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martedì 10 gennaio 2017

Lineamenti di una filosofia politica libertaria

di Fabio Massimo Nicosia

Una filosofia politica non può non prendere le mosse da una filosofia morale, e per questo Rawls risulta utile, essendo lui molto più filosofo morale che non filosofo politico; e allora, se ci permettiamo di proporre una filosofia politica, lo facciamo su di un assunto morale, ossia che nessuno è legittimato a imporre nulla ad alcuno, a meno che non soddisfi l’onere della prova della propria legittimazione, e non convinca il destinatario dell’”imposizione” ad adempiervi; ma, allora, a questo punto cesserebbe di essere “imposizione”, per divenire mera proposta contrattuale, alla quale, ipotizzando una situazione originaria equilibrata tra gli individui –nella quale le differenziazioni di potere non si siano ancora evidenziate-, il destinatario sarebbe libero, non solo formalmente, ma nei fatti, di aderire o no.

Per certi versi, la nostra proposta morale potrebbe apparire amorale, dato che nega la legittimità di qualsiasi etica imposta, sicché ognuno ravvisi in sé i fondamenti della propria proposta morale al di là di qualsiasi vincolo eteronomo; ma si tratta semplicemente di privare a priori legittimazione a qualunque conato impositivo, fino a dissolverlo nel negozio giuridico, negando alcuna fonte dell’”obbligo”, che non sia l’auto-obbligazione unilateralmente risolvibile; nell’autovincolo, la morale incontra instabilità, ma si tratta di situazione irrimediabile, fatta salva la configurabilità di pressioni esterne di rinforzo dell’autovincolo, se non si vuole incorrere nella fallacia di legittimare a priori qualsiasi imposizione, per definizione priva di fondamento nel consenso, dato che “consenso all’imposizione” è una contraddizione in termini: se v’è consenso non è imposizione, si dice imposizione quella che avviene in assenza di consenso.

Senonché, se si muove dalla negazione di ogni legittimazione a che A imponga alcunché a B, e, soprattutto, se si nega che il conato di imposizione di A è escluso che possa fare scaturire obblighi, morali o giuridici, in capo a B, ne deriva come implicazione che la Terra, sulla quale tanto A, quanto B, agiscono è di proprietà comune di A e di B, dato che qualsiasi imposizione comporta un uso del territorio in un senso o nell’altro, con la conseguenza che essere legittimati a imporre qualcosa all’altro implica altresì un predominio dell’uno sull’altro sul territorio; negandosi una simile legittimazione, si nega legittimazione anche alla pretesa unilaterale di controllo del territorio, e, quindi, la riconduzione di qualsiasi pretesa del genere alla categoria del consenso: se A nulla può pretendere da B in assenza del consenso di B, A non può pretendersi altresì proprietario di alcunché sul territorio, in assenza del consenso di B a siffatta pretesa proprietaria.

Le conseguenze non sono da poco, dato che, se A, per divenire “proprietario” di una porzione di territorio –rectius, per rivendicare un qualche diritto reale sulla porzione stessa, una volta che si assuma che la Terra, in quanto res communis, sia proprietà comune degli uomini, proprietà indivisibile se non per quote- ha bisogno del consenso di B, è indispensabile per lui acquisire, con una modalità o l’altra, quel consenso, in altri termini comprarlo, o, per converso, indennizzare con un valore adeguato gli atti unilaterali di apprensione avvenuti senza consenso, ma suscettibili di “sanatoria”, una volta che l’apprensione sia oggetto di contestazione, ovvero che si riesca a dimostrare l'utilità di quell'apprensione anche per B.


E’ questo il primo fondamento, che, come si vede, è squisitamente libertario, della rendita di esistenza e dell'utile universale, conseguenza dell’implicazione stretta tra non legittimazione all’imposizione e proprietà comune della Terra.

2 commenti:

  1. La filosofia morale che tu sostieni nel tuo pezzo è quella che "nessuno è legittimato a imporre nulla ad alcuno". Ma se non c'è consenso universale su questo postulato (in assenza di una etica di base comune), come risolvi la questione?

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    Risposte
    1. La risolvo nel senso che i dotati di inclinazione libertaria rifiutano di farsi imporre etiche dagli altri e fanno il possibile perché questa visione si estenda, se non universalmente il più possibile.

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