di Fabio Massimo Nicosia
La vicenda del
referendum “trivelle” ha introdotto un paradigma nuovo nella discussione; dopo
una fase in cui il concetto di “beni comuni” aveva goduto di una sua popolarità,
la reazione non si è fatta attendere, e i neo-anarcocapitalisti di comodo hanno
subito fornito la teorizzazione necessaria alla bisogna: il mare, il demanio,
la natura, non è res communis, ma res nullius, e quindi è “giusto” che
qualcuno se ne appropri senza pagare dazio.
Il problema, però, è che
non ci troviamo nello stato di natura di Locke o di Hobbes, né nella posizione originaria
di Rawls, ma in presenza di uno Stato dotato di potere coercitivo
monopolistico; e allora che cosa deve mai fare, secondo i neo-anarcocapitalisti
di comodo, al servigio del potente di turno, questo Stato dotato di potere
coercitivo monopolistico? Garantire che quel demanio, di cui anche formalmente
è titolare il popolo sovrano, sia trattato da res nullius e trasferito, così come si trova, al potente di turno,
che non a caso paga loro il salario.
E allora, a questo punto,
vien davvero da chiedersi, ai nostri tempi, che cosa mai rappresenti e a che
cosa serva mai uno “Stato”, soprattutto nell’attuale contesto del predominio
dei mercati finanziari, dato che, nel momento in cui lo Stato:
a)
Non emette moneta, essendo privo di
sovranità monetaria;
b)
Non è posto in condizione di produrre
assolutamente nulla, dato che le imprese pubbliche gli sono state sottratte con
le dismissioni di rapina, delle quali si chiede indefessi la prosecuzione;
c)
Si chiede lo smantellamento dello stato
sociale e la privatizzazione dei relativi servizi;
d)
Non gli viene consentito di mettere a
rendita il suo immane patrimonio materiale e immateriale (demanio in senso
lato);
in
quel momento, lo Stato, se ha senso che esista e faccia qualcosa, può agire
soltanto indebitandosi come un debitore dallo strozzino; che non sono però i singoli
cittadini che acquistano titoli di Stato, come si vuol far credere, ma i grandi
operatori finanziari e il sistema bancario; il che significa però anche che lo
Stato viene trattato come un imprenditore qualsiasi del mercato, il quale però,
a differenza dell’imprenditore qualsiasi del mercato, dato che come lui non
emette moneta, non può però nemmeno farsi imprenditore produttivo di nulla e
non può mettere a rendita il suo patrimonio, che nel caso dello Stato è immane,
benché contabilmente occultato.
E’
agevole, dunque, a questo punto, per i neo-anarcocapitalisti di comodo, ad esempio
quelli di camarille del tipo degli usurpatori del nome di Bruno Leoni, dire che
lo Stato, non servendo assolutamente a nulla, e anzi, essendo solo perniciosa fonte
di debito e di tassazione, deve essere smantellato, nella direzione del sol dell’avvenire dell’anarco-capitalismo
di comodo, la cui prossima tappa, dopo le dismissioni dell’impresa pubblica,
che hanno posto fine all’antica avventura dello Stato-imprenditore, vede i
grandi potentati pronti a sottrarre il demanio alla comunità, che ne è, anche
formalmente, titolare (art. 1, Cost.).
E’
appena il caso di ricordare che, per Jean Bodin, la differenza tra un sovrano
legittimo e il tiranno consisteva esattamente, tra le altre cose, nel fatto che
il tiranno si sente autorizzato ad alienare il demanio inalienabile, cosa non
consentita a un sovrano legittimo; e infatti, sempre più spesso si sente
parlare di sdemanializzazioni, per far fronte al debito usurario che tende a ridurre
lo Stato a uno scheletro, dedito solo ai compiti di polizia, che saranno sempre
più necessari, se crescerà il depauperamento della popolazione in conseguenza
dei fenomeni sopra ricordati.
Anche
su questi ultimi, però, come è noto, gli anarco-capitalisti hanno la risposta
pronta, e cioè che le funzioni di polizia possono essere svolte dai privati;
salvo, però, che i neo-anarcocapitalisti di comodo hanno sfornato una nuova
teorizzazione di comodo: e cioè che le polizie private si possono fondere in
monopolio, o anche solo costituirsi in cartello, con il bel guadagno che, in
luogo del pur claudicante diritto costituzionale nostro, avremmo, come del
resto aveva ben compreso un anarco-capitalista storico serio, Roy Childs, la
tirannia privata delle polizie private in mano ai potentati privati; e tanto
più ciò sarà, una volta che questi si saranno impadroniti della res communis, trattata a loro vantaggio da res
nullius, dallo Stato di comodo
teorizzato dai neo-anarcocapitalisti di comodo, i quali, va ripetuto, hanno già
messo a disposizione di quei potentati la “formola politica”, per dirla con
Gaetano Mosca, del cartello monopolistico “legittimo” delle agenzie di
protezione private, che, in questo caso, si cartellizzerebbero prima ancora di
avere cominciato a operare in concorrenza, dato che, val a pena di ricordare
ancora, non viviamo nello stato di natura.
In
definitiva, di fronte a un’offensiva così furbescamente articolata sul piano della
costruzione dottrinaria, per quanto becera e facilmente smascherabile da chi
mastica un po’ di queste cose, occorre opporre invece una strategia
alternativa, che, in questo momento storico, passa esattamente per una dura
opposizione a ogni ipotesi di sdemanializzazione, e a una pronta valorizzazione
dello stesso demanio a vantaggio di tutti i cittadini; e ciò proprio perché non ci
troviamo nello stato di natura, come vogliono far credere i descritti sprangatori
del pensiero, ma in una situazione ampiamente pregiudicata in termini di
libertà e di eguaglianza, che richiede una ripartenza attraverso la
ripartizione della ricchezza comune, che potrebbe farsi derivare proprio dalla
valorizzazione di quello sterminato patrimonio pubblico; e allora, e solo
allora, a quel punto, si potrà riparlare di “libero mercato”; prima di che,
invece, si tratta solo di mistificazione e di malafede, da parte dei
neo-anarcocapitalisti di comodo, ora come sempre al servizio sine cura del potente di turno.
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