di Fabio Massimo Nicosia
A proposito di Keynes, devo dire che ho faticato a metabolizzarlo, dato che, data la mia estrazione liberista, sia pure di "sinistra", per me Keynes era quello delle opere pubbliche inutili e basta.
Poi ovviamente ho scoperto molti altri aspetti di Keynes, che ne fanno un punto di riferimento insieme ad altri economisti, scorgendosi addirittura una strana confluenza, quanto ad espansione monetaria, tra l'ultimo Hayek e il suo rivale storico Keynes.
Quindi il contributo di Keynes è importante e va considerato. Tuttavia non può essere l'unico punto di riferimento culturale di un metapartito che si rivolge a tutto l'arco politico, rischiando di essere divisivo e non inclusivo, dato che non si comprende come si possa pretendere che un unico economista, molto peculiare, diventi punto di riferimento esclusivo da Forza Italia a Rifondazione Comunista.
Nino Galloni stesso ha distinto tra un post-keynesismo e un keynesismo volgare, ossia quello delle opere pubbliche inutili, pur di fare occupazione e "moltiplicatore". Per quanto mi riguarda personalmente, poi, considerando che ho la presunzione di avere un pensiero mio, io non potrei definirmi mai, non solo keynesiano, ma nemmeno hayekiano, rothbardiano, ricardiano o quel che vi pare, io sono nicosiano e basta, e tutti gli autori mi sono utili, per essere recati in sintesi nel mio pensiero personale.
Mi può andar bene che il Movimento si definisca "post-keynesiano", nel senso che intendeva l'economista fascista Carli: "dobbiamo andare oltre Keynes, includendo lo Stato nella teoria economica, e non solo immaginando che cosa possa fare lo Stato". Perfetto, è quanto hanno fatto radico-liberisti come Antonio De Viti De Marco, nonno della Public Choice di Buchanan, e quanto ha fatto appunto Buchanan, ed è quanto, si parva licet, vado facendo io, che, nel libro che sto scrivendo, includo lo Stato nella teoria della concorrenza, auspicandone il riassorbimento nel mercato e nella comunità, in quanto soggetto giuridico in competizione con gli altri, in funzione della realizzazioni di servizi di adeguata economia di scala.
Per quanto riguarda le infrastrutture pubbliche, ho scritto sull'argomento, ma, per piacere, non cadiamo nel keynesismo volgare sopra detto -il lavoro pubblico come bene in sé, anche quando rompe le scatole a cittadini e viandanti-, e concentriamoci sulle opere davvero utili e importanti, e che sia l'Europa a finanziarle, che tanto ci deve dopo le sue vessazioni, altro che tasse...
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