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domenica 20 novembre 2016

Dallo Stato ai Common Trust - Introduzione.

1.    di Fabio Massimo Nicosia  

     L’approccio giuridico alla natura economica, l’approccio economico alla natura giuridica: lo standard nel caos.
Il nucleo di quest’opera, dal quale irradia il resto, consiste nella ricostruzione della natura giuridica dell’istituzione “Stato”[1], così come la incontriamo oggi, in termini rinnovati rispetto alla tradizione classica, fondata sulla nozione di “sovranità”, nella prospettiva di indagarne -dato che ci proponiamo, nostro malgrado, obiettivi libertari-, le modalità dialettiche del possibile dissolvimento, agevolando la tendenza evolutiva degli ordinamenti nella direzione del superamento della tradizionale distinzione tra diritto pubblico e diritto privato in un più adeguato[2] diritto comune, che trova radice nell’attuale diritto dell’economia e della concorrenza, che già ora investe soggetti sia pubblici che privati, individuando un punto di incontro tra i principi fondamentali, liberali ed astrattamente egualitari, del diritto civile con quelli di garanzia del diritto pubblico; del resto, il diritto antitrust e della concorrenza, che è materia di confine nella magna divisio delle partizioni del diritto, può bene essere letto come una simulazione di dottrina dello Stato: la descrizione delle intese abusive e degli abusi di posizione dominante (e delle fusioni, delle concentrazioni, etc.) non è altro che la descrizione analogica del processo di formazione di uno Stato, uno Stato in fieri in tutte le sue articolazioni di dettaglio; e lo Stato è la massima espressione, quella pienamente riuscita, della realizzazione di quelle intese e di quegli abusi di dominio, che quindi merita di essere sussunto[3], in vari sensi, in quelle categorie normative, oltre che, molto probabilmente, in categorie penalistiche, dato che proprio l’antitrust si occupa di illeciti, che possono essere anche molto gravi, sino a configurare vere e proprie fattispecie di associazione di tipo mafioso, così come descritte dall’art. 416 bis del codice penale italiano; se ne ricava che, se lo Stato è il più potente dei trust del mercato, per quanto con caratteristiche tipiche sue proprie, è anche –ma tale profilo sarà oggetto di specifica indagine- la più potente associazione di tipo mafioso, salvo meglio precisare tale nozione, e questo possiamo anticipare, rimandando ai non marginali distinguo che verranno introdotti in prosieguo.

Rilettura richiedono però anche i diritti dominicali, i quali chiedono riconsiderazione proprio alla luce di tale tendenza evolutiva verso il nuovo diritto comune, che non può non investire lo stesso regime di un territorio, le cui valenze economiche e patrimoniali non sempre vengono colte in pieno, certo non sul piano contabile, come oggi avviene  soprattutto con riferimento al demanio.
Si collocherà lo Stato nel contesto storico, facendo riferimento al diritto vigente, con un approccio di libera ricerca del diritto[4], anzi, talora, di creazione di diritto, sicché non ci sentiremo strettamente vincolati dal diritto formalmente vigente, di modo che il già classico giusliberismo, da libera ricerca delle fonti, può divenire, ora, sperimentazione anche fantasiosa di fonti nuove possibili alla luce dei principi; e allora l’approccio giuridico può volgere in invenzione di diritto politico[5], vale a dire di autentica filosofia politica, se scopo di questa altro non è che proporre e costituire nuovo diritto ideale; tutto ciò, va rimarcato, può bene oggi avvenire sulla base ultima degli stessi principi generali vigenti; la ricerca delle più alte idealità, infatti, non è per nulla incompatibile con i principi supremi del diritto di già in vigore, basti pensare ai diritti umani delle varie generazioni, dato che proprio questi aspirano a ergersi pressoché assoluti nella nostra cultura, e non solo giuridica, pretendendo di informare di sé l’intero vivere associato: si tratta però di ricondurli a coerenza logica al livello più alto possibile, considerando che ciò, di cui più ci si duole, con riferimento a siffatti principi universali, riguarderebbe proprio la loro virtuale contraddittorietà e incompatibilità, derivante da quello che viene percepito come il confliggere tra ideali diversi, in quanto a propria volta espressione di interessi diversi tra loro, quando non contrapposti, non di rado per ragioni di classe o di ceto; e si tratta, in definitiva, della contrapposizione, vera o fittizia, tra diritti della libertà ed aspirazione all’eguaglianza, contrapposizione, che finisce con il fare il comodo dell’autorità, la quale si pone così in grado di premere l’acceleratore o il freno di volta in volta sull’una o sull’altra, in modo da riconfermare se stessa a seconda della bisogna, giustificandosi una volta in nome dell’una veste, una volta dell’altra, ma anche di entrambe contemporaneamente, e allora si tratterà di verificare i limiti di questa co-possibilità.
Le fonti del diritto, che altro non sono che fonti di informazione e di conoscenza, dalle quali attingere con sapienza,  “non sono solo collocate l’una accanto all’altra: esse interagiscono, si aiutano o si sfruttano a vicenda[6]: in questo modo le intendevano i legisti medievali, i quali le selezionavano e le ricostruivano: sono ancora oggi le “tessere mobili[7] di un mosaico da comporre attraverso l’esercizio di quella che si chiamò “arte combinatoria[8], la cui finalità era rappresentata dalla ricerca da quella che definiamo la più elevata adeguatezza[9] normativa, alla quale si possa raccogliere percorrendo avanti e indietro anche il tempo, secondo il modello dell’antico common law[10]; senonché, percependo lo Stato sé quale fonte del diritto in via privilegiata, sussumere normativamente lo Stato stesso, anche per verificare le potenziali implicazioni dialettiche del suo  superamento, com’è nostro proposito, non può avvenire facendo riferimento esclusivamente, o comunque formalisticamente, alla normativa da esso stesso posta in essere autoreferenzialmente, dato che in essa fa inevitabilmente difetto l’autodefinizione analitica e precisa, almeno non esplicitata come tale; e tuttavia, dalla sua produzione normativa, o da quella a cui esso aderisce nello spazio comune globale, si possono cogliere le indicazioni rilevanti, e anche decisive, al fine di individuare una nuova dottrina dello Stato e, in generale, nozioni sulla più ampia situazione, nel cui ambito lo Stato si situa; però ciò ancora non basta, e occorre ancora ricercare diritto, attingere nuovi istituti e principi ovunque sia possibile, tanto più se scopo della ricerca è di individuare altresì i percorsi normativi del superamento dell’antica istituzione, e di certo questi non ci vengono serviti dall’ordinamento su di un piatto d’argento, ma occorre rinvenirli attraverso l’indagine; ma l’atto creativo non è fiat ex nihilo, dato che l’operazione viene agevolata dal dato di fatto che, essendo lo Stato odierno inserito in contesti internazionali e di mercato, nei quali vigono istituti dalla fonte più disparata, procedere con le modalità, che si sono indicate, dismette la paventata veste dell’arbitraria fantasia, per divenire operazione pienamente legittima anche dal punto di vista della dottrina tecnica.
Se si è scelto l’approccio giuridico, dato che ve ne potrebbero essere altri -i quali comunque ben difficilmente potrebbero prescindere in alcun modo dalle concettuologie giuridiche-, la ragione sta principalmente nel fatto che la scienza giuridica è, tra le scienze sociali note in base alle classificazioni abituali, quella che l’autore presume di conoscere meglio; se, come scrisse Albert Einstein, “la scienza è il tentativo di rapportare la caotica varietà della nostra esperienza sensoriale a un sistema logicamente uniforme[11], va però anche detto che non v’è una sola “scienza” in grado di ordinare le percezioni; ad esempio non v’è di certo una sola scienza sociale, se pure, a ben vedere, tutte affrontano i medesimi argomenti affrontati delle altre, utilizzando ciascuna il linguaggio tecnico proprio, tipico della tradizione della disciplina specifica, sicché l’obiettivo di una scienza unificata, che sia in grado di combinare i linguaggi, sarebbe traguardo auspicabile, in modo che ciascuna scuola potesse conferire, facendoli confluire in convergenza, i ricchi contributi di ciascuna tradizione[12]; oggi, però, una scelta si impone, alla luce delle specifiche competenze di ciascuno, e il nostro approccio alla materia dello Stato e del suo contesto sarà quindi un approccio giuridico; ma poiché –ed ecco il nostro filo conduttore- il diritto è sovente diritto dell’economia[13], e non da oggi,[14] si farà anche ampio uso, al fine di sussumere normativamente lo Stato, e la più ampia situazione, nella quale esso opera, di nozioni desunte dal linguaggio economico, in quanto esso rimandi al diritto vigente, ovvero ne sia comunque indicativo ed espressione; ciò, posto che l’economista si imbatte costantemente in nozioni giuridiche ed istituzionali, dato che, nel momento in cui tratta fatti e beni, tratta di fatti e beni già istituzionalmente qualificati, come è istituzionalmente qualificata la loro circolazione, che è sempre circolazione giuridica; sicché l’economista risulta svolgere, sotto tale profilo, una funzione a ben vedere strumentale e ancillare nei confronti della scienza del diritto[15], almeno ogni qualvolta egli utilizzi le nozioni istituzionali senza rimetterle in discussione, ma semplicemente trattandole e “misurandone” le vicende dinamiche, ovvero proponendole in veste di formule matematiche riepilogative, ma in cima alla tabella v’è sempre inevitabilmente l’indicazione di una nozione giuridica.
Si tratta di una particolare manifestazione del principio, in base al quale i fatti che consideriamo si propongono alla nostra osservazione sistematicamente di già intrisi di teoria[16]; si pensi, allo stesso modo al motto nietzscheano, per il quale non esistono fatti e fenomeni, ma solo rappresentazioni “morali” -in questo caso “giuridiche”, o comunque formalizzate- dei fatti e dei fenomeni[17]: più precisamente, si potrebbe affermare che l’esperienza non riguarda mai i singoli specifici fenomeni, ma la loro interpretazione direttamente, mettendo quindi alla prova direttamente la teoria, attraverso la quale l’osservatore  inquadra i fenomeni; ciò non significa, si badi bene, che “fatti” non sussistano, solo che questi “fatti” assumono pieno valore e significanza, solo nel caso in cui si sia già dotati di una teoria, idonea a consentire di comprenderli, inquadrandoli in un sistema di giudizi, in grado di assegnare loro un significato qualsiasi: ad esempio, se, percorrendo la strada, ci si imbatte in un lampione, questo potrà essere inquadrato in quanto intervento della pubblica amministrazione, volto a illuminare la via, e allora ci si potrà chiedere se sia stato adeguatamente collocato, se sia costato il giusto e così via; ovvero, è possibile inquadrarlo naturalisticamente in quanto composto chimico e fisico, che poi diviene fonte di luce; ma allora non sfuggirà che si tratta comunque di artificio della tecnica, e quindi ci si potrà chiedere chi ne sia stato l’inventore, chi l’abbia fabbricato, e però anche chi ne abbia finanziato la produzione, chi abbia deciso di  collocarvelo, e chi abbia finanziato anche tale ultima operazione: con la conseguenza che lo stesso discorso naturalistico ricondurrà rapidamente l’osservatore all’universo delle forme istituzionali e alle credenze normative vigenti in società; in realtà, non esiste prodotto dell’ingegno umano, alla cui essenza non corrisponda una funzione, una destinazione d’uso e di utilità volta a soddisfare un bisogno umano, e tale funzione sociale assume immediatamente valenza giuridica rilevante, sempre e costantemente[18].
Il linguaggio giuridico presenta dunque il vantaggio di non essere lontano dal linguaggio comune e naturale, salvo che lo tecnicizza, riferendo ciascun oggetto a una fattispecie dai contorni sufficientemente delineati sotto il profilo della forma linguistica, ma in termini in fondo riconoscibili, almeno in via di approssimazione, dal pubblico non tecnico; non solo, tale riconduzione istituzionale viene agevolata dal dato di fatto che le nozioni giuridiche non chiedono di essere inventate costantemente ex novo, trattandosi, come detto, in non piccola parte di nozioni desunte dal linguaggio comune, ma che sono poi risultate oggetto da grandissimo tempo di un’opera di tecnicizzazione; la quale ha condotto all’elaborazione di definizioni, che vengono poi poste a disposizione dell’interprete assieme a un consistente apparato di strumenti logici già predisposti, in grado di consentirne decostruzione e ricostruzione; la realtà rappresentata da quelle definizioni viene quindi immediatamente sussunta, anche con una certa dose di libertà ermeneutica, nelle nozioni a disposizione, senza che ciò escluda di desumerne di nuove rinnovando una tradizione ormai molto antica; in altri termini, l’inquadramento giuridico e istituzionale dei fenomeni viene agevolato dalla preesistenza di una “teoria” piuttosto rodata da un lavoro secolare quando non millenario; e si tratta della “teoria” sociale più comune –ognuno crede di poter parlare di “diritto”, molto di più di quanto non pensi di poter parlare, non si dice di chimica, ma della stessa economia[19]-, in quanto d’utilizzo immediatamente pratico e diffuso, consistente nella ricostruzione in chiave giuridica delle situazioni e degli eventi che ognuno vive, considerazione che introduce una seconda giustificazione dell’utilità del ricorso all’approccio giuridico alle questioni sociali, oltre al fatto banale che chi qui scrive si propone quale pratico del diritto: e cioè che la scienza giuridica si direbbe la più antica delle scienze sociali e, molto probabilmente,  quella che può vantare la più ricca e approfondita elaborazione dei temi riguardanti i rapporti civili[20], in quanto ciascuno sussunto quale tema, non solo socialmente, ma anche formalmente rilevante, sicché l’approccio in termini di qualificazione giuridica viene ad assumere una centralità ermeneutica ed epistemologica[21] pressoché universale,  allorché si tratta di accostarsi alle vicende nelle quali tutti siamo immersi; ma v’è un’altra, ulteriore, ragione che può dar conto del pregio dell’approccio giuridico ai fenomeni, ossia l’elemento che la centralità del diritto si esprime anche sotto un altro profilo, in quanto punto di intersezione tra il livello più alto, quindi filosofico e filosofico-giuridico, e quello pratico dei fatti materiali; e allora emergerà la narrazione sociologica, che poi è sempre gius-sociologia, quindi del fatto politico e, perché no, dell’attualità, che è sempre inevitabilmente attualità dei fatti istituzionali, ad esempio per come la narra la stampa, a loro volta suscettibili di sussunzione ai livelli più alti della teoria generale; il tutto chiudendo un cerchio, o, meglio, svolgendo una spirale che si svilupperà sistematicamente attorno a noi.




[1] Secondo Michel Foucault, “…lo stato non ha essenza. Lo stato non è un universale, non è in sé una fonte autonoma di potere. Lo stato non è altro che l’effetto, il profilo, la sagoma mobile di un processo di statalizzazione, o di statalizzazioni incessanti, di transazioni continue” (Nascita della biopolitica – Corso al Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2015, 2004). Manca totalmente, in tale lettura, la dimensione del diritto, della riconduzione della fattispecie “Stato” –poi si dirà della questione dell’uso della maiuscola- a qualche figura istituzionale nota, alla quale lo Stato-procedimento e in perpetuo divenire foucaultiano non si sottrae affatto, così come non vi si sottrae, a ben vedere, qualsiasi atto od evento umano e sociale. Il fatto che sia in continuo mutamento non sposta il problema, anche un’impresa lo è, e non per questo non ha essenza, o consistenza giuridica.

[2]
[3] La sussunzione, ossia l’attività del Subsumieren, è operazione logica, avente a che fare con la teoria degli insiemi, che consiste nella riconduzione di una fattispecie, ideale o reale, a una determinata classe o categoria di oggetti avente comune denominazione di classe o categoria. Cfr. Kant, Critica della capacità di giudizio, Milano, Rizzoli, 1995, 56 e 95). In termini giuridici, si tratta della riconduzione a una fattispecie normativa di carattere generale o ampio di una fattispecie reale. Com’è noto, parla di sussunzione Marx in una specifica accezione, sulla quale torneremo.
[4] Hermann U. Kantorowicz, La lotta per la scienza del diritto, Lettura di Federico Roselli, Arnaldo Forni Editori,    Luigi Lombardi (Vallauri), Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Giuffré, 1975, ove si conia il termine “giusliberismo”, 201 ss.; per la “libera ricerca del diritto”, cfr. 334 ss.
[5] Giova forse ricordare che il sottotitolo del capolavoro del “cittadino di Ginevra” suona tuttora “o principi del diritto politico”.
[6] Luigi Lombardi (Vallauri), ivi, 93. A tale proposito, avevamo a suo tempo introdotto la nozione di “gerarchia funzionale delle fonti”, distinta, e talora opposta, rispetto a quella formale tessere ,obili
[7] Cfr. il nostro Sui rapporti tra strumenti urbanistici di rango diverso, in Rivista Giuridica di Urbanistica, fasc. 1, 1985, 111 ss., 115.
[8] Cfr. Corrado Pecorella, Società (diritto intermedio), in Enc. Dir., vol. XLII, Milano, Giuffrè, 1990, 861.
[9] Abbiamo tecnicizzato la nozione di “adeguatezza”….
[10] Van Caegem
[11] Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Roma, Newton, 1996 (1956), 87.
[12]  "Fra cento anni tutte le scienze ancora possibili sul nostro suolo saranno tanti capitoli di un'unica, immensa fisiognomica abbracciante tutto quanto è umano". Oswald Spengler, Il tramonto dell'occidente: il libro risale al 1918,
[13] Ammesso e non concesso che il diritto possa essere diritto di altro, alla luce delle nozioni onnicomprensive economiche invalse nel tempo, propone il superamento della distinzione tra diritto privato e pubblico dell’economia, in una visione onnicomprensiva di “diritto dell’economia” Mario Casanova, Teoria dell’impresa e teoria dell’azienda in un trattato di diritto dell’economia, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1980, 333.
[14]Il Croce ha sostenuto l’appartenenza del diritto non alla forma etica, ma a quella economica o genericamente pratica dello spirito” (Fausto Costa, Trattato di filosofia del diritto, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1947, 75).
[15] Beati possidentes
[16]Non c’è nessuna linea netta di divisione fra un ‘linguaggio empirico’ e un ‘linguaggio teorico’: teorizziamo continuamente… Infatti, anche le asserzioni singolari ordinarie sono sempre interpretazione dei ‘fatti’ alla luce di teorie” (Karl Popper, Logica della scoperta scientifica – Il carattere autocorrettivo della scienza, Torino, Einaudi, 1970, 1934, 478-479)
[17] Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, Milano, Adelphi, 1977 (1886), § 108, 75.
[18] Se ciò vale nei rapporti tra l’uomo e ciò che l’uomo crea, verrebbe da chiedersi se vi sia un analogo rapporto funzionale tra l’uomo e il Dio che l’ha creato, ossia se Dio abbia impresso una destinazione di utilità all’uomo, e al creato tutto; la nostra impressione è che un simile Dio abbia inteso soprattutto trarre motivo di divertimento dal proprio operato.
[19]Di economia non capisco niente”; però ci dice la sua sulla cambiale e sul piano regolatore.
[20] 1612, innanzi a Giacomo I. "Ma", disse il re, "io pensavo che la legge si fondasse sulla ragione, ed io e gli altri abbiamo tanta ragione quanta ne hanno i giudici". "E' vero", rispose Coke, "che Dio ha elargito a Vostra Maestà eccellenti capacità e grandi doti naturali; ma Vostra Maestà non ha ricevuto insieme ad esse la conoscenza delle leggi del Vostro regno, e le cause concernenti la vita, l'eredità, i beni e le fortune dei Vostri sudditi non vanno decise per mezzo della ragione naturale ma dalla ragione e dalla logica convenzionale della legge, la quale legge è un'arte che richiede molto studio ed una lunga esperienza, prima che un uomo possa dire di conoscerla". Per queste parole il re si sentì molto offeso, e disse che ciò significava che il re era sottoposto alla legge e un'affermazione del genere rappresentava un tradimento (Roscoe Pound, Lo spirito della "Common Law", Giuffrè).
[21] Cfr. il nostro La centralità del diritto: lo standard nel caos

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