di Fabio Massimo Nicosia
Una filosofia politica non può
non prendere le mosse da una filosofia morale, e per questo Rawls risulta
utile, essendo lui molto più filosofo morale che non filosofo politico; e
allora, se ci permettiamo di proporre una filosofia politica, lo facciamo su di
un assunto morale, ossia che nessuno è
legittimato a imporre nulla ad alcuno, a meno che non soddisfi l’onere
della prova della propria legittimazione, e non convinca il destinatario dell’”imposizione”
ad adempiervi; ma, allora, a questo punto cesserebbe di essere “imposizione”,
per divenire mera proposta contrattuale, alla quale, ipotizzando una situazione
originaria equilibrata tra gli individui –nella quale le differenziazioni di
potere non si siano ancora evidenziate-, il destinatario sarebbe libero, non
solo formalmente, ma nei fatti, di aderire o no.
Per certi versi, la nostra
proposta morale potrebbe apparire amorale,
dato che nega la legittimità di qualsiasi etica imposta, sicché ognuno ravvisi
in sé i fondamenti della propria proposta morale al di là di qualsiasi vincolo
eteronomo; ma si tratta semplicemente di privare a priori legittimazione a
qualunque conato impositivo, fino a dissolverlo nel negozio giuridico, negando
alcuna fonte dell’”obbligo”, che non sia l’auto-obbligazione unilateralmente
risolvibile; nell’autovincolo, la morale incontra instabilità, ma si tratta di
situazione irrimediabile, fatta salva la configurabilità di pressioni esterne
di rinforzo dell’autovincolo, se non si vuole incorrere nella fallacia di
legittimare a priori qualsiasi
imposizione, per definizione priva di fondamento nel consenso, dato che “consenso
all’imposizione” è una contraddizione in termini: se v’è consenso non è
imposizione, si dice imposizione quella che avviene in assenza di consenso.
Senonché, se si muove dalla negazione
di ogni legittimazione a che A imponga alcunché a B, e, soprattutto, se si nega
che il conato di imposizione di A è escluso che possa fare scaturire obblighi,
morali o giuridici, in capo a B, ne deriva come implicazione che la Terra, sulla quale tanto A, quanto B, agiscono
è di proprietà comune di A e di B,
dato che qualsiasi imposizione comporta un uso del territorio in un senso o
nell’altro, con la conseguenza che essere legittimati a imporre qualcosa all’altro
implica altresì un predominio dell’uno sull’altro sul territorio; negandosi una simile legittimazione, si nega
legittimazione anche alla pretesa unilaterale di controllo del territorio, e,
quindi, la riconduzione di qualsiasi pretesa del genere alla categoria del consenso: se A nulla può pretendere da B
in assenza del consenso di B, A non può pretendersi altresì proprietario di alcunché sul territorio,
in assenza del consenso di B a siffatta pretesa proprietaria.
Le conseguenze non sono da poco,
dato che, se A, per divenire “proprietario” di una porzione di territorio –rectius, per rivendicare un qualche
diritto reale sulla porzione stessa, una volta che si assuma che la Terra, in
quanto res communis, sia proprietà
comune degli uomini, proprietà indivisibile se non per quote- ha bisogno del
consenso di B, è indispensabile per lui acquisire,
con una modalità o l’altra, quel consenso, in altri termini comprarlo, o, per converso, indennizzare
con un valore adeguato gli atti unilaterali di apprensione avvenuti senza
consenso, ma suscettibili di “sanatoria”, una volta che l’apprensione sia
oggetto di contestazione, ovvero che si riesca a dimostrare l'utilità di quell'apprensione anche per B.
E’ questo il primo fondamento,
che, come si vede, è squisitamente libertario, della rendita di esistenza e dell'utile universale,
conseguenza dell’implicazione stretta tra non legittimazione all’imposizione e
proprietà comune della Terra.
La filosofia morale che tu sostieni nel tuo pezzo è quella che "nessuno è legittimato a imporre nulla ad alcuno". Ma se non c'è consenso universale su questo postulato (in assenza di una etica di base comune), come risolvi la questione?
RispondiEliminaLa risolvo nel senso che i dotati di inclinazione libertaria rifiutano di farsi imporre etiche dagli altri e fanno il possibile perché questa visione si estenda, se non universalmente il più possibile.
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