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lunedì 7 novembre 2016

La crisi del 2008 tra proibizionismo monetario e contabilità patrimoniale

di Fabio Massimo Nicosia


Per comprendere la crisi finanziaria americana del 2008, evidenziata pubblicamente dal fallimento di Lehman Brothers, occorre preliminarmente inquadrare la vicenda nel più generale problema del “proibizionismo monetario” (si veda il nostro scritto “La moneta come istituto giuridico”, pubblicato su questo blog),
il quale, come tutti i proibizionismi, dà vita a situazioni e fattispecie elusive, data l’impossibilità di imbrigliare facoltà naturali quali l’emissione monetaria; ecco allora che le banche d’affari, non essendo autorizzate a emettere direttamente moneta, vanno alla ricerca di soluzioni alternative, che, inevitabilmente, finiscono con il rivelarsi spesso “tossiche”, esattamente come nel mercato clandestino della droga si va spesso incontro a prodotti “tagliati”; e infatti è noto che, con riferimento ai subprimes del 2007-2008, si sia diffusa a livello giornalistico l’espressione “titoli tossici”.

Non essendo autorizzati a rendere ufficiali retrostanti monetari chiari e trasparenti, gli istituti di credito e le finanziarie danno vita ai cosiddetti prodotti finanziari “creativi”, utilizzando quali “sottostanti” beni, e anche eventi –ad esempio le nevicate-, consistenti di fatto in vere e proprie scommesse, ossia giochi a somma zero, e, quindi, ad altissimo rischio, nella piena inconsapevolezza dell’investitore, che non è ovviamente in grado di accedere minimamente a simili informazioni, e, quand’anche lo fosse, non sarebbe certamente in grado di comprenderle.

Ora, nel 2008 le banche di investimento avevano costruito derivati, collocando quale loro sottostante pacchetti di mutui ipotecari, riferiti a un mercato immobiliare estremamente instabile e volatile, legato com’era all’andamento dei tassi di interesse fissati dalla FED di Alan Greenspan.

Gli investitori venivano convinti del carattere sostanzialmente illimitato della crescita finanziaria, convinti tutti com’erano della solidità del sottostante immobiliare ipotecario, salvo che, esattamente come accade con la crescita esponenziale del debito pubblico, che, in sé, sarebbe anche sostenibile, ma che comporta, in assenza di una chiara contabilità del patrimonio sottostante al debito, ansia da insostenibilità sul lungo periodo, creando instabilità psicologica negli operatori. 

Tale situazione psicologica viene quindi presa in mano dalle autorità di vigilanza e di emissione monetaria, che diventano quindi dominus completi della situazione, dato che qualsiasi loro atto o gesto finisce con il divenire decisivo, e quindi anche letale, per i mercati finanziari: in pratica, crescendo lo stress psicologico, ci si lega totalmente mani e piedi all’arbitrio del decisore, il quale può fare leva su queste situazioni di panico per puramente e semplicemente decidere ad arbitrio quale debba o possa essere il momento del “fine partita”.

Senonché tutto ciò non si sarebbe verificato, ove all’epoca fossero stati sufficientemente chiari i principi della moderna contabilità, per i quali è totalmente insensato che il diritto reale ipotecario sugli immobili, sui quali erano stati accesi i mutui, non fossero contabilizzati negli stati patrimoniali bancari; in tal caso, infatti, quella che veniva percepita come mera “virtualità” avrebbe viceversa disvelato il proprio chiaro carattere solido e materiale, evitandosi panico e crollo; in altri termini, la crisi finanziaria, che ha condotto alla crisi economica mondiale che conosciamo, è stata determinata puramente e semplicemente dall'ignoranza di un principio generale del diritto, dato che la contabilità e la ragioneria altro non sono che discipline normative.

A tale proposito, ci limitiamo a rinviare, per quanto riguarda i principi generali della materia al nostro scritto “Una contabilizzazione ci salverà”, pubblicato su questo blog.

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