di Fabio Massimo Nicosia
L’amico
Gian Piero de Bellis, in questi giorni ha fornito importanti elementi di
riflessione, sulla base della sua attenta ricerca, fuori dai luoghi comuni, su
Karl Marx e Adam Smith, evidenziando tanto come il primo fosse animato da
intenti profondamente critici nei confronti dell’istituzione Stato, quanto come
il secondo non avesse alcun timore riverenziale, allorché metteva in evidenza quanto
il celebrato capitalismo sia stato in gran parte del suo sviluppo
sostanzialmente parassitario nei confronti dello Stato stesso, rivelandosi un
mercantilismo protezionistico e imperialista, piuttosto che il baluardo acritico del
libero mercato, che si è sempre cercato di far credere da parte degli apologeti
acritici che ne hanno usurpato il nome (penso ad esempio all’Adam Smith Society
dell’avv. Alessandro de Nicola).
Vediamo
quindi in realtà in Smith e Marx un’inattesa convergenza, nel mettere in luce
le connivenze tra grande (finto) capitale e Stato, sicché l’uno e l’altro si
alimentano reciprocamente, perché senza Stato (senza i suoi appalti e
concessioni, senza le sue commesse belliche, senza i suoi brevetti, senza i
suoi copyright, senza i suoi sussidi
all’energia, senza il suo controllo monopolistico della politica monetaria e
creditizia) quel “grande padronato” delle multinazionali non avrebbe nemmeno da
mettere insieme il pranzo con la cena, così come la politichetta impiegata
pubblica non saprebbe da chi conseguire salario, se non alimentasse con la propria
legislazione di comodo il pescecane finanziario di cui sopra.
Naturalmente
i fessi chiedono che si “combatta l’evasione fiscale” per combattere il “capitalismo”,
come se per il capitalismo (fasullo) la moneta di Stato non fosse infinita, e
come se la “lotta all’evasione” non fosse solo un pretesto di controllo sociale
sui disgraziati, visto che, in regime di indebitamento ed emissione monetaria
virtuale, lo Stato di oggi non ha bisogno alcuno di tassazione dal punto di
vista del nutrimento del proprio apparato inefficiente e inutile per la
popolazione, ma molto utile per mantenere in vita l’accolita di parassiti del
modernariato sopra illustrato.
E
tuttavia, non da oggi quel modernariato si è fatto moderno, e ha ben scoperto
che la forma più efficace per la propria organizzazione è quella “privatistica”.
Naturalmente si tratta di una truffa, perché non basta certo appiccicare l’etichetta
“S.p.A.” a un ente pubblico per creare mercato, dato che sempre di monopoli
coattivi si tratta, solo che, chissà perché, sono di “diritto privato”. Spiego
subito il perché: perché il soggetto di diritto privato si sottrae al controllo
democratico, perché il privato e privato e con quella bocca può dire ciò che
vuole. Peccato però che questo “privato” si sottrae anche alla concorrenza,
visto che è protetto monopolisticamente in ogni modo.
Ecco
quindi qual è il colpo gobbo: “privatizzare lo Stato”, e divenire pienamente idiocrazia. Ma nessuno è tenuto a intrattenere
rapporti con un privato, sicché un domani che lo Stato effettivamente si
privatizzasse per intero, potremmo scrivere un titolo di “Lercio”: “Lo Stato si privatizza per essere
efficiente, ma i cittadini disdicono il contratto e si estingue”. Purtroppo,
per ora si tratta di un bel sogno della dialettica: il tanto celebrato (dai
finto liberisti) Tttip va nella direzione esattamente opposta. Privatizza ben
sì lo Stato in ogni modo, ma, guarda caso, ora che il cyberspazio potrebbe diventare realtà, accentua la tutela della
proprietà intellettuale, e quindi il controllo sulla rete.
Questa
è la vera sfida lanciata dal Ttip, mentre naturalmente i soliti “anti-capitalisti”
della domenica prendono lucciole per lanterne, e si preoccupano del parmigiano
reggiano e della mozzarella di bufala. Ma chi se ne frega del parmigiano
reggiano e della mozzarella di bufala! Come diceva Franco Battiato ai tempi
belli, “Macchè Areknames, i problemi sono
altri”.
Fantastico. Applausi.
RispondiEliminaRispetto.
A!