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sabato 23 luglio 2016

Una contabilizzazione ci salverà

di Fabio Massimo Nicosia


Più si approfondiscono le questioni, meglio emerge la rilevanza della vicenda  contabile nell’approccio ai problemi; la scienza della contabilità va considerata una branca della scienza giuridica, dato che propone regole, volte all’individuazione e all’espressione del valore dei beni, indipendentemente dal loro affidamento diretto e immediato agli scambi di mercato.

Vale a dire che, se il mercato consente, attraverso il sistema dei prezzi, di attribuire un “valore” socialmente riconoscibile ai beni e ai servizi, che nel mercato stesso vengono forniti e prestati, vi sono una grande quantità di beni e servizi, materiali e immateriali, virtuali o concreti, che sono momentaneamente, o anche di fatto definitivamente, sottratti alla destinazione di mercato, dato che chi ne è titolare non ha alcuna intenzione, al momento, o forse nemmeno mai, di sottoporli al giudizio di ipotetici interlocutori o scambisti quanto all’attribuzione di un valore –prezzo- in vista di uno scambio che non avverrà mai, o, se si verificherà, troverà realizzazione in tempi molto lontani, dei quali è imprevedibile l’individuazione temporale.

Tutto ciò, evidentemente, non comporta affatto che quei beni o servizi siano privi di alcun valore sociale riconoscibile, dato che sarebbe assurdo subordinare la capacità di esprimere valori e qualità al fatto che un bene o servizio sia effettivamente sottoposto al giudizio dell’opinione altrui o diffusa, quando questi  presentano la capacità di esprimere un proprio peso e impatto sociale in sé, diciamo pure “oggettivamente”, per natura stessa della cosa, per la sua indivisibiltà quanto a effetti e conseguenze.

Il fatto quindi di non essere destinati, al momento o per sempre, allo scambio, non fa venire meno il carattere di ricchezze, non solo potenziali, ma in atto, di quei beni, ogni qualvolta comportino appagamento psichico a vantaggio del fruitore -si pensi al capitale naturale-, o delle capacità di fornire servizi; e allora emerge l’autonomia, rispetto alle vicende dello scambio economico, della scienza normativa della contabilità, dato che si tratta di conferire il giusto peso economico-sociale a quelle potenzialità o attività che gli individui sono in grado di esprimere, anche se, momentaneamente, non sentono l’esigenza di esprimerle, senza che ciò ne comporti il depauperamento: da qui, ad esempio, le nozioni di capitale umano, di avviamento e di know how, che non sono solo mere potenzialità inespresse, ma trovano manifestazione immediata nella qualità della vita delle persone, che ne sono titolari, e alle quali compete di amministrarne la gestione e la non gestione.

Ne deriva quindi che, l’opzione di attribuire un determinato valore contabile a questi asset apparentemente inespressi, o apparentemente passivi –vale anche per beni materialissimi come gli immobili non destinati allo stato allo scambio, e quindi per il demanio non destinato alla sdemanializzazione-, invece di un altro, può cambiare radicalmente le sorti di un individuo, di un’impresa, di una società intera, e quindi della stessa storia dell’umanità.

Lo stesso vale per i crediti non liquidi, per gli eventi incidenti sulla reputazione della persona, sui danni non quantificati che una persona o un ambiente subisce: anche in tal caso, un’opzione nella direzione della contabilizzazione o no, ovvero nella direzione di una modalità contabile in luogo di un’altra può avere incidenze estremamente rilevanti, fino al punto di modificare il corso della storia: ad esempio, se i grandi continenti avessero contabilizzato nei propri stati patrimoniali le proprie ricchezze naturali, la distinzione tra paesi ricchi e paesi poveri, così come la conosciamo, avrebbe determinato esiti del tutto diversi, anzi, molto probabilmente opposti: si pensi ai paesi ricchi di fauna, ad esempio, per il caso in cui la fauna avesse rinvenuto, nella storia, riflessi di contabilità riconoscibile, e ancor più se particolarmente significativa.

Chiarito dunque questo, ossia la rilevanza assoluta della scienza della contabilità, tuttora scienza bambina –si provino a contabilizzare le ricchezze naturali degli Stati Uniti, per intuire come il carattere ultra-competitivo di quella nazione non sarebbe stato forse tale, in quanto dovuto a una parvenza di scarsità in realtà insussistente in quei luoghi-, emerge immediatamente la rilevanza della scienza stessa persino con riferimento alle questioni della pace.

Come funziona, infatti, in concreto il meccanismo bellico?

Nessuno crede davvero che uno Stato, il quale sia intenzionato ad aggredirne un altro, si disponga davvero –e infatti non avviene più da molto tempo- a “dichiarare la guerra” al potenziale contendente: è chiaro, infatti, che l’aggressore, nella storia, ha di fatto indotto l’aggredito a dichiarare esso la guerra -basti pensare alla diversamente assurda dichiarazione di guerra di Mussolini agli Stati Uniti d'America-, in modo da affidare a lui il compito di rendere pubblico lo stato di guerra in atto; ma non si tratta solo di ipocrisia: sono evidenti infatti i riflessi contabili di una simile spregiudicata opzione, vale a dire che l’aggredito recita la parte dell’aggressore, con la conseguenza che, in caso, molto probabile, data la disparità delle forze in campo e il fattore sorpresa, di soccombenza dell’aggredito-dichiarante, l’aggredito diverrà poi debitore per danni di guerra nei confronti dell’aggressore: ecco dunque come una carenza contabile favorisca la spregiudicatezza politica e bellica, incentivando le aggressioni, dato che l’aggressore-vincitore si pone in grado di autocostituirsi in creditore dell’aggredito.

Ma anche a prescindere da questo pur rilevantissimo elemento, è evidente che non ha alcun senso logico che lo sconfitto di un conflitto bellico, ossia colui il quale ne abbia subito i più gravi danni, sia poi anche costituito (unilateralmente) in debitore del vincitore, ossia di colui il quale ha riportato i danni minori e, semmai, ne ha procurati, verosimilmente, tanti di più all’altro.

In definitiva, ove si ribaltasse tale bizzarria contabile, che consente poi al vincitore di autoproporsi come magnanimo ricostruttore, mediante appalti di opere pubbliche internazionali molto di comodo, nonché di ancor più benevolente pianificatore di propulsioni ricostruttive economiche –un esempio per tutti, il Piano Marshall- il ricorso al conflitto bellico sarebbe stato, e sarebbe, puramente e semplicemente disincentivato, proprio dalla vigenza di norme di contabilità razionali e non del tutto assurde.

In altri termini, così come se si fosse “contabilizzata” la società industriale, la storia di questa sarebbe stata completamente diversa, basti pensare alle questioni ambientali e del lavoro, se si contabilizzassero davvero, in modo corretto, “guerra e pace”, avremmo e avremmo avuto molta meno guerra e, appunto, molta più pace.


C’è ancora tempo per rimediare in vista del presente e del futuro, prossimo e remoto.

1 commento:

  1. Un capolavoro assoluto e definitivo, davvero complimenti grandissimo Fabio, nessuno ha pensato nella storia cose del genere, siamo davvero sorpresi innanzi a cotanto genio, grazie ancora, Fabio.

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