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venerdì 22 luglio 2016

La realizzazione pubblica delle grandi infrastrutture in regime di virtualità monetaria

di Fabio Massimo Nicosia

Nell’attuale contesto europeo, le più importanti scelte, relative alla realizzazione di infrastrutture pubbliche, sono affidate alle scelte finanziarie discrezionali degli organi di governo europeo e della Banca centrale europea.


Senonché tali scelte discrezionali sconfinano nell’arbitrio, dato che non si applicano a esse i consueti principi, volti alla limitazione del potere discrezionale, che quindi negano in radice l’idea stessa dell’arbitrio, del diritto amministrativo, ossia della scelta adeguata e opportuna nel rispetto dei principi di eguaglianza e di parità di trattamento, oltre che di partecipazione dei cittadini.

Manca totalmente, in altri termini, un sistema di garanzie, che guidi le scelte finanziarie supreme, agevolando quel “keynesismo” deteriore, fatto di scelte di intervento pubblico, di opere e correlati finanziamenti, totalmente affidate all’arbitrio del decisore, non certo, di solito, a vantaggio del cittadino, ma più spesso in suo danno, tanto finanziario, quanto ambientale, quanto anche estetico.

Ciò comporta che le scelte relative agli interventi infrastrutturali più importanti non avvengono sulla base dei principi di opportunità e qualità della scelta, ma di criteri politici nel senso peggiore del termine, vale a dire di puro e semplice potere; sicché gli organi finanziari stabiliscono ad libitum quali interventi realizzare e quanto spendere, senza tenere in alcun conto le reali esigenze delle popolazioni.

Sarebbe necessario, al contrario, un, diciamo così, diritto amministrativo-costituzionale finanziario europeo, che fosse in grado di assicurare che, con la partecipazione diretta dei cittadini, messi in condizione di interloquire anche sul piano finanziario mediante l’assegnazione di dotazioni individuali adeguate, le realizzazioni infrastrutturali realizzate fossero davvero quelle indispensabili e non quelle superflue, se non addirittura dannose; si pensi ad esempio alla Tav Torino-Lione, la cui finalità dev’essere davvero inconfessabile, data la disinvoltura con la quale si intende devastare, sia pure, pare, con qualche resipiscenza, la Val di Susa.

L’impressione, ad esempio, è che le attuali politiche comunitarie siano volte a rallentare lo sviluppo, non solo del mezzogiorno italiano, ma dell’Italia intera, sol che si considerino le grandi infrastrutture utili, che vengono realizzate altrove, mentre da noi non vengono realizzate affatto.

Di ciò non si può attribuire, in questo caso, responsabilità alla nostra classe di governo, se non nel senso di una sua eccessiva debolezza nel far valere i nostri interessi in sede europea, dato che la leva finanziaria è ormai trasferita nella sede stessa, tanto più alla luce de delirante fiscal compact –che però potrebbe volgere in positivo, alla luce di quanto si dirà, tanto più che l'infrastruttura, una volta realizzata, rappresenta demanio artificiale di elevatissimo valore contabile- e la contestuale impossibilità di vessare ulteriormente di imposte i cittadini: imposte delle quali –non ci stancheremo di ripetere- non v’è oggi più alcun bisogno in regime di virtualità monetaria, se non quale pretesto di controllo sociale diffuso in danno dei piccoli operatori.

Orbene, proprio tale situazione di virtualità finanziaria suggerisce che i grandi interventi infrastrutturali –ad esempio, perché non iniziare a prendere in considerazione un’ipotesi di realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, che non vada in danno della finanza interna e del contribuente?- debbano essere soggette a scelte discrezionali trasparenti, che illustrino le ragioni delle scelte, e siano effettuate sulla base di una chiara discussione e istruttoria pubblica, come del resto era previsto nel testo originario del disegno di legge, che portò poi all’approvazione della legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.

In questi termini, suggerire di assegnare le risorse finanziarie in direzioni chiare, trasparenti e, soprattutto utili, quando non addirittura necessarie, consente di configurare una sorta di “post-keynesismo” garantista e costituzionale, che non cada nel cosiddetto keynesismo volgare, che consenta di immaginare le assegnazioni finanziarie, ripetesi, in regime di moneta fisiologicamente infinita data la virtualità, quali limiti posti alla discrezionalità monetaria e finanziaria, ribaltando l’approccio abituale, che vede i finanziamenti come sprechi rispetto a un presunto “ottimo” di contenimento; laddove, al contrario, l’assegnazione esplicita e trasparente di risorse per gli interventi davvero utili e necessari (merit goods, per dirla con Musgrave), implica che l’impiego di risorse non sia dilatato, sibbene circoscritto, dal procedimento di assegnazione.

Ed ecco allora che emerge da subito l’esigenza di una franca discussione collettiva, che viene così resa possibile, oltre che auspicabile, su quali siano oggi gli interventi infrastrutturali dei quali il nostro Paese sente oggi l’esigenza, rinnovando demanio ferroviario, portuale e così via, persino nel rigoroso rispetto del vincolo di pareggio di bilancio, dato che la spesa graverebbe sugli organi finanziari europei, e, soprattutto, senza aumentare di un euro –anzi, consentendone la riduzione- l’imposizione fiscale.

Si tratta, come si vede, di un paradigma nuovo, che merita ulteriori approfondimento, ma che già segna un punto chiaro a proprio vantaggio.

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