di Fabio Massimo Nicosia
Più
si approfondiscono le questioni, meglio emerge la rilevanza della vicenda contabile nell’approccio ai problemi; la
scienza della contabilità va considerata una branca della scienza giuridica,
dato che propone regole, volte all’individuazione e all’espressione del valore
dei beni, indipendentemente dal loro affidamento diretto e immediato agli
scambi di mercato.
Vale
a dire che, se il mercato consente, attraverso il sistema dei prezzi, di
attribuire un “valore” socialmente riconoscibile ai beni e ai servizi, che nel
mercato stesso vengono forniti e prestati, vi sono una grande quantità di beni
e servizi, materiali e immateriali, virtuali o concreti, che sono
momentaneamente, o anche di fatto definitivamente, sottratti alla destinazione
di mercato, dato che chi ne è titolare non ha alcuna intenzione, al momento, o
forse nemmeno mai, di sottoporli al giudizio di ipotetici interlocutori o
scambisti quanto all’attribuzione di un valore –prezzo- in vista di uno scambio
che non avverrà mai, o, se si verificherà, troverà realizzazione in tempi molto
lontani, dei quali è imprevedibile l’individuazione temporale.
Tutto
ciò, evidentemente, non comporta affatto che quei beni o servizi siano privi di
alcun valore sociale riconoscibile, dato che sarebbe assurdo subordinare la
capacità di esprimere valori e qualità al fatto che un bene o servizio sia
effettivamente sottoposto al giudizio dell’opinione altrui o diffusa, quando questi
presentano la capacità di esprimere un
proprio peso e impatto sociale in sé,
diciamo pure “oggettivamente”, per natura stessa della cosa, per la sua
indivisibiltà quanto a effetti e conseguenze.
Il
fatto quindi di non essere destinati, al momento o per sempre, allo scambio,
non fa venire meno il carattere di ricchezze,
non solo potenziali, ma in atto, di quei beni, ogni qualvolta comportino appagamento psichico a vantaggio del fruitore -si pensi al capitale naturale-, o delle capacità di fornire servizi;
e allora emerge l’autonomia, rispetto alle vicende dello scambio economico,
della scienza normativa della contabilità, dato che si tratta di conferire il
giusto peso economico-sociale a quelle potenzialità o attività che gli
individui sono in grado di esprimere, anche se, momentaneamente, non sentono l’esigenza
di esprimerle, senza che ciò ne comporti il depauperamento: da qui, ad esempio,
le nozioni di capitale umano, di avviamento e di know how, che non sono solo mere potenzialità inespresse, ma
trovano manifestazione immediata nella qualità della vita delle persone, che ne
sono titolari, e alle quali compete di amministrarne la gestione e la non
gestione.
Ne
deriva quindi che, l’opzione di attribuire un determinato valore contabile a
questi asset apparentemente
inespressi, o apparentemente passivi –vale anche per beni materialissimi come
gli immobili non destinati allo stato allo scambio, e quindi per il demanio non
destinato alla sdemanializzazione-, invece di un altro, può cambiare
radicalmente le sorti di un individuo, di un’impresa, di una società intera, e
quindi della stessa storia dell’umanità.
Lo
stesso vale per i crediti non liquidi, per gli eventi incidenti sulla
reputazione della persona, sui danni non quantificati che una persona o un
ambiente subisce: anche in tal caso, un’opzione nella direzione della contabilizzazione
o no, ovvero nella direzione di una modalità contabile in luogo di un’altra può
avere incidenze estremamente rilevanti, fino
al punto di modificare il corso della storia: ad esempio, se i grandi
continenti avessero contabilizzato nei propri stati patrimoniali le proprie
ricchezze naturali, la distinzione tra paesi ricchi e paesi poveri, così come
la conosciamo, avrebbe determinato esiti del tutto diversi, anzi, molto
probabilmente opposti: si pensi ai paesi ricchi di fauna, ad esempio, per il
caso in cui la fauna avesse rinvenuto, nella storia, riflessi di contabilità
riconoscibile, e ancor più se particolarmente significativa.
Chiarito
dunque questo, ossia la rilevanza assoluta della scienza della contabilità,
tuttora scienza bambina –si provino a contabilizzare le ricchezze naturali
degli Stati Uniti, per intuire come il carattere ultra-competitivo di quella
nazione non sarebbe stato forse tale, in quanto dovuto a una parvenza di
scarsità in realtà insussistente in quei luoghi-, emerge immediatamente la
rilevanza della scienza stessa persino
con riferimento alle questioni della pace.
Come
funziona, infatti, in concreto il meccanismo bellico?
Nessuno
crede davvero che uno Stato, il quale sia intenzionato ad aggredirne un altro,
si disponga davvero –e infatti non avviene più da molto tempo- a “dichiarare la
guerra” al potenziale contendente: è chiaro, infatti, che l’aggressore, nella
storia, ha di fatto indotto l’aggredito a dichiarare esso la guerra -basti pensare alla diversamente assurda dichiarazione di guerra di Mussolini agli Stati Uniti d'America-, in modo da
affidare a lui il compito di rendere pubblico lo stato di guerra in atto; ma
non si tratta solo di ipocrisia: sono evidenti infatti i riflessi contabili di una simile spregiudicata opzione, vale a
dire che l’aggredito recita la parte dell’aggressore,
con la conseguenza che, in caso, molto probabile, data la disparità delle forze
in campo e il fattore sorpresa, di soccombenza dell’aggredito-dichiarante, l’aggredito diverrà poi debitore per danni
di guerra nei confronti dell’aggressore: ecco dunque come una carenza
contabile favorisca la spregiudicatezza politica e bellica, incentivando le aggressioni, dato che l’aggressore-vincitore
si pone in grado di autocostituirsi in
creditore dell’aggredito.
Ma
anche a prescindere da questo pur rilevantissimo elemento, è evidente che non
ha alcun senso logico che lo sconfitto
di un conflitto bellico, ossia colui il quale ne abbia subito i più gravi
danni, sia poi anche costituito
(unilateralmente) in debitore del vincitore, ossia di colui il quale ha
riportato i danni minori e, semmai, ne ha procurati, verosimilmente, tanti di
più all’altro.
In
definitiva, ove si ribaltasse tale bizzarria contabile, che consente poi al
vincitore di autoproporsi come magnanimo ricostruttore, mediante appalti di
opere pubbliche internazionali molto di comodo, nonché di ancor più benevolente
pianificatore di propulsioni ricostruttive economiche –un esempio per tutti, il
Piano Marshall- il ricorso al conflitto
bellico sarebbe stato, e sarebbe, puramente
e semplicemente disincentivato, proprio dalla vigenza di norme di
contabilità razionali e non del tutto assurde.
In
altri termini, così come se si fosse “contabilizzata” la società industriale,
la storia di questa sarebbe stata completamente diversa, basti pensare alle
questioni ambientali e del lavoro, se si contabilizzassero davvero, in modo
corretto, “guerra e pace”, avremmo e avremmo avuto molta meno guerra e,
appunto, molta più pace.
C’è
ancora tempo per rimediare in vista del presente e del futuro, prossimo e
remoto.
Un capolavoro assoluto e definitivo, davvero complimenti grandissimo Fabio, nessuno ha pensato nella storia cose del genere, siamo davvero sorpresi innanzi a cotanto genio, grazie ancora, Fabio.
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