di Fabio Massimo Nicosia
Nell’attuale contesto europeo, le più importanti scelte, relative alla realizzazione di infrastrutture pubbliche, sono affidate alle scelte finanziarie discrezionali degli organi di governo europeo e della Banca centrale europea.
Senonché tali scelte discrezionali
sconfinano nell’arbitrio, dato che non si applicano a esse i consueti principi,
volti alla limitazione del potere discrezionale, che quindi negano in radice l’idea
stessa dell’arbitrio, del diritto amministrativo, ossia della scelta adeguata e
opportuna nel rispetto dei principi di eguaglianza e di parità di trattamento,
oltre che di partecipazione dei cittadini.
Manca totalmente, in altri termini, un
sistema di garanzie, che guidi le scelte finanziarie supreme, agevolando quel “keynesismo”
deteriore, fatto di scelte di intervento pubblico, di opere e correlati
finanziamenti, totalmente affidate all’arbitrio del decisore, non certo, di
solito, a vantaggio del cittadino, ma più spesso in suo danno, tanto
finanziario, quanto ambientale, quanto anche estetico.
Ciò comporta che le scelte relative agli
interventi infrastrutturali più importanti non avvengono sulla base dei
principi di opportunità e qualità della scelta, ma di criteri politici nel
senso peggiore del termine, vale a dire di puro e semplice potere; sicché gli
organi finanziari stabiliscono ad libitum
quali interventi realizzare e quanto
spendere, senza tenere in alcun conto le reali esigenze delle popolazioni.
Sarebbe necessario, al contrario, un,
diciamo così, diritto amministrativo-costituzionale finanziario europeo, che
fosse in grado di assicurare che, con la partecipazione diretta dei cittadini,
messi in condizione di interloquire anche sul piano finanziario mediante l’assegnazione
di dotazioni individuali adeguate, le realizzazioni infrastrutturali realizzate
fossero davvero quelle indispensabili e non quelle superflue, se non addirittura
dannose; si pensi ad esempio alla Tav Torino-Lione, la cui finalità dev’essere
davvero inconfessabile, data la disinvoltura con la quale si intende devastare,
sia pure, pare, con qualche resipiscenza, la Val di Susa.
L’impressione, ad esempio, è che le attuali politiche comunitarie siano volte a rallentare lo sviluppo, non solo del mezzogiorno italiano, ma dell’Italia intera, sol che si considerino le grandi infrastrutture utili, che vengono realizzate altrove, mentre da noi non vengono realizzate affatto.
Di ciò non si può attribuire, in questo
caso, responsabilità alla nostra classe di governo, se non nel senso di una sua
eccessiva debolezza nel far valere i nostri interessi in sede europea, dato che
la leva finanziaria è ormai trasferita nella sede stessa, tanto più alla luce
de delirante fiscal compact –che però
potrebbe volgere in positivo, alla luce di quanto si dirà, tanto più che l'infrastruttura, una volta realizzata, rappresenta demanio artificiale di elevatissimo valore contabile- e la contestuale impossibilità
di vessare ulteriormente di imposte i cittadini: imposte delle quali –non ci
stancheremo di ripetere- non v’è oggi più alcun bisogno in regime di virtualità
monetaria, se non quale pretesto di controllo sociale diffuso in danno dei
piccoli operatori.
Orbene, proprio tale situazione di
virtualità finanziaria suggerisce che i grandi interventi infrastrutturali –ad esempio,
perché non iniziare a prendere in considerazione un’ipotesi di realizzazione
del Ponte sullo Stretto di Messina, che non vada in danno della finanza interna
e del contribuente?- debbano essere soggette a scelte discrezionali
trasparenti, che illustrino le ragioni delle scelte, e siano effettuate sulla
base di una chiara discussione e istruttoria pubblica, come del resto era
previsto nel testo originario del disegno di legge, che portò poi all’approvazione
della legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
In questi termini, suggerire di assegnare le
risorse finanziarie in direzioni chiare, trasparenti e, soprattutto utili, quando non addirittura necessarie, consente di configurare una
sorta di “post-keynesismo” garantista e costituzionale, che non cada nel
cosiddetto keynesismo volgare, che consenta di immaginare le assegnazioni
finanziarie, ripetesi, in regime di moneta fisiologicamente infinita data la
virtualità, quali limiti posti alla
discrezionalità monetaria e finanziaria, ribaltando l’approccio abituale, che
vede i finanziamenti come sprechi rispetto a un presunto “ottimo” di
contenimento; laddove, al contrario, l’assegnazione esplicita e trasparente di
risorse per gli interventi davvero utili e necessari (merit goods, per dirla con Musgrave), implica che l’impiego di
risorse non sia dilatato, sibbene circoscritto, dal procedimento di assegnazione.
Ed ecco allora che emerge da subito l’esigenza
di una franca discussione collettiva, che viene così resa possibile, oltre che
auspicabile, su quali siano oggi gli interventi infrastrutturali dei quali il
nostro Paese sente oggi l’esigenza, rinnovando demanio ferroviario, portuale e
così via, persino nel rigoroso rispetto
del vincolo di pareggio di bilancio, dato che la spesa graverebbe sugli
organi finanziari europei, e, soprattutto, senza
aumentare di un euro –anzi, consentendone la riduzione- l’imposizione fiscale.
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