestensività
non corrisponde l’identità sicché in tal caso le due rappresentazioni hanno lo
stesso senso ma diverso od opposto significato[18]. Eppure
qui l’osservazione non ci permette di individuare chiaramente alcuna regola
costitutiva di differenziazione delle due fattispecie[19].
Può essere infatti che in una delle due coppie si sia proceduto a una qualche
dazione di utilità in concomitanza con l’atto sessuale –in precedenza, o
avverrà successivamente-, mentre nell’altra no[20]; ma
coglierli sul fatto non consente di cogliere sul fatto l’evenienza dell’atto di
“prostituzione”, che non esiste nel mondo sensibile, dato che in entrambi i
casi si vedono solo due che fanno sesso, null’altro, sicché l’unica via
concessa al poliziotto municipale è il processo alle intenzioni: in altri
termini, se la “prostituta” è una professionista abituale, ciò che la distingue
da altri professionisti abituali è la non riconoscibilità della prestazione,
perché se io colgo sul fatto un dentista vedo una persona armeggiare con la
bocca del paziente, e so per certo che è un dentista (o un odontotecnico che si
spaccia per dentista, ma questo è un altro discorso); mentre se colgo in
flagrante la prostituta non colgo coi sensi l’atto di “prostituzione”, ma solo
una pratica sessuale indistinguibile da una analoga non “prostitutoria”(il che fa capire anche quanto non abbia senso
la proposta di “tassare” la prostituzione, che sarebbe null’altro che la
tassazione di un atto sessuale); quindi
per stabilire che si tratta di pratica “prostitutoria”, o, come dicono le
femministe, “prostituente”, il poliziotto municipale deve procedere al suddetto
processo alle intenzioni e a congetturare sullo stato mentale dei coinvolti.
Tra l’altro, la dazione potrebbe essere avvenuta un anno prima, o potrebbe
avvenire dopo un anno, sicché il poliziotto locale non dispone di elementi di
sorta, a meno che i due non stiano facendo sesso coi soldi in bocca –ma
potrebbe anche essere semplicemente un loro gioco erotico.
-
Secondo
Wittgenstein, tutta la filosofia è critica del linguaggio[21],
mentre per Heidegger la filosofia non dev’essere filosofia del linguaggio, ma
delle cose stesse[22].
Qual è qui la cosa stessa?
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Un
compagno di scuola offre un gelato alla compagna, poi vanno al cinema, paga
anche il cinema, e le mette una mano sul ginocchio (il concetto di sesso, per
la Cassazione, è molto ampio).
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Un
compagno di scuola regala un Cd alla compagna, lei lo abbraccia e lui la bacia
sulla bocca. Lei non oppone resistenza perché è contenta del regalo.
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Ventenne
bacia sulla punta delle labbra una quattordicenne dopo averle offerto una
pizza. (La quattordicenne si è fatta baciare per ringraziare della pizza)
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Settantenne
pratica sesso sfrenato con una quattordicenne e non le dona nulla; un vero maleducato,
di sicuro non è un signore; e tuttavia, se anche solo le avesse regalato una
borsetta, sarebbe incorso nel reato di “prostituzione minorile”, per cui
approfittare gratis si può (quattordici
anni è il limite di legge), mentre è vietato un cortese dono di gratitudine! Si
noti che dal dono sarebbe derivato anche lo stigma morale per la ragazza e,
quindi, la sua emarginazione sociale più che non per il caso della gratuità
(sempre che la cosa si sappia in giro).
-
Si
pensi a Silvio Berlusconi, alle “Olgettine” e a Ruby Rubacuori, per la quale
vale quanto detto al punto precedente, avendo avuto all’epoca diciassette anni.
Si racconta che ci fu una divergenza tra gli originari avvocati di Berlusconi e
il sopraggiunto prof. Franco Coppi, decano dei penalisti italiani, perché i
primi volevano sostenere la tesi che non si trattasse di “prostituzione”, ma di
normali rapporti sessuali, e il fatto che ci fossero state regalie non
incidesse sulla fattispecie; il prof. Coppi non se la sarebbe sentita di
spingersi a tanto. Nel frattempo, Vittorio Sgarbi sosteneva che non di
“prostitute” si trattasse, sibbene di “mantenute”, ruolo nobile e antico. In
effetti, qualificandole “prostitute” per
meglio tutelarle (!), il giudice ha gettato uno stigma morale (slut-shaming) sulle Olgettine (ma la
“mantenuta” non è oggetto a sua volta di stigma morale? O forse qualcuno ne
ammira abilità e intelligenza?).
-
Un
caso di corteggiamento:
Faust: “Non c’è un vezzo, un anello di
cui io possa ornare la mia cara bambina?”
Mefistofele: “Veramente un qualche cosa come
fili di perle, ce l’ho visto!”
Faust: “Questo mi torna; mi spiace
sempre quando vado da lei senza regali.”
Mefistofele: “Non vi dovrebbe poi tanto
dispiacere, se anche qualche cosina ve la godeste gratis.”[23]
Se ne ricava che la persona per
bene fa regali alla ragazza perché si compiaccia, un gentiluomo la premia anche
materialmente, è il diavolo a suggerire a Faust, tentandolo, di ottenere gratis il godimento, sicché la morale
giuridica corrente viene a essere ribaltata, dato che pretendere di godere gratis è diabolico, dunque malvagio, trattandosi di una prevaricazione.
-
Ragazza
dice di avere il mal di testa dopo essere stata portata per la terza volta a
cenare in un ristorante di lusso, sottraendosi alle avances e negandosi: accettando ancora l’invito aveva alimentato comprensibilmente
attese. Non è forse qui lei a essere moralmente reprensibile? Qui siamo in una
situazione speculare rispetto a quella mefistofelica, è lei a pretendere
qualcosa gratis.
-
La
porno-attrice è una “prostituta”? È pagata per far sesso, eppure il trattamento
giuridico è differenziato. Con quale giustificazione il produttore e il regista
non sono accusati di sfruttamento della prostituzione? In certi stati americani
la prostituzione è perseguita, ma non il cinema porno, con la conseguenza che,
se io filmo e metto in vendita il video del mio rapporto con la “prostituta”,
l’attività da illecita diviene lecita. Ma anche senza arrivare alla pornografia
vera e propria, in qualsiasi film ci si bacia, e oltre, essendone compensati in
quanto attori (“a pagamento”).
-
Nel
film Volere volare di Maurizio
Nichetti (1991), l’attrice Angela Finocchiaro soddisfa alcuni desideri
stravaganti dei suoi clienti, senza mai toccare direttamente la sfera
comunemente ritenuta sessuale. Ad esempio, si fa spalmare il corpo di
cioccolato, ma nel corpo ci sono zone erogene, quindi l’atto è probabilmente
comunque di carattere sessuale (sempre per la Cassazione). Quindi il quesito diventa
duplice: è prostituzione farsi spalmare il corpo di cioccolato? Si è meta-prostituita
Angela Finocchiaro, nel film, facendosi spalmare il corpo di cioccolato,
venendone remunerata come attrice?
-
In
un centro massaggi cinese vige la pratica di massaggiare il pene ai clienti,
quindi per la giurisprudenza si tratta di “prostituzione”. Perché non sarebbe
comunque “prostituzione” massaggiare il piede o il gluteo e non il pene? Perché
il pene ha a che fare con la sfera sessuale? Anche il piede e il gluteo sono
potenzialmente zone erogene, quindi anche il comune massaggio andrebbe punito
(più esattamente, da noi, andrebbe punito il suo favoreggiamento e il suo
sfruttamento). Resta sempre sullo sfondo l’interrogativo di che cosa ci sarebbe
è di “male” nella sfera sessuale o nel sollecitare zone erogene, tanto da
essere oggetto di un giudizio di disvalore etico chi compie le relative
pratiche: l’immoralità del pene, se
ci si pensa, appare un nonsenso[24],
e non si vede perché dovrebbe ottenere significato in quanto associata al
denaro: ovviamente non ignoro gli elementi simbolici e culturali,
antropologici, ma ritengo che si tratti esattamente di uno di quegli elementi
afairetici da resettare, di cui ho detto in precedenza.
-
La
ballerina della lap dance che si fa
toccare dagli spettatori è oggetto del consueto stigma morale, perché la
giurisprudenza ha bollato come prostituzione tale attività: un locale milanese
si faceva pubblicità sulle televisioni locali con lo slogan raffinato “Più soldi
ne metti, più carne ne tocchi”, ed è stato chiuso immediatamente per
sfruttamento della prostituzione. Direi inevitabilmente, poco furbo il gestore.
-
In
pratica la Cassazione dà della puttana a chiunque, anche alle ragazze delle
videocamere del web, le quali pure nemmeno si fanno toccare[25]?:
“Non conosciamo i confini perché non sono
tracciati”, dice Wittgenstein[26]. E
ancora: “Ma un concetto sfumato è ancora un concetto?”[27].
-
Constatate
le difficoltà nel “combattere la prostituzione” con le armi della vigilanza, la
nostra amministrazione comunale si decide a instaurare una “Zona a luci rosse”,
stabilendo che, sul “territorio comunale”, la “prostituzione” è ammessa solo
rispettando quella zonizzazione urbanistica. Ma che succede se una trattativa, uno
scambio o una regalia avvengono fuori zona? Niente, siamo daccapo, dal che si ricava
che le zone a luci rosse sono prive di senso analitico.
-
Lascio
per ultimo l’esempio che parrebbe il più scontato, quello dei matrimoni (o
delle relazioni non matrimoniali) di interesse, e quali matrimoni non hanno
comunque una componente di interesse? Per Nietzsche, il matrimonio non è altro
che un “commercio cristiano dei sessi”[28],
salvo che un simile commercio, invece che essere aperto programmaticamente alla
concorrenza, aspira al monopolio e al monopsonio, anche se sappiamo che
raramente si tratta di un legame assoluto e più spesso, al più, di una
preferenza. Del resto, l’istituzione del matrimonio d’amore è concetto
relativamente recente nella storia, come si ricava dalle lezioni di storia del
diritto di famiglia del prof. Giulio Vismara (peraltro un cattolico): la
trattativa economica è sempre stata presente, ovviamente -più tra le famiglie
che tra gli interessati-, e certo lo è ancora: un darwiniano direbbe che fa
parte dei processi evolutivi elementari il fatto che la femmina scelga il
maschio più forte e potente di status,
quello che le dà più noccioline e, quindi, nel caso degli esseri umani, anche
il più ricco -e gli uomini più ricchi hanno le mogli più belle, non sarà un
caso: il che spiega anche perché i ricchi di seconda generazione sono più belli
dei padri.
-
Nel
film Ragazze di oggi di Luigi Zampa
(1955), un vedovo (Paolo Stoppa) ha quattro figlie, che, come si suol dire,
vengono “tirate su” dalla zia, la cui unica preoccupazione è che le nipoti
facciano di tutto per trovare un’ottima sistemazione, alias sposare un marito ricco. Nondimeno tre delle quattro ragazze
finiscono per questo motivo in gravi guai, tranne la più bella delle quattro
(Marisa Allasio), inopinatamente fidanzata con un giovane impiegato,
interpretato da un progressista Mike Bongiorno; il quale a un certo punto tiene
una concione rivolta alla zia, accusandola di volere trasformare le nipoti in
“prostitute”, per questa sua fissazione di dovere trovare un marito ricco.
Paolo Stoppa subisce il colpo.
-
Chi
affermasse che starei dando della puttana alle mogli sta ribaltando la
frittata, perché non si tratta di estendere il giudizio moralistico
sessuofobico ad altri, ma di toglierlo a chi è attualmente oggetto di stigma,
deistituzionalizzando e desacralizzando lo stesso matrimonio, ricondotto a
rapporto nature, come a Nietzsche sarebbe piaciuto. Del resto, così come non donare
nulla a una signora, con la quale si è avuta una relazione, sarebbe ritenuto alquanto
cafone, allo stesso modo se tua moglie ti rende felice, le farai un regalo
costoso, e nessuno troverà immorale la cosa, dato che il matrimonio,
normalmente, non comporta la qualifica di prostituzione, pur quando appaia
sufficientemente chiaro il nesso con l’utilità e interesse; e ciò perché il
matrimonio, remedium concupiscentiae,
è socialmente accettato, in quanto volto alla riproduzione della specie, e di
solito non scatta lo stigma. Una donna che, senza alcuna malizia, dia “tutta se
stessa” in una relazione, non si aspetta forse riconoscenza, e quindi
francamente dei regali, e non rimane giustamente di malumore se questi non
arrivano? In un film di Antonio Albanese su “Cetto Laqualunque”, il
protagonista, dopo avere fatto l’amore con la moglie, le dà una somma di
denaro, e lei reagisce dicendo: “Ma cosa
fai, mi paghi? Sono tua moglie!”. E lui risponde: “Scusa, è l’abitudine”; ma si badi bene che la moglie trattiene il
denaro e non lo restituisce.
In
definitiva, chiamare “prostitute” le “donne che fanno divertire gli uomini”
(anche senza sesso vero e proprio, anche senza essere toccate, come vuole la
Cassazione) è una fallacia naturalistica, perché è moralizzato il termine, “istituzionale”
e valutativo, in senso spregiativo, evidentemente. Perché se per Moore è
fallacia naturalistica anche solo dire good[29] in
quanto termine valutativo, è fallacia naturalistica anche dire “prostituzione”,
ossia usare un termine negativamente connotato e costitutivo di una realtà di riprovazione
morale per intendere arbitrariamente ciò che fanno tutti: uso linguistico in
danno però soprattutto di alcune persone inquadrate in determinati tipi
sociali, ritenute meritevole di una qualche forma di stigma e di emarginazione,
sia pure con la volontà in buona fede di tutelarle paternalisticamente da
determinate situazioni di sfruttamento e riduzione in schiavitù[30]: ma,
in quanto concetto analitico, essendo assolutamente ubiquitario e totalmente privo
di confini definiti, semplicemente –e così concluderei- la prostituzione non esiste[31]
-semmai esistono le Escort, ossia
dame di compagnia, che non hanno una visione ristretta del concetto di
compagnia.
[1] Loc. cit., 25
ss.
[2] “Il mondo è la totalità dei fatti, non delle
cose” (I.I, ivi, 25).
[3] Bertrand Russell, Introduzione
a Tractatus, cit. 6 ss. Cfr. anche ult.
loc. cit. 4.1, 4.2 e 4.2211, 49 ss..
[4] Sul nesso
proposizione-verità, cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., §136, 64.
[5] §140, 66.
[6]
Il gioco linguistico di Wittgenstein corrisponde grosso modo al fatto
istituzionale di Searle, salvo che in questo pare più accentuato il referente
empirico-materiale, che del resto è desunto dal fatto bruto, mentre in
Wittgenstein si è forse più legati al dato linguistico in senso stretto. Per un
possibile raffronto, cfr. Ricerche
filosofiche, cit. §200, 95.
[7] Cfr. Tractatus,
loc. cit., 5 e 5.01, 64.
[8] Cfr. Alan
Musgrave, Senso comune, cit., 68 ss.
[9] Rinvio in
proposito alla trattazione contenuta nel mio Il sovrano occulto…
[10] Loc. cit., §23, 17.
[11] Ivi, §23, 18.
[12] Ivi, §198,
94-95.
[14] Ludwig
Wittgenstein, Ricerche filosofiche,
cit., §301, 119. E ancora: “L’avere l’esperienza vissuta di un significato e
l’avere l’esperienza vissuta di un’immagine mentale. ‘In entrambi i casi si ha l’esperienza vissuta di qualcosa’, si
vorrebbe dire, ‘soltanto si esperiscono cose diverse. Alla coscienza viene
presentato un contenuto diverso –un contenuto diverso le sta di fronte’- Qual è
il contenuto dell’esperienza vissuta di una rappresentazione? Si risponde con
un’immagine o con una descrizione. E che cos’è il contenuta dell’esperienza
vissuta di un significato? Non so come rispondere”. (ivi, 206).
[15] Cfr. il mio Beati possidentes…
[16] Che poi lo stato
mentale sia inaccessibile è un problema del diritto penale, che vale a
invalidarlo quale branca razionale del diritto, non un problema che debba
risolvere qui io, ma che la giurisprudenza penale “bypassa” rozzamente
ricorrendo ai suoi “indizi” esteriori. Naturalmente, gli autoritari già fanno
appello alle neuroscienze per poter penetrare l’impenetrabile stato mentale del
“reo”, con l’apertura di scenari orwelliani poco gradevoli.
[17] Cfr. Gottlob
Frege, Senso, funzione e concetto,
Roma-Bari, Laterza, 2001, 36.
[18] Ivi, 42.
[19] Ludwig
Wittgenstein, Ricerche filosofiche,
cit., §82, 48.
[20] Ma sarà poi
vero? È ciò davvero possibile?
[21] Tractatus, cit., 4.0031, 43.
[22] Essere e tempo, cit., §34, 203 ss.
[23] Faust, 3670 ss., loc. cit., 283-284.
[24] Ma forse il non
detto è che la sessualità è legata biologicamente nel maschio all’aggressività
(cfr. Piergiorgio Strata, Il rapporto
mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Roma, Carocci, 2014, 57), e quindi la liberazione
dell’espressione sessuale porta con sé una qualche soglia di liberalizzazione
dell’aggressività, il che non piace ai moralistici censori, i quali però
dovrebbero invece apprezzare che sia incanalata nello sfogo sessuale e non in
altre direzioni.
[25] “L’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione
non è necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della
prostituzione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto
dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed
immediata, a soddsfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinatario
della prestazione” (Cass. Pen., Sez. III, 8 giugno 2004 n. 25464 (come si vede
l’elemento dell’abitualità o della professionalità non emerge) “Le prestazioni
sessuali eseguite in videoconferenza,
via web-chat, in modo da consentire al fruitore delle
stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione,
con possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali, assume il valore
di prostituzione e rende configurabile il reato di sfruttamento della prostituzione nei
confronti di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o che
abbiano reso possibile i collegamenti via internet, atteso che
l’attività di prostituzione può, appunto, consistere anche nel compimento di
atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stessi, in presenza di colui
che, pagando un compenso, ha richiesto una determinata prestazione al fine di
soddisfare la propria libido, senza che avvenga alcun contatto fisico tra le
parti” (Cass. Pen., sez. III, sentenza 3 maggio 2006, n. 15158).
[26] Ricerche filosofiche, cit., §69, 42.
[27] Ivi, §71, 42.
[28] Volontà di potenza, cit., §62, 43
[29] George.Edward Moore, Principia Ethica, Withorn, Anodos Book, 2018 (1903).
[30] Nella direzione
sbagliata vanno quelle forme di “legalizzazione della prostituzione” che
prevedono registri, patentini e simili, dato che consacrano lo stigma e al
tempo stesso istituzionalizzano la figura, “de-naturalizzandola”, ossia
de-negandone il fatto di “atto libero”, vieppiù.
[31] In definitiva,
il punto moralmente sensibile non è nemmeno tanto il sesso, quanto il denaro
(lo stigma non sta nel sesso, ma nell’accettare denaro per fare sesso), con la
conseguenza che un anarco-comunista sostenitore dell’abolizione della moneta
potrebbe ritenere di abolire la “prostituzione” cosiddetta in uno con
l’abolizione della moneta stessa. Il punto è che anche senza moneta si può
favorire una persona, se si è dotati di reputazione, prestigio e potere anche
non monetari, che rappresentino pur sempre risorse scarse; del resto, si è
subito premesso che l’utilità economica può essere resa anche in forma non
monetaria.
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