1. di Fabio Massimo Nicosia
L’approccio
giuridico alla natura economica, l’approccio economico alla natura giuridica: lo
standard nel caos.
Il
nucleo di quest’opera, dal quale irradia
il resto, consiste nella ricostruzione della natura giuridica dell’istituzione
“Stato”[1],
così come la incontriamo oggi, in termini rinnovati rispetto alla tradizione
classica, fondata sulla nozione di “sovranità”, nella prospettiva di indagarne -dato
che ci proponiamo, nostro malgrado, obiettivi libertari-, le modalità dialettiche
del possibile dissolvimento, agevolando la tendenza evolutiva degli ordinamenti
nella direzione del superamento della tradizionale distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato in un più adeguato[2]
diritto comune, che trova radice nell’attuale diritto dell’economia e della
concorrenza, che già ora investe soggetti sia pubblici che privati,
individuando un punto di incontro tra i principi fondamentali, liberali ed
astrattamente egualitari, del diritto civile con quelli di garanzia del diritto
pubblico; del resto, il diritto
antitrust e della concorrenza, che è materia di confine nella magna divisio delle partizioni del
diritto, può bene essere letto come una simulazione di dottrina dello Stato: la
descrizione delle intese abusive e degli abusi di posizione dominante (e delle
fusioni, delle concentrazioni, etc.) non è altro che la descrizione analogica del
processo di formazione di uno Stato, uno Stato in fieri in tutte le sue articolazioni di dettaglio; e lo Stato è la massima espressione,
quella pienamente riuscita, della realizzazione di quelle intese e di quegli
abusi di dominio, che quindi merita di essere sussunto[3], in vari sensi, in quelle categorie
normative, oltre che, molto probabilmente, in categorie penalistiche, dato che
proprio l’antitrust si occupa di
illeciti, che possono essere anche molto gravi, sino a configurare vere e
proprie fattispecie di associazione di tipo mafioso, così come descritte dall’art.
416 bis del codice penale italiano; se ne ricava che, se lo Stato è il più
potente dei trust del mercato, per
quanto con caratteristiche tipiche sue proprie, è anche –ma tale profilo sarà
oggetto di specifica indagine- la più potente associazione di tipo mafioso, salvo
meglio precisare tale nozione, e questo possiamo anticipare, rimandando ai non
marginali distinguo che verranno
introdotti in prosieguo.
Rilettura
richiedono però anche i diritti dominicali, i quali chiedono riconsiderazione
proprio alla luce di tale tendenza evolutiva verso il nuovo diritto comune, che
non può non investire lo stesso regime di un territorio, le cui valenze
economiche e patrimoniali non sempre vengono colte in pieno, certo non sul
piano contabile, come oggi avviene soprattutto
con riferimento al demanio.
Si
collocherà lo Stato nel contesto storico, facendo riferimento al diritto
vigente, con un approccio di libera ricerca del diritto[4],
anzi, talora, di creazione di diritto, sicché non ci sentiremo strettamente vincolati
dal diritto formalmente vigente, di modo che il già classico giusliberismo, da libera
ricerca delle fonti, può divenire, ora, sperimentazione anche fantasiosa di
fonti nuove possibili alla luce dei principi; e allora l’approccio giuridico può
volgere in invenzione di diritto politico[5], vale a dire di autentica filosofia
politica, se scopo di questa altro non è che proporre e costituire nuovo diritto
ideale; tutto ciò, va rimarcato, può bene oggi avvenire sulla base ultima degli stessi principi generali vigenti; la
ricerca delle più alte idealità, infatti, non è per nulla incompatibile con i
principi supremi del diritto di già in
vigore, basti pensare ai diritti umani delle varie generazioni, dato che proprio
questi aspirano a ergersi pressoché assoluti nella nostra cultura, e non solo
giuridica, pretendendo di informare di sé l’intero vivere associato: si tratta
però di ricondurli a coerenza logica al livello più alto possibile,
considerando che ciò, di cui più ci si duole, con riferimento a siffatti
principi universali, riguarderebbe proprio la loro virtuale contraddittorietà e
incompatibilità, derivante da quello che viene percepito come il confliggere
tra ideali diversi, in quanto a propria volta espressione di interessi diversi
tra loro, quando non contrapposti, non di rado per ragioni di classe o di ceto;
e si tratta, in definitiva, della contrapposizione, vera o fittizia, tra diritti
della libertà ed aspirazione all’eguaglianza, contrapposizione, che finisce con
il fare il comodo dell’autorità, la quale si pone così in grado di premere
l’acceleratore o il freno di volta in volta sull’una o sull’altra, in modo da
riconfermare se stessa a seconda della bisogna, giustificandosi una volta in
nome dell’una veste, una volta dell’altra, ma anche di entrambe
contemporaneamente, e allora si tratterà di verificare i limiti di questa
co-possibilità.
Le
fonti del diritto, che altro non sono che fonti di informazione e di conoscenza,
dalle quali attingere con sapienza, “non sono solo collocate l’una accanto
all’altra: esse interagiscono, si aiutano o si sfruttano a vicenda[6]:
in questo modo le intendevano i legisti medievali, i quali le selezionavano e le
ricostruivano: sono ancora oggi le “tessere
mobili”[7] di
un mosaico da comporre attraverso l’esercizio di quella che si chiamò “arte combinatoria”[8],
la cui finalità era rappresentata dalla ricerca da quella che definiamo la più
elevata adeguatezza[9]
normativa, alla quale si possa raccogliere percorrendo avanti e indietro anche
il tempo, secondo il modello dell’antico common
law[10];
senonché, percependo lo Stato sé quale fonte del diritto in via privilegiata,
sussumere normativamente lo Stato stesso, anche per verificare le potenziali
implicazioni dialettiche del suo superamento, com’è nostro proposito, non può
avvenire facendo riferimento esclusivamente, o comunque formalisticamente, alla
normativa da esso stesso posta in essere autoreferenzialmente,
dato che in essa fa inevitabilmente difetto l’autodefinizione analitica e
precisa, almeno non esplicitata come tale; e tuttavia, dalla sua produzione
normativa, o da quella a cui esso aderisce nello spazio comune globale, si possono
cogliere le indicazioni rilevanti, e anche decisive, al fine di individuare una nuova dottrina dello Stato e, in
generale, nozioni sulla più ampia situazione, nel cui ambito lo Stato si situa;
però ciò ancora non basta, e occorre ancora ricercare diritto, attingere nuovi istituti
e principi ovunque sia possibile, tanto più se scopo della ricerca è di
individuare altresì i percorsi normativi del superamento dell’antica istituzione,
e di certo questi non ci vengono serviti dall’ordinamento su di un piatto
d’argento, ma occorre rinvenirli attraverso l’indagine; ma l’atto creativo non
è fiat ex nihilo, dato che l’operazione
viene agevolata dal dato di fatto che, essendo lo Stato odierno inserito in
contesti internazionali e di mercato, nei quali vigono istituti dalla fonte più
disparata, procedere con le modalità, che si sono indicate, dismette la
paventata veste dell’arbitraria fantasia, per divenire operazione pienamente
legittima anche dal punto di vista della
dottrina tecnica.
Se
si è scelto l’approccio giuridico, dato che ve ne potrebbero essere altri -i
quali comunque ben difficilmente potrebbero prescindere in alcun modo dalle
concettuologie giuridiche-, la ragione sta principalmente nel fatto che la
scienza giuridica è, tra le scienze sociali note in base alle classificazioni
abituali, quella che l’autore presume di conoscere meglio; se, come scrisse
Albert Einstein, “la scienza è il
tentativo di rapportare la caotica varietà della nostra esperienza sensoriale a
un sistema logicamente uniforme”[11],
va però anche detto che non v’è una sola “scienza” in grado di ordinare le
percezioni; ad esempio non v’è di certo una sola scienza sociale, se pure, a
ben vedere, tutte affrontano i medesimi argomenti affrontati delle altre,
utilizzando ciascuna il linguaggio tecnico proprio, tipico della tradizione
della disciplina specifica, sicché l’obiettivo di una scienza unificata, che
sia in grado di combinare i linguaggi, sarebbe traguardo auspicabile, in modo
che ciascuna scuola potesse conferire, facendoli confluire in convergenza, i
ricchi contributi di ciascuna tradizione[12];
oggi, però, una scelta si impone, alla luce delle specifiche competenze di
ciascuno, e il nostro approccio alla materia dello Stato e del suo contesto
sarà quindi un approccio giuridico; ma poiché –ed ecco il nostro filo
conduttore- il diritto è sovente diritto dell’economia[13],
e non da oggi,[14]
si farà anche ampio uso, al fine di sussumere normativamente lo Stato, e la più
ampia situazione, nella quale esso opera, di nozioni desunte dal linguaggio
economico, in quanto esso rimandi al diritto vigente, ovvero ne sia comunque
indicativo ed espressione; ciò, posto che l’economista si imbatte costantemente
in nozioni giuridiche ed istituzionali, dato che, nel momento in cui tratta
fatti e beni, tratta di fatti e beni già istituzionalmente qualificati, come è
istituzionalmente qualificata la loro circolazione, che è sempre circolazione
giuridica; sicché l’economista risulta svolgere, sotto tale profilo, una
funzione a ben vedere strumentale e ancillare nei confronti della scienza del
diritto[15],
almeno ogni qualvolta egli utilizzi le nozioni istituzionali senza rimetterle
in discussione, ma semplicemente trattandole e “misurandone” le vicende
dinamiche, ovvero proponendole in veste di formule matematiche riepilogative,
ma in cima alla tabella v’è sempre inevitabilmente l’indicazione di una nozione
giuridica.
Si
tratta di una particolare manifestazione del principio, in base al quale i fatti
che consideriamo si propongono alla nostra osservazione sistematicamente di già intrisi di teoria[16];
si pensi, allo stesso modo al motto nietzscheano, per il quale non esistono
fatti e fenomeni, ma solo rappresentazioni “morali” -in questo caso “giuridiche”,
o comunque formalizzate- dei fatti e dei fenomeni[17]:
più precisamente, si potrebbe affermare che l’esperienza non riguarda mai i
singoli specifici fenomeni, ma la loro interpretazione direttamente, mettendo quindi alla prova direttamente la teoria, attraverso
la quale l’osservatore inquadra i
fenomeni; ciò non significa, si badi bene, che “fatti” non sussistano, solo che
questi “fatti” assumono pieno valore e significanza, solo nel caso in cui si
sia già dotati di una teoria, idonea a consentire di comprenderli,
inquadrandoli in un sistema di giudizi, in grado di assegnare loro un
significato qualsiasi: ad esempio, se, percorrendo la strada, ci si imbatte in
un lampione, questo potrà essere inquadrato in quanto intervento della pubblica
amministrazione, volto a illuminare la via, e allora ci si potrà chiedere se
sia stato adeguatamente collocato, se sia costato il giusto e così via; ovvero,
è possibile inquadrarlo naturalisticamente in quanto composto chimico e fisico,
che poi diviene fonte di luce; ma allora non sfuggirà che si tratta comunque di
artificio della tecnica, e quindi ci si potrà chiedere chi ne sia stato
l’inventore, chi l’abbia fabbricato, e però anche chi ne abbia finanziato la
produzione, chi abbia deciso di
collocarvelo, e chi abbia finanziato anche tale ultima operazione: con
la conseguenza che lo stesso discorso naturalistico ricondurrà rapidamente
l’osservatore all’universo delle forme istituzionali e alle credenze normative vigenti
in società; in realtà, non esiste prodotto dell’ingegno umano, alla cui essenza
non corrisponda una funzione, una
destinazione d’uso e di utilità volta a soddisfare un bisogno umano, e tale
funzione sociale assume immediatamente valenza giuridica rilevante, sempre e
costantemente[18].
Il
linguaggio giuridico presenta dunque il vantaggio di non essere lontano dal
linguaggio comune e naturale, salvo che lo tecnicizza, riferendo ciascun
oggetto a una fattispecie dai contorni sufficientemente delineati sotto il
profilo della forma linguistica, ma in termini in fondo riconoscibili, almeno
in via di approssimazione, dal pubblico non tecnico; non solo, tale
riconduzione istituzionale viene agevolata dal dato di fatto che le nozioni
giuridiche non chiedono di essere inventate costantemente ex novo, trattandosi, come detto, in non piccola parte di nozioni
desunte dal linguaggio comune, ma che sono poi risultate oggetto da grandissimo
tempo di un’opera di tecnicizzazione; la quale ha condotto all’elaborazione di
definizioni, che vengono poi poste a disposizione dell’interprete assieme a un
consistente apparato di strumenti logici già predisposti, in grado di
consentirne decostruzione e ricostruzione; la realtà rappresentata da quelle
definizioni viene quindi immediatamente sussunta, anche con una certa dose di
libertà ermeneutica, nelle nozioni a disposizione, senza che ciò escluda di
desumerne di nuove rinnovando una tradizione ormai molto antica; in altri
termini, l’inquadramento giuridico e istituzionale dei fenomeni viene agevolato
dalla preesistenza di una “teoria” piuttosto rodata da un lavoro secolare quando
non millenario; e si tratta della “teoria” sociale più comune –ognuno crede di
poter parlare di “diritto”, molto di più di quanto non pensi di poter parlare,
non si dice di chimica, ma della stessa economia[19]-,
in quanto d’utilizzo immediatamente pratico e diffuso, consistente nella
ricostruzione in chiave giuridica delle situazioni e degli eventi che ognuno
vive, considerazione che introduce una seconda giustificazione dell’utilità del
ricorso all’approccio giuridico alle questioni sociali, oltre al fatto banale
che chi qui scrive si propone quale pratico del diritto: e cioè che la scienza
giuridica si direbbe la più antica delle scienze sociali e, molto
probabilmente, quella che può vantare la
più ricca e approfondita elaborazione dei temi riguardanti i rapporti civili[20],
in quanto ciascuno sussunto quale tema, non solo socialmente, ma anche
formalmente rilevante, sicché l’approccio in termini di qualificazione
giuridica viene ad assumere una centralità ermeneutica ed epistemologica[21]
pressoché universale, allorché si tratta
di accostarsi alle vicende nelle quali tutti siamo immersi; ma v’è un’altra,
ulteriore, ragione che può dar conto del pregio dell’approccio giuridico ai
fenomeni, ossia l’elemento che la centralità del diritto si esprime anche sotto
un altro profilo, in quanto punto di
intersezione tra il livello più alto, quindi filosofico e
filosofico-giuridico, e quello pratico dei fatti materiali; e allora emergerà
la narrazione sociologica, che poi è sempre gius-sociologia, quindi del fatto
politico e, perché no, dell’attualità, che è sempre inevitabilmente attualità
dei fatti istituzionali, ad esempio per come la narra la stampa, a loro volta
suscettibili di sussunzione ai livelli più alti della teoria generale; il tutto
chiudendo un cerchio, o, meglio, svolgendo una spirale che si svilupperà
sistematicamente attorno a noi.
[1] Secondo Michel
Foucault, “…lo stato non ha essenza. Lo
stato non è un universale, non è in sé una fonte autonoma di potere. Lo stato
non è altro che l’effetto, il profilo, la sagoma mobile di un processo di
statalizzazione, o di statalizzazioni incessanti, di transazioni continue”
(Nascita della biopolitica – Corso al
Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2015, 2004). Manca
totalmente, in tale lettura, la dimensione del diritto, della riconduzione
della fattispecie “Stato” –poi si dirà della questione dell’uso della
maiuscola- a qualche figura istituzionale nota, alla quale lo
Stato-procedimento e in perpetuo divenire foucaultiano non si sottrae affatto,
così come non vi si sottrae, a ben vedere, qualsiasi atto od evento umano e
sociale. Il fatto che sia in continuo mutamento non sposta il problema, anche
un’impresa lo è, e non per questo non ha essenza, o consistenza giuridica.
[3] La sussunzione,
ossia l’attività del Subsumieren, è operazione
logica, avente a che fare con la teoria degli insiemi, che consiste nella
riconduzione di una fattispecie, ideale o reale, a una determinata classe o
categoria di oggetti avente comune denominazione di classe o categoria. Cfr.
Kant, Critica della capacità di giudizio,
Milano, Rizzoli, 1995, 56 e 95). In termini giuridici, si tratta della
riconduzione a una fattispecie normativa di carattere generale o ampio di una
fattispecie reale. Com’è noto, parla di sussunzione Marx in una specifica
accezione, sulla quale torneremo.
[4] Hermann U.
Kantorowicz, La lotta per la scienza del
diritto, Lettura di Federico Roselli, Arnaldo Forni Editori, Luigi Lombardi (Vallauri), Saggio sul diritto giurisprudenziale,
Milano, Giuffré, 1975, ove si conia il termine “giusliberismo”, 201 ss.; per la “libera ricerca del diritto”, cfr.
334 ss.
[5] Giova forse
ricordare che il sottotitolo del capolavoro del “cittadino di Ginevra” suona
tuttora “o principi del diritto politico”.
[6] Luigi Lombardi
(Vallauri), ivi, 93. A tale proposito, avevamo a suo tempo introdotto la nozione di
“gerarchia funzionale delle fonti”, distinta, e talora opposta, rispetto a
quella formale tessere ,obili
[7] Cfr. il nostro Sui rapporti tra strumenti urbanistici di
rango diverso, in Rivista Giuridica
di Urbanistica, fasc. 1, 1985, 111 ss., 115.
[8] Cfr. Corrado
Pecorella, Società (diritto intermedio),
in Enc. Dir., vol. XLII, Milano,
Giuffrè, 1990, 861.
[9] Abbiamo
tecnicizzato la nozione di “adeguatezza”….
[10] Van Caegem
[11] Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Roma, Newton,
1996 (1956), 87.
[12] "Fra
cento anni tutte le scienze ancora possibili sul nostro suolo saranno tanti
capitoli di un'unica, immensa fisiognomica abbracciante tutto quanto è umano".
Oswald Spengler, Il tramonto
dell'occidente: il libro risale al 1918,
[13] Ammesso e non
concesso che il diritto possa essere diritto di altro, alla luce delle nozioni
onnicomprensive economiche invalse nel tempo, propone il superamento della
distinzione tra diritto privato e pubblico dell’economia, in una visione
onnicomprensiva di “diritto dell’economia” Mario Casanova, Teoria dell’impresa e teoria dell’azienda in un trattato di diritto
dell’economia, in Rivista trimestrale
di diritto e procedura civile, 1980, 333.
[14] “Il Croce ha sostenuto l’appartenenza del
diritto non alla forma etica, ma a quella economica o genericamente pratica
dello spirito” (Fausto Costa, Trattato
di filosofia del diritto, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1947, 75).
[15] Beati possidentes
[16] “Non c’è nessuna linea netta di divisione fra
un ‘linguaggio empirico’ e un ‘linguaggio teorico’: teorizziamo continuamente…
Infatti, anche le asserzioni singolari ordinarie sono sempre interpretazione
dei ‘fatti’ alla luce di teorie” (Karl Popper, Logica della scoperta scientifica – Il carattere autocorrettivo della
scienza, Torino, Einaudi, 1970, 1934,
478-479)
[17] Friedrich
Nietzsche, Al di là del bene e del male,
Milano, Adelphi, 1977 (1886), § 108, 75.
[18] Se ciò vale nei
rapporti tra l’uomo e ciò che l’uomo crea, verrebbe da chiedersi se vi sia un
analogo rapporto funzionale tra l’uomo e il Dio che l’ha creato, ossia se Dio
abbia impresso una destinazione di utilità all’uomo, e al creato tutto; la
nostra impressione è che un simile Dio abbia inteso soprattutto trarre motivo
di divertimento dal proprio operato.
[19] “Di economia non capisco niente”; però ci
dice la sua sulla cambiale e sul piano regolatore.
[20] 1612, innanzi a
Giacomo I. "Ma", disse il re, "io pensavo che la legge si
fondasse sulla ragione, ed io e gli altri abbiamo tanta ragione quanta ne hanno
i giudici". "E' vero", rispose Coke, "che Dio ha elargito a
Vostra Maestà eccellenti capacità e grandi doti naturali; ma Vostra Maestà non
ha ricevuto insieme ad esse la conoscenza delle leggi del Vostro regno, e le cause
concernenti la vita, l'eredità, i beni e le fortune dei Vostri sudditi non
vanno decise per mezzo della ragione naturale ma dalla ragione e dalla logica
convenzionale della legge, la quale legge è un'arte che richiede molto studio
ed una lunga esperienza, prima che un uomo possa dire di conoscerla". Per
queste parole il re si sentì molto offeso, e disse che ciò significava che il
re era sottoposto alla legge e un'affermazione del genere rappresentava un
tradimento (Roscoe Pound, Lo spirito della "Common Law", Giuffrè).
[21] Cfr. il nostro La centralità del diritto: lo standard nel
caos
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