-->

lunedì 12 settembre 2016

I diritti umani come capitale umano

di Fabio Massimo Nicosia

La materia dei diritti umani si presta spesso a discussioni di carattere mistificante, stante quella che pare la loro debolezza intrinseca, dovuta alla vaghezza della formulazione di norme di principio così alto in grado nella scala della gerarchia delle fonti.

La protezione dei diritti umani viene spesso invocata, del resto, a giustificazione di aggressioni militari, il che evidenzia il loro ingresso non di rado pretestuoso nel dibattito politico tra le diverse culture del multiculturalismo che ci troviamo ad affrontare.

Per altro verso, l’invocazione della necessità di proteggere i diritti umani è facile preda dei giustificatori dello Stato, o addirittura dello Stato mondiale, una volta che il public goods argument for the State mostra la corda.

Siccome i diritti umani coprono lo scibile, le giustificazioni dello Stato mondiale rischiano di divenire infinite, dalla necessità di proteggere l’ambiente su adeguata giustificazione di scale, all’esigenza di regolare “equamente” commercio e imposizione fiscale: non v’è argomento che non possa essere portato a fondamento dell’interventismo della coercizione, e i “diritti umani” così intesi molto vi si prestano.

V’è però una via d’uscita, che consente di dare collocazione pregiata ai diritti umani nella teoria del diritto, ed è porre l’accento sull’esigenza della loro risarcibilità. Non ha senso un diritto soggettivo che non sia anche suscettibile di riparazione in caso di illecita lesione, e allora emerge la qualità dell’elaborazione dottrinaria in materia di risarcimento del danno, dal danno biologico a quello esistenziale, dal morale nelle più vaste accezioni, come il danno alla reputazione, alla personalità, alla vita di relazione e così via.

Ed ecco allora che anche il diritto umano è in grado di esprimere la propria piena valenza economica, di vero e proprio asset del capitale umano, che viene attribuito dalle dichiarazioni internazionali dei diritti a ognuno, il quale si vede legittimato a invocare risarcimento ogni qualvolta un suo diritto umano risulti leso.

Si tratta di un approccio nuovo e non statalista alla tutela dei diritti umani, che non giustifica interventismi dall’alto, ma auto-selezioni dal basso, dato che ogni qualvolta uno si senta leso deve poter essere messo in condizione di adire le sedi giurisdizionali, ordinarie o internazionali, al fine di ottenere un congruo risarcimento, il quale conferisca valenza effettiva a diritti, diversamente destinati a rimanere flatus vocis.


Fuori dall’attribuzione patrimoniale e di capitale non v’è diritto, infatti, ma solo chiacchiera da salotto televisivo e da propagandisti a molto buon mercato: risarcire il danno con la grana, medium universale, è quindi, a nostro avviso, l’unico modo per venire incontro non mistificatoriamente alla domanda di tutela dei diritti umani, che appare crescente: occorre però non farsi ingannare.

2 commenti:

  1. la crina è scivolosa ma l'obbiettivo è molto saldo

    RispondiElimina
  2. Mi sembra eccellente e veramente condivisibile! Poiché questo mondo è esclusivamente mosso dal denaro, quest'ultimo deve essere la base di calcolo del congruo risarcimento. La violazione del diritto umano DEVE essere risarcibile! Completamente d'accordo.

    RispondiElimina