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mercoledì 2 dicembre 2015

La realizzazione di mercato delle opere pubbliche

di Fabio Massimo Nicosia

Una delle giustificazioni dello Stato contemporaneo è che lo

stesso sarebbe indispensabile per la realizzazione dei beni 

pubblici, dato il presunto fallimento del mercato in questo 

campo: the public good argument for the State.
Il concetto di bene pubblico è così dilatato, ormai, che tutto 

diviene argomento di legittimazione dello Stato e del

suo inarrestabile intervento. Per Nozick, ad esempio, 

che pure è fautore di uno Stato “minimo”, sarebbero beni 

pubblici indivisibili la giustizia e la protezione dei diritti di 

proprietà, ma l’argomento era già stato pre-confutato da 

Murray Rothbard in “Man, Economy and State” ove si 

dimostrava il carattere divisibile del servizio di difesa e 

protezione: e ancor prima, fin dalla metà del XIX secolo, da 

Gustave de Molinari.  

Anche tra gli anarchici classici ci sono state divisioni sul 

punto. Errico Malatesta e Merlino, ad esempio, discussero su 

come fosse possibile, in anarchia, realizzare una strada, bene 

indivisibile e di “monopolio naturale” riuscendo a rimanere 

in assenza di istituzioni coercitive. Secondo Merlino ci si 

sarebbe dovuti attenere al principio maggioritario e le 

minoranze avrebbero dovuto essere costrette in qualche 

modo ad accettare le decisioni della maggioranza, pena il 

caos. Secondo Malatesta, invece, è pur vero che le 

maggioranze avrebbero avuto la meglio, ma a ciò si sarebbe 

dovuto addivenire con la persuasione e con il consenso, con 

l’abitudine spontanea ad accettare, in società, le statuizioni 

dei più.

A noi pare che entrambe tali posizioni sottovalutino il ruolo 

della possibile iniziativa imprenditoriale. Immaginiamo 

infatti che un soggetto eserciti la propria alertness (Kirzner) 

individui una domanda latente di beni collettivi (Olson). 

Egli potrebbe predisporre un progetto e farsi elicitatore, 

superando il dilemma del prigioniero, di una gara d’asta tra 

favorevoli e contrari a una data opera pubblica. Si 

tratterebbe di una sorta di project financing democratico e di 

mercato: immaginiamo infatti che qualcuno si faccia 

promotore tra i favorevoli di una raccolta di fondi per 

finanziare l’opera, mentre altri si faccia promotore tra i 

contrari di altrettanto, per compensare l’imprenditore, 

inducendolo a non realizzare l’opera.

Se i contributi dei favorevoli saranno superiori, e sufficienti a 

garantirgli un margine di utile, l’imprenditore restituirà ai 

contrari i proventi della loro colletta e realizzare l’intervento. 

Se saranno superiori i contributi dei contrari, verranno 

restituiti i fondi a entrambi, tranne il surplus differenziale 

quale compenso dell’iniziativa, e l’opera non verrà realizzata.

Si dirà: perché ricorrere al voto monetario e non a quello 

ordinariamente referendario? Perché il voto monetario 

misura non solo la scala ordinale delle preferenze, ma anche 

quella cardinale, misura, come ricorda l’economista coreano 

Ng, anche l’intensità delle preferenze.

Ognuno potrà perciò contribuire non solo in funzione di una 

generica predisposizione favorevole o contraria all’opera, ma 

anche dell’effettivo coinvolgimento personale sulla sua 

realizzazione o non realizzazione.
In tal modo, il mercato si fa compiutamente democratico, 

oltre a consentire un’effettiva valutazione costi/benefici 

dell’intervento. Si dirà ancora che in tal modo i ricchi 

saranno avvantaggiati rispetto ai poveri, dato che potranno 

contribuire di più nella direzione da loro auspicata. Ma, a 

parte che, come rileva David Friedman, nei quartieri 

popolari ci sono più grosse macchine che buone scuole, non 

bisogna pensare che i ricchi (a parte ogni nostra 

considerazione sulla rendita di esistenza) saranno tutti da 

una parte e i poveri tutti dall’altra. Ci saranno ricchi contrari 

e ricchi favorevoli, poveri contrari e poveri favorevoli.

D’altra parte, non si tratterà solo di pagare direttamente di 

tasca propria, ma anche di far valere la propria capacità 

imprenditoriale nell’acquisire finanziamenti in una direzione 

o nell’altra.

Un ulteriore vantaggio è che, mentre nel voto referendario, 

sarebbero verosimilmente coinvolte solo le popolazioni 

direttamente interessate, soggette alla sindrome “non nel 

mio giardino”, con il voto finanziario potrebbero partecipare 

alla decisione tutti coloro i quali si auto-selezionassero come 

in qualche modo interessati o che si sentissero coinvolti 

nell’iniziativa, in senso vuoi favorevole, vuoi contrario.
Quale sarà, del resto, la concreta conseguenza di un simile 

modo di procedere? Come si è detto, l’opera sarà 

assoggettata a una verifica costi/benefici quale nessun’opera 

pubblica richiede oggi all’intervento coattivo dello Stato, che 

realizza interventi improntati a ragion politica e non a 

efficienza, tanto più occultando i costi nella fiscalità 

generale, e quindi dando molte volte la falsa impressione 

della gratuità per opere spesso inutili (si veda la Bre.Be.Mi.) altamente costose.
Ne deriva che, in un siffatto meccanismo di mercato 

democratico, è impensabile che si realizzino, ad esempio, 

centrali nucleari (l’imprenditore dovrebbe farsi carico di 

costi di assicurazione incommensurabili, internalizzare per 

intero i costi di smaltimento delle scorie, etc., tutti costi che 

oggi vengono minimamente considerati nel computo del 

costo sociale dell’iniziativa); come la T.A.V. Torino-Lione, 

palesemente fuori tempo in un quadro internazionale di 

comunicazioni aeree, per la quale dovrebbero considerarsi i 

costi immani della perforazione delle montagne, oggi 

gravanti sul contribuente ignaro, dello smaltimento 

dell’amianto rinvenuto, etc.

Si consideri, inoltre, che essendo affidata l'opera al 

finanziamento volontario, ciò non solo non esclude, ma al 

contrario favorisce campagne di opinione pro o contro 

l'opera stessa, sicché sono immaginabili mobilitazioni 

politiche "non monetarie", volte a persuadere le persone e gli 

operatori a non finanziare l'opera; sicché il dibattito, lungi 

dall'essere compresso, risulterebbe esaltato.

La nostra proposta, in ogni caso, ci pare meno macchinosa di 


quella avanzata da David Friedman, per la quale 

l’imprenditore, per realizzare opere pubbliche nel mercato e 

superare l’eventuale frustrazione da free-riding, dovrebbe 

acquistare tutte le terre interessate e poi rivenderle a prezzo 

maggiorato, dati i superiori costi di transazione insiti in 

quest’ultimo tipo di proposta.





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