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lunedì 7 novembre 2016

Caduta tendenziale del saggio di profitto, presa nel mucchio, profitto universale, profitto individuale

di Avv. Fabio Massimo Nicosia

Secondo Karl Marx, l'introduzione e il progressivo miglioramento tecnologico delle macchine all'interno della fabbrica capitalistica avrebbe finito con il determinare il tendenziale crollo del profitto del capitalista stesso in conseguenza della fuoriuscita del proletario dalla fabbrica, data la sua sostituzione ad opera delle macchine e della tecnologia.

Ciò sul presupposto del valore-lavoro e, quindi, del plus-valore, vale a dire che, secondo tale classica dottrina, il profitto del capitalista troverebbe fonte esclusiva nello sfruttamento del capitale umano dell'operaio, oggetto della sua sussunzione -vale a dire la riconduzione della fattispecie reale in una categoria normativa- all'interno della fabbrica capitalistica "coaseana" (Cap. VI inedito del "Capitale"").

Si viene così però a evidenziare un palese paradosso, che finisce poi coi fatti con il confutare l'idea stessa del valore-lavoro, oltre che del plus-valore, dato che radicare il profitto nella relazione autoritativa d'impresa significa poi non sapere vedere più il profitto stesso, quando una tale relazione finisse con il venire meno, una volta che il proletario venisse espunto, dato il suo carattere di "esubero" rispetto alle supposte esigenze della produzione, dopo che siano state introdotte macchine e tecnologia avanzata.

E' evidente, al contrario, che l'idea che il profitto del capitalista sia radicato nella relazione di lavoro si rivela erronea, dato che il profitto stesso, ovviamente, perdura e si perpetua anche a rapporto di lavoro interrotto, una volta che la sua realizzazione sia affidata alla produzione tecnologica e non umana, rivelandosi quest'ultima superflua, salvo che tale profitto viene però incamerato così interamente dal capitalista, sedicente "proprietario" della fabbrica, a fronte del quale si viene però a contrapporre il lastrico per i lavoratori espunti, in quanto "esuberi", alla luce dell'innovazione tecnologica, dalla fabbrica.

Senonché si viene qui a determinare una dialettica estintiva dell'azienda -l'azienda come "istituto della transizione", come già rilevammo a suo tempo in Beati possidentes-, dato che, una volta che la produzione sia interamente affidata alle macchine e alla tecnologia, con possibilità per le macchine di riparare macchine e di produrne di nuove direttamente, viene meno ogni giustificazione di utilità alla presenza del capitalista proprietario, che si verrebbe a configurare quale mero parassita di una produzione tecnologica, della quale egli non avrebbe (più) alcun merito, dato che ne fruirebbe del tutto passivamente, risultando oggetto di una iper-protezione, del tutto ingiustificata.

Ne deriva, quale implicazione logica di quanto precede, che:
a) I beni prodotti dalle macchine post-capitaliste sono di proprietà diffusa, e non del capitalista, divenuto ormai figura del tutto pleonastica, e, quindi, parassitaria, con conseguente facoltà legittima all'apprensione dei beni prodotti, direttamente dal mucchio da parte della comunità dei comunisti in senso civilistico;
b) Gli espunti dalla fabbrica in quanto "esuberi" rispetto alla fabbrica automatizzata divengono titolari di una quota paritaria individuale dei profitti prodotti dalla fabbrica stessa in sede di automazione della produzione;
c) I punti che precedono tendono a sovrapporsi, dato che il profitto universale di cui al punto b) può anche finire con il coincidere con la mera presa nel mucchio, di cui al punto a); 
d) Data la vigenza, a questo punto, di piena libertà di conio (free coinage) in capo a ciascuno, si viene ad aggiungere a quanto sopra nuovo spazio per nuove produzioni di carattere individuale, con conseguente configurabilità del profitto individuale, che se viene a sommare al profitto universale, di cui ai punti precedenti.

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