di Fabio Massimo Nicosia
A me pare che noi si sia di fronte a un pericolo nei sistemi industriali
avanzati, ossia che il crescente predominio della tecnica porti al formarsi di
nuove classi dirigenti tecnoburocratiche, che, rispetto ai politici della
nostra tradizione più o meno liberal-democratica, hanno una pretesa in più:
quella dell’insindacabilità.
Il politico presuppone anche, in una certa misura, libertà politica,
libertà della critica politica. Di fronte alla tecnica, e alla complessità che
questa comporta, invece, il cittadino rischia di rimanere muto, e se non è muto
viene prontamente zittito dagli ascari (molto presenti nei media tradizionali e
nei social networks), e richiamato ad allinearsi, rassegnandosi alla propria
incompetenza.
Questo del governo dei tecnici e dei “competenti”, che spesso sono
autocertificati tali, ma che tendono, in quanto tali, a rivendicare per sé un
potere insindacabile, quindi incontrollabile e tendenzialmente assoluto, è il
pericolo che vedo all’orizzonte; il maggiore pericolo per l’annientamento dei
residui di liberal-democrazia, perché alimentano la convinzione che ogni forma
di partecipazione critica alla vita pubblica non sia solo inutile o
impossibile, ma dannosa; dato che dare la parola agli “incompetenti” che tutti
noi siamo, non sarebbe altro che un intralcio alle magnifiche sorti e
progressive, affidate interamente ai tecnici, che, alleati a burocrati spesso
rivestiti di forme di “diritto privato”, mirano a governarci sotto le coltri di
nuovo totalitarismo tecnoburocratico.
Tale progetto, fondato sul facile slogan dell’inefficienza della
democrazia, dopo un percorso da “Finestra di Overton” volto a legittimarlo, gode
ora di una base di massa, ben più insidiosa, dato la pretesa di “cultura” dei
suoi allineati, di quella del paventato “populismo”, che non è che una
reazione, in qualche caso preventiva, rispetto al fenomeno che descrivo: la
base di massa è costituita da quegli squadristi, che chiamo i “semicolti”,
molto attivi sui social networks nello scovare ovunque quelli che ritengono
“analfabeti funzionali” da tacitare, da “blastare”, dopo che Umberto Eco aveva
dichiarato che internet è pieno di imbecilli, che rivendicano lo stesso,
testuale, “diritto di parola” dei premi Nobel; il che la dice lunga sull’idea
di free-speech, che hanno certi liberal elitari.
Per semicolte intendo persone di cultura scolastica medio-alta, le quali, tronfie
e fiere del loro livello, sono convinte di detenere il monopolio del giudizio
popolare, percependo come “inferiore” a sé tutta una serie di persone –i
cosiddetti “analfabeti funzionali”, appunto-, alle quali imputa in buona
sostanza l'effetto Dunning-Kruger, quella distorsione cognitiva, per la quale
quanto più si è incompetenti, tanto più si sovrastima la propria competenza. Quello
che sfugge al semicolto è che, nel momento stesso in cui imputa ciò a persone
che ritiene inferiori, a cui non riconosce nemmeno il diritto di critica
politica che sarebbe comunque dovuto anche nei confronti del “tecnico”, proprio
egli, il semicolto, incorre platealmente in quell'effetto, dato che il suo
livello meramente scolastico gli impedisce di cogliere la complessità delle
situazioni; i suoi giudizi sono sempre del tutto standardizzati, mai personali
ed originali, quando non del tutto erronei, dato che la preparazione scolastica
non vale nemmeno a fare tecnica adeguata, ma solo fideismo verso superiori autorità
“infallibili”.
Ora questo ancora non
basta a descrivere il semicolto: occorre aggiungere, anche quando egli crede di
essere "progressista", il che capita spesso, la sua inclinazione autoritaria, condita di
appelli all'abolizione del suffragio universale ("Questo vota!") e
alla tacitazione del popolo ignorante, non comprendendo che il "popolo
ignorante", il suo common sense,
è spesso l'ultima risorsa sulla quale possiamo puntare a difesa della libertà,
in una società assai pregiudicata.
Il semicolto –si pensi al giornalista medio- sa ben poco di come funzionino
il mercato, la finanza, lo Stato, ma ripone assoluta fiducia in quella che
ritiene la competenza dei tecnici e degli scienziati ufficiali, nutrendo una
crescente insofferenza per la critica diffusa e la stessa liberal-democrazia:
la richiesta di limitare il suffragio universale è infatti molto diffusa in
questi ambienti, e arrivano i primi contributi “dottrinari”, di economisti e
politologi di comodo, che vanno in questa direzione. Ora, un conto è la critica
anarchica al suffragio, penso a Malatesta; altra cosa è il ceto di comando che
vuole depotenziare il popolo, privandolo dei pochi strumenti che gli restano, e
mobilita i suoi “intellettuali” alla bisogna; basti pensare, da noi, al
referendum “trivelle”, che vide mobilitato il presidente del consiglio, oltre
che i giornali a lui vicini, per invitare i cittadini a boicottare il
referendum per farlo fallire, in quanto argomento troppo “tecnico”, e “incomprensibile”
per il “popolo”.
La malriposta fiducia nei tecnici e negli scienziati, intesi non come
professionisti che fanno il loro mestiere su mandato, ma come élite insindacabile a tutto campo, è
evidentemente ignara degli insegnamenti di Feyerabend, grande epistemologo
libertario, sul fatto che, ovviamente, anche tecnici e scienziati hanno propri
interessi, personali e di categoria, dipendono dai finanziamenti, in varie forme
dai vari poteri, e così via; e nessuno dubita che questi tecnici sarebbero al
servizio di qualche potere sopra di loro. Oggi invece, nel momento in cui si
sottolinea il carattere inevitabilmente tecnico di molte scelte politiche,
tecnici e scienziati sono proposti come figure neutrali e pure, la cui autorità
nel loro campo, quando c’è, diviene anche supremazia morale, ma anche politica
nel momento in cui la loro opinione diviene vincolante, o si insiste perché sia
tale, in modo da fornire una copertura di autorevolezza a scelte fatte altrove.
Ora, di fronte a tale prospettiva, diviene necessario, dal punto di vista
libertario, rivendicare che il giudizio
politico appartiene a tutti, ognuno ha un sufficiente “buon senso”, ma
anche capacità di intuizione, da poter far valere sulle questioni di carattere
generale, anche se ciò non risultasse conforme ai desiderata dei potentati
idiocratici, nell’intreccio che conosciamo tra Stato e “privato”, che sono alla
base di questo progetto di restaurazione.
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