di Fabio Massimo Nicosia
Noi sentiamo parlare di “Europa” soprattutto quando Bruxelles richiama all’ordine l’Italia per non avere “i conti in ordine”, ma, in tal modo, perdiamo di vista in che cosa consista davvero oggi l’istituzione “Europa”.
Va
subito detto, però, a tale proposito, che l’atteggiamento dei “burocrati di
Bruxelles” appare ottuso, dato che intende il fiscal compact in termini anacronisticamente ragionieristici, e non
come una grande occasione storica, per rinnovare i criteri di redazione dei
bilanci pubblici; ove si facesse ingresso ai metodi moderni, quelli per
intenderci previsti per le grandi società per azioni, il “pareggio di bilancio”
sarebbe agevolmente attingibile, trattandosi semplicemente, da un lato, di
contabilizzare il valore del demanio –come del resto prevede la legge-, e, d’altro
lato, i poderosi diritti immateriali posseduti dagli Stati (potestà concessorie
di brevetti, marchi e copyrights,
anzitutto, ma anche quei diritti direttamente), evitando di individuare nella
tassazione l’unico rimedio ai deficit di
bilancio a disposizione dei governi.
Ma
qui intendiamo parlare di altro, e cioè di come oggi convivano due diversi
volti dell’Europa, in un certo senso logicamente incompatibili tra loro,
corrispondente ciascuno a un diverso grado della scala gerarchica normativa; e
così, abbiamo, da un lato, i principi supremi fissati dal Trattato, che sono
principi di concorrenza e di socialità, anzitutto di concorrenza libera a ogni
livello, fatta salva l’eccezione monetaria, anch’essa da rivedere; e, dall’altro
lato, abbiamo la produzione alluvionale di regolamenti e direttive, la cui
funzione di standardizzazione ordoliberale evoca il tentativo, per molti versi
assurdo, di “simulare” la concorrenza perfetta –che la teoria suppone produca standards-, nella realtà invece
imponendosi autoritativamente contro la
concorrenza possibile.
Senonché,
dato che il principio di gerarchia delle fonti non può non operare anche al
livello europeo, occorre concludere che siffatte direttive regolatorie –ispirate
come si diceva, nell’impostazione, a quell’ordoliberalismo tedesco, che, ove
preso alla lettera e imposto ovunque, non può che procurare guasti- sono
giuridicamente invalide –void, per
usare il linguaggio del diritto comunitario-, proprio per violazione dei
principi di libera concorrenza, previsti in primo luogo dal Trattato.
Sicché,
a ben vedere, i due volti dell’Europa sono in realtà… quattro: a) l’Europa che
ci bacchetta per i conti pubblici, ignorando in toto la tematica demaniale; b) l’Europa del monopolio monetario,
contraddizione irrisolta rispetto ai principi concorrenziali del Trattato; c)
gli stessi principi supremi di libera concorrenza previsti dal Trattato, che
prevalgono su qualunque fonte normativa di rango inferiore; d) il sistema delle
direttive ordoliberali e ordoliberiste, in contrasto a loro volta con quell’ispirazione
suprema, propria del Trattato.
In
definitiva, invece che uno spazio comune di libertà –stante anche la crescente
restrizione nella libertà di circolazione delle persone-, ci troviamo di fronte
al rischio di un nuovo Leviatano di dimensioni continentali, vale a dire,
invece che a un mercato comune aperto, a uno Stato idiocratico-finanziario.
Nessun commento:
Posta un commento