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venerdì 12 giugno 2015

Marco Pannella ha sbagliato religione

di Fabio Massimo Nicosia

Come è noto, viene discussa, e non di rado è motivo di ironia anche tra i radicali, la supposta conversione cattolica di Pannella, o quantomeno la sua cotta per Papa Francesco.

Ora, bisogna partire dalla premessa che Pannella è un uomo politico che vive di politica, quindi i suoi atti andrebbero sempre letti in chiave politica. Però, per un personaggio che ha sempre fatto suo e praticato il motto “il personale è politico”, possiamo fare eccezione, e prendere sul serio quanto Pannella va dicendo in materia di Chiesa e religione.


Premesso che non sappiamo nulla di teologia, benché qualcosa abbiamo letto, da parte nostra ci onoriamo anche di praticare un culto individuale, formalmente istituito e reso pubblico anche attraverso questo sito: tra l’altro, essendo noi battezzati e non intenzionati a disdire attraverso sbattezzo, siamo scismatici e attendiamo serenamente la relativa conseguente scomunica.

Sicché ci permettiamo di parlare da pari a pari, da credente a credente, o quantomeno, come dice Pannella di sé, credente in altro che nel potere.

Ora, Pannella è attualmente in preda a una piccola ossessione per il monoteismo, dato che sostiene continuamente che con esso si sarebbe affermata la legge eguale per tutti e quindi la pari dignità degli uomini, e così, par di capire, i prodromi di quello stato di diritto, evidentemente fondato sulla conoscenza, o sulla rivelazione, che è nei suoi voti.

A noi a tale proposito piace sempre ricordare il Libro di Samuele, nel quale Yahweh lo ammonisce di far ben presente al popolo di Israele che, se si fosse affidato a un re, i cui poteri venivano del resto prospettati come quelli di un vero e proprio Stato coattivo e tributario, avrebbe perso ogni sua libertà, perché di Re Israele ne aveva di già uno, ed era lo stesso Yahweh: sicché non vi sarebbe stato alcun bisogno di affidarsi a un re umano.

Quindi non sbaglia Pannella, quando sottolinea il nesso tra Dio, diritto, diritti ed eguaglianza tra gli uomini. Quel che egli non coglie, però, è che nei monoteismi la divinità, oltre a essere un’entità separata dal mondo, ha anche carattere normativo nei confronti di questo. E le chiese campano di ciò da alcuni millenni, dato che la loro mission consiste in null’altro che in un’incessante produzione giuridica e di norme sociali, avviluppatesi fino al punto folle di pretendere di disciplinare fin nel minuto dettaglio la vita delle persone, al di là di ogni minima ragionevolezza e capacità persuasiva.

Non è del resto un caso che diverse interpretazioni normative, anche di dettaglio, abbiano provocato guerre e devastazioni proprio tra i diversi monoteismi.

Proponendosi come attività di produzione giuridica, l’azione delle chiese non ha poi trovato di meglio che affidarsi al potere dei diversi Stati per imporre, in vario modo nei diversi luoghi e nelle diverse epoche, quelle norme di condotta, che via via si sono rivelate insopportabili per la società; e ai radicali va riconosciuto il merito storico di aver gridato per primi questa insopportabilità, per stare a noi e ai nostri tempi relativamente recenti.

Questo è il difetto intrinseco, la deriva inevitabile, di religioni che vedono in Dio il legislatore e nella chiesa l’accolita sadducea dei loro interpreti autentici e autorizzati. Il che non accade ad esempio nelle migliori chiese protestanti, come i Valdesi, ma qui entriamo nella storia delle eresie e degli scismi, e il discorso si complica rispetto ai nostri ristretti fini.

A ciò noi contrapponiamo una visione non solo non normativa, ma nemmeno moralizzata della religione, nella quale, identificandosi divinità e mondo, non c’è alcuna parte che sia autorizzata a dettare norme di alcun tipo unilateralmente ad altre, ma tutte le parti esercitano reciproca pressione, in una sorta se si vuole di panteismo, secondo il quale ciascuno di noi è parte di quella divinità, nonché in grado a nostra volta di incidere sulle azioni di tutti e di riceverne il condizionamento.

Questo vale per gli esseri umani, per gli animali non umani, per i vegetali, per i mari e le montagne, per i pianeti, le stelle e via via (noi aggiungeremmo anche le cose), tutto in perpetua interazione dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, fino al limite della cosiddetta “linea del caos”, che è l’ordine-disordine che tutto tiene e tutti assieme.

Quanto a Papa Francesco, egli fa solo il suo mestiere, purtroppo a nostre spese di contribuenti. Vien quasi voglia di dire, va bene, ti diamo da gestire l’intero bilancio dello Stato, vediamo come te la cavi, applicando i tuoi principi, che ora enunci da posizione di comodo.

Ma non è proprio il caso di gridare al miracolo ogni volta che Bergoglio si abbandona ad affermazioni di generico buonsenso o sulla povertà nel mondo, sulla quale i cattolici hanno peraltro, come è noto, sempre e sistematicamente speculato in grande stile.

E ciò oltretutto dal pulpito di guida di un’azienda, in cui la donna non solo non può diventare CEO, ma nemmeno la sua segretaria.

Va riconosciuto che solo in materia di giustizia Francesco ha preso concreti provvedimenti, per quanto nel suo ristretto ambito di capo di un micro-Stato, nonché atteggiamenti e prese di posizione, che possono spiegare ma non giustificare il marcamento stretto da parte del Pannella “politico”: il quale ci ricorda sempre i due esempi dell’abolizione dell’ergastolo e dell’introduzione del reato di tortura, che hanno evidentemente carattere squisitamente simbolico, dato che è verosimile che in Vaticano non ve ne fosse poi tanto bisogno, attesa la proverbiale mansuetudine delle guardie svizzere. Intanto in Italia, buoni ultimi, ancora aspettiamo.

Ma per il resto, armiamoci di buona pazienza, lasciamolo in pace fare quello che deve fare (tanto i tempi di maturazione dei cambiamenti della Chiesa sono per convenzione millenari, no?), ma appunto lasciamolo in pace, e non curiamoci più di tanto di lui quando passa. Al massimo rispondiamo al saluto.



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