di Fabio Massimo Nicosia
Come è noto, viene discussa, e non di rado è motivo di
ironia anche tra i radicali, la supposta conversione cattolica di Pannella, o
quantomeno la sua cotta per Papa Francesco.
Ora, bisogna partire dalla premessa che Pannella è un uomo
politico che vive di politica, quindi i suoi atti andrebbero sempre letti in
chiave politica. Però, per un personaggio che ha sempre fatto suo e praticato
il motto “il personale è politico”, possiamo fare eccezione, e prendere sul
serio quanto Pannella va dicendo in materia di Chiesa e religione.
Premesso che non sappiamo nulla di teologia, benché qualcosa
abbiamo letto, da parte nostra ci onoriamo anche di praticare un culto
individuale, formalmente istituito e reso pubblico anche attraverso questo sito:
tra l’altro, essendo noi battezzati e non intenzionati a disdire attraverso
sbattezzo, siamo scismatici e attendiamo serenamente la relativa conseguente
scomunica.
Sicché ci permettiamo di parlare da pari a pari, da credente
a credente, o quantomeno, come dice Pannella di sé, credente in altro che nel
potere.
Ora, Pannella è attualmente in preda a una piccola
ossessione per il monoteismo, dato che sostiene continuamente che con esso si
sarebbe affermata la legge eguale per tutti e quindi la pari dignità degli
uomini, e così, par di capire, i prodromi di quello stato di diritto, evidentemente
fondato sulla conoscenza, o sulla rivelazione, che è nei suoi voti.
A noi a tale proposito piace sempre ricordare il Libro di
Samuele, nel quale Yahweh lo ammonisce di far ben presente al popolo di Israele
che, se si fosse affidato a un re, i cui poteri venivano del resto prospettati come
quelli di un vero e proprio Stato coattivo e tributario, avrebbe perso ogni sua
libertà, perché di Re Israele ne aveva di già uno, ed era lo stesso Yahweh:
sicché non vi sarebbe stato alcun bisogno di affidarsi a un re umano.
Quindi non sbaglia Pannella, quando sottolinea il nesso tra
Dio, diritto, diritti ed eguaglianza tra gli uomini. Quel che egli non coglie, però, è che nei monoteismi la
divinità, oltre a essere un’entità separata dal mondo, ha anche carattere
normativo nei confronti di questo. E le chiese campano di ciò da alcuni
millenni, dato che la loro mission consiste
in null’altro che in un’incessante produzione giuridica e di norme sociali,
avviluppatesi fino al punto folle di pretendere di disciplinare fin nel minuto
dettaglio la vita delle persone, al di là di ogni minima ragionevolezza e
capacità persuasiva.
Non è del resto un caso che diverse interpretazioni normative, anche di dettaglio, abbiano provocato guerre e devastazioni proprio tra i diversi monoteismi.
Proponendosi come attività di produzione giuridica, l’azione
delle chiese non ha poi trovato di meglio che affidarsi al potere dei diversi Stati
per imporre, in vario modo nei diversi luoghi e nelle diverse epoche, quelle
norme di condotta, che via via si sono rivelate insopportabili per la società;
e ai radicali va riconosciuto il merito storico di aver gridato per primi
questa insopportabilità, per stare a noi e ai nostri tempi relativamente
recenti.
Questo è il difetto intrinseco, la deriva inevitabile, di
religioni che vedono in Dio il legislatore e nella chiesa l’accolita sadducea dei
loro interpreti autentici e autorizzati. Il che non accade ad esempio nelle
migliori chiese protestanti, come i Valdesi, ma qui entriamo nella storia delle
eresie e degli scismi, e il discorso si complica rispetto ai nostri ristretti
fini.
A ciò noi contrapponiamo una visione non solo non normativa,
ma nemmeno moralizzata della religione, nella quale, identificandosi divinità e
mondo, non c’è alcuna parte che sia autorizzata a dettare norme di alcun tipo unilateralmente
ad altre, ma tutte le parti esercitano reciproca pressione, in una sorta se si
vuole di panteismo, secondo il quale ciascuno di noi è parte di quella divinità,
nonché in grado a nostra volta di incidere sulle azioni di tutti e di riceverne
il condizionamento.
Questo vale per gli esseri umani, per gli animali non umani,
per i vegetali, per i mari e le montagne, per i pianeti, le stelle e via via (noi aggiungeremmo anche le cose), tutto
in perpetua interazione dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande,
fino al limite della cosiddetta “linea del caos”, che è l’ordine-disordine che tutto
tiene e tutti assieme.
Quanto a Papa Francesco, egli fa solo il suo mestiere,
purtroppo a nostre spese di contribuenti. Vien quasi voglia di dire, va bene,
ti diamo da gestire l’intero bilancio dello Stato, vediamo come te la cavi,
applicando i tuoi principi, che ora enunci da posizione di comodo.
Ma non è proprio il caso di gridare al miracolo ogni volta
che Bergoglio si abbandona ad affermazioni di generico buonsenso o sulla
povertà nel mondo, sulla quale i cattolici hanno peraltro, come è noto, sempre e
sistematicamente speculato in grande stile.
E ciò oltretutto dal pulpito di guida di un’azienda, in cui
la donna non solo non può diventare CEO, ma nemmeno la sua segretaria.
Va riconosciuto che solo in materia di giustizia Francesco ha
preso concreti provvedimenti, per quanto nel suo ristretto ambito di capo di un
micro-Stato, nonché atteggiamenti e prese di posizione, che possono spiegare ma
non giustificare il marcamento stretto da parte del Pannella “politico”: il
quale ci ricorda sempre i due esempi dell’abolizione dell’ergastolo e dell’introduzione
del reato di tortura, che hanno evidentemente carattere squisitamente
simbolico, dato che è verosimile che in Vaticano non ve ne fosse poi tanto bisogno,
attesa la proverbiale mansuetudine delle guardie svizzere. Intanto in Italia,
buoni ultimi, ancora aspettiamo.
Ma per il resto, armiamoci di buona pazienza, lasciamolo in
pace fare quello che deve fare (tanto i tempi di maturazione dei cambiamenti della Chiesa sono per
convenzione millenari, no?), ma appunto lasciamolo in pace, e non curiamoci più
di tanto di lui quando passa. Al massimo rispondiamo al saluto.
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