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domenica 28 giugno 2015

Il "comunismo libertario" di Luigi Galleani

di Fabio Massimo Nicosia

Luigi Galleani nacque a Vercelli nel 1861 e morì ad Aulla nel 1931. La sua è stata una vita tumultuosa, al pari di quella di molti anarchici della sua epoca. Divenuto anarchico sin dai tempi dell’università, trovò riparo per sfuggire ai procedimenti giudiziari in Francia, dove visse dal 1880 al 1900. Espulso dalla Francia per avere partecipato a una manifestazione di protesta, riparò in Svizzera, dove frequentò il grande Elisée Reclus. Sempre per il suo attivismo, fu espulso anche dalla Svizzera, e tornò in Italia, dove fu arrestato e mandato al confino a Pantelleria nel 1895, e da cui riuscì a fuggire nel 1900, trasferendosi in Egitto.

Minacciato di estradizione, si trasferì a Londra, da cui si imbarcò per raggiungere gli Stati Uniti nel 1901. Si stabilì a Paterson, nel New Jersey, dove era numerosa una comunità di immigrati anarchici. Ivi divenne capo redattore della rivista “La questione sociale”, e appoggiò gli scioperi dei lavoratori locali, risultando anche ferito dalla polizia che sparò sugli scioperanti. Minacciato di arresto fuggì in Canada, ma tornò negli USA nel 1903.
Quel che però interessa ai nostri fini, è che mentre Galleani si trovava negli  USA, in Italia, il prestigioso ex-anarchico e poi socialista Francesco Saverio Merlino aveva, in un'intervista pubblicata nel giugno 1907 dal quotidiano torinese La Stampa con il titolo La fine dell'anarchismo, proclamato la prossima scomparsa dell'anarchismo, da lui considerato una dottrina ormai sorpassata e priva di validi teorici. Galleani ne prese spunto per rispondere sulla sua «Cronaca sovversiva» con diversi articoli - che poi saranno raccolti in volume dal titolo «La fine dell'Anarchismo?»  - in cui sostenne la validità e la vitalità delle teorie anarchiche.
Il presente articolo è pertanto dedicato alle posizioni espresse da Galliani in questo scritto, e, in particolare, a discutere la sua teoria di “comunismo libertario”. Benché, infatti, la dottrina di Galleani fosse comunista, per quanto in un senso particolare che concilia il comunismo con l’individualismo, egli ha più fama d’individualista, per la sua posizione in materia di organizzazione del movimento anarchico, oltre che per essere stato un fautore della cosiddetta “propaganda del fatto”.
Galleani, come detto, prende le mosse dall’intervista di Merlino, sforzandosi di confutarne le affermazioni. Che cosa aveva detto in particolare l’antico anarchico? Galleani prende di mira in particolare, tra le altre, tre affermazioni:
a)            L’anarchismo non ha oggi più alcuna importanza, “perché quella parte dei principi anarchici destinata a rimanere, si è compenetrata e diffusa nel socialismo; la parte che costituiva invece un’utopia, è stata riconosciuta tale, perciò non ha più valore. E’ avvenuto a vantaggio del socialismo un fenomeno di assorbimento”.
b)           “Allo stato attuale il partito anarchico è smembrato dalle lotte fra i partigiani delle due diverse tendenze, cioè fra Individualisti e Organizzatori. Gli Organizzatori non riescono a trovare una forma d’organizzazione compatibile coi loro principi anarchici. Gli individualisti, i quali si mantengono contrari ad ogni organizzazione, non trovano modo d’agire”.
c)            “Occorre notare la condizione strana nella quale vengono a trovarsi gli Individualisti nell’anarchismo. Essi sorsero dalla teoria della Propaganda per il fatto. L’azione violenta era quindi per loro una necessità. Ma essendo venuto meno il concetto di rappresaglia che formava dapprima il concetto essenziale dell’azione anarchica verso la classe capitalistica, anche gli individualisti anarchici non possono sussistere senza quell’organizzazione che vorrebbero negare”.
Da queste considerazione prende le mosse l’argomentare di Galleani, ma noi, per ragioni di spazio ci soffermeremo soprattutto sulla prima.
1.            La persistente vitalità e attualità dell’anarchismo.
Galleani difende l’attualità e l’autonomia dell’impostazione anarchica rispetto a quella socialista, alla quale il Merlino vorrebbe assimilarla. Per Galleani, infatti, persiste un’antinomia tra socialismo e anarchismo, nel senso che il primo sosterrebbe il collettivismo, mentre l’anarchismo auspica l’avvento del comunismo .
Si tratta allora di vedere in che cosa “collettivismo” e “comunismo” differiscano tra di loro.
Nel collettivismo, sostiene Galleani, “il lavoro e la soddisfazione dei bisogni saranno regolati dalle collettività dei lavoratori a mezzo di delegati, di amministratori, di funzionarii, da quella insomma che i socialisti amano chiamare il ‘governo amministrazione’, perché, sparita l’attuale divisione della società in classi, perderebbe ogni e qualsiasi funzione politica di governo sugli individui, per essere soltanto il consiglio amministrativo a cui sarebbe affidata la gestione collettiva del patrimonio sociale” .
Viceversa, “nella società anarchica l’individuo libero nell’associazione libera provvederebbe direttamente da sé alla gestione dei propri interessi. Per supporre un governo, sia pure un semplice governo amministrazione, bisogna consentire implicitamente che ‘tutti gli interessi di un popolo siano concentrati in mano di pochi; che un piccolo numero di persone faccia per tutta la nazione, che in luogo di lasciare libertà all’individuo di pensare, lo si obblighi a sottomettersi alla volontà di quelli che pensano per tutto un popolo. Ora tutto questo è incompatibile colla società libera ed egualitaria di cui parliamo” .
Ma la differenza tra collettivismo e comunismo non è solo nell’organizzazione, ma, più radicalmente, nei principi informatori. Infatti, mentre “i socialisti collettivisti vogliono da ciascuno secondo la sua capacità, compensando ogni capacità in proporzione del suo lavoro…, i comunisti anarchici dicono invece che ciascuno, contribuendo volontariamente alla produzione secondo le sue forze, avrà a seconda dei propri bisogni. Mentre i socialisti collettivisti limitano le loro rivendicazioni al prodotto integrale del proprio lavoro, gli anarchici proclamano che, qualunque sia la entità del prodotto, l’individuo avrà diritto alla piena soddisfazione dei propri bisogni” .
Non si può negare che, a tutta prima, siffatta raffigurazione odori effettivamente, come diceva Merlino, di utopia. Non tanto nella critica al collettivismo, che è ben fondata, quanto in questa idea dell’anarchismo come bengodi, nel quale ogni bisogno sarà soddisfatto, sol che qualcuno lo chieda e lo pretenda.
In realtà le cose non stanno proprio così, come si dirà, ma vediamo come Galleani raffigura i “bisogni” dell’uomo e dell’individuo: “Un contadino della valle d’Aosta avrà, nelle attuali condizioni del proprio sviluppo, soddisfatto a tutti i suoi bisogni quando avrà mangiato, bevuto, riposato a sazietà – mentre l’operaio di Londra, di Parigi o di Berlino rinunzierà volentieri a un quarto del suo salario, a parecchie ore del suo riposo per soddisfare a tutta una categoria di bisogni assolutamente sconosciuti al contadino smarrito fra le gole delle Alpi o su pei gioghi dell’estremo Appennino, per passare una ora di vita intensa ed appassionata al teatro, al museo, alla biblioteca, per comperarsi l’ultimo libro, l’ultimo giornale, per godersi un’audizione di Wagner od una conferenza alla Sorbona”.
Il fatto è che “se cotesti bisogni variano, dunque, non soltanto secondo il tempo ed il luogo, ma anche secondo il temperamento, l’indole e lo sviluppo di ciascun individuo, è chiaro che soltanto colui  che li prova e li sente è in grado di valutarli e di commisurarne adeguatamente la soddisfazione che essi reclamano” .
E ancora: “Il modo e la misura della soddisfazione dei bisogni variando secondo gli individui, il loro sviluppo, l’ambiente particolare in cui vivono, ma permanendo eguale in tutti ed in ciascuno il diritto a soddisfarli nella misura che ciascuno, giudice unico, riterrà conveniente, l’uguaglianza e la giustizia non potrebbero ricevere sanzione più reale e più sincera di quella che ad esse rende la concezione comunista libertaria della società. Il forte e il debole, l’intelligente e l’ottuso, l’abile e l’inetto hanno tutti quanti diritto alla vita, diritto di viverla in tutta la sua pienezza, e, qualunque sia il contributo da ciascuno rispettivamente conferito alla produzione collettiva, hanno tutti uguale diritto di soddisfare ai propri bisogni e di attingere le forme superiori del più alto, del più completo divenire” .
Ora, non possiamo fare a meno di notare subito che, benché Galleani parli di “uguaglianza”, di “giustizia”, di “uguale diritto”, questi concetti sono utilizzati in senso formale e non sostanziale, perché la società da lui auspicata è tutt’altro che ispirata a un piatto egualitarismo. Per lui, come si è visto, in natura esistono soggetti forti e deboli, intelligenti e astuti, abili e inetti, e ognuno di loro soddisferà il proprio bisogno in base al proprio temperamento. Sicché esistono, come del resto diceva Kropotkin, soggetti che hanno bisogni più “elevati” di altri, e anche questi andranno rispettati. Volendo un po’ forzare la mano, si può dire che siamo di fronte a una forma particolare di elitismo, in cui i “migliori”, per dir così, avranno tutto il diritto di soddisfare i propri interessi senza chiedere il permesso a nessuno, benché privi del potere di sottomettere gli altri, a loro volta liberi nel soddisfare i propri più modesti bisogni.
Ne deriva un comunismo individualista, staremmo per dire liberale (si veda anche la preferenza per l’iniziativa privata rispetto all’inefficienza della burocrazia statale), molto brillantemente disegnato, in cui la produzione è comune e abbondante per tutti, ma il carattere individuale perfettamente rispettato.
Sostiene infatti Galleani: “Tra il comunismo (non certo inteso come un aspetto nuovo di stato, di governo, condannato a riprodurre in sé tutte le iniquità ed i misfatti dei governi che lo hanno preceduto; ma come libera, volontaria, solidale cooperazione di tutti e di ciascuno nella produzione) e l’individualismo (nel senso che nessuna autorità di istituti, di maggioranze o di minoranze possa interferire collo sviluppo e la libertà dell’individuo, e comunque attenuarne l’autonomia) non vi è contraddizione né incompatibilità: l’uno è semplicemente il terreno economico nel quale l’altro abbia la possibilità di regolarizzarsi, di esercitarsi. Sono due termini che si integrano” .
L’obiezione è spontanea: in regime di scarsità delle risorse, come sarà possibile soddisfare pienamente i bisogni individuali di ciascuno?
Galleani accenna a una risposta anche a questa obiezione: “misurate dai progressi dell’ultimo mezzo secolo il progresso che tra cinquant’anni avranno attinto le applicazioni della scienza all’industria; spalancate a tutti il teatro e la scuola, la palestra e l’accademia; prodigate a tutti l’aria ed il pane, il sole e la gioia, la vita e l’amore: e diteci allora se al lavoro breve e svariato, eletto liberamente secondo le proprie attitudini da ciascun lavoratore, in cui la sicurezza della vita intellettuale e fisica avrà accumulate e terrà vive tutte le più diverse energie, se al lavoro che sarà gioia dello spirito e necessità fisiologica e consaputa condizione della vita e del progresso universale, e al lavoro lampeggiante di fascini si rifiuterà qualcuno ancora” .
In altri termini, Galleani ci dà appuntamento tra… 50 anni, quando la scienza sarà in grado di fornirci industrie a tal punto di sviluppo da consentire i livelli di benessere auspicati.
Tale posizione può essere ricondotta a quella di Kropotkin, sovente accusata di “scientismo” e “positivismo”, che sarebbe l’elemento caduco di certo anarchismo ottocentesco, mentre invece esso ci appare oggi più che mai attuale, in regime di automazione e di robotizzazione, sicché possiamo anche noi fissare un appuntamento anche a prima di cinquant’anni, quando tutto sarà prodotto da macchine (ricordate lo slogan del movimento del ’77: “Lavoro zero, reddito intero, la produzione all’automazione”), sicché il movimento operaio sarà presto indotto ad abbandonare la politica reazionaria della difesa del “posto di lavoro”, per sostituirla con una rivendicazione di reddito, una volta che i concetti di “lavoro” e quello di “reddito” siano finalmente disgiunti.
Invero, Kropotkin, il quale pure faceva propria la formula “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, auspicava che molti lavori fossero resi desueti dallo sviluppo tecnologico e scientifico: lavoro più leggero, orario lavorativo più breve, eliminazione o riduzione dei lavori spiacevoli, e così via .
Ciò avrebbe consentito di passare dal regime della scarsità a quello dell’abbondanza, resa possibile appunto dalla tecnica, e dello stesso avviso appare Galleani.
C’è di più. In Galleani si rinviene anche un certo ottimismo antropologico, allorché egli ritiene che, anche per quelli che oggi chiameremmo i beni e i servizi pubblici, contrariamente a quei pensatori che ritengono che diversamente si incorrerebbe nelle secche del dilemma del prigioniero, si possa fare a meno dello Stato inefficiente, rispondendo come risponderebbero oggi anarchici delle più diverse tendenze: “Condizioni anormali, particolari ed eccezionali, condizioni del momento o dell’ambiente potranno a questa libertà segnare un confine così come alle nostre attitudini ed al nostro lavoro un’estensione: non potremmo domani, così come ci accade oggi, stringer la cintola un poco noi che siamo egregiamente di salute per serbare ai colpiti da un’epidemia la possibilità di una cura, d’un regime, d’un’alimentazione esigente e necessaria? Non ci improvvisa anche oggi un subito incendio tutti pompieri? tutti infermieri un’epidemia? tutti sterratori un’inondazione od una frana? Senza che nessuno comandi o imponga? Senza un riguardo né alle attitudini né ai rischi del lavoro insolito? in obbedienza soltanto alla voce che dal profondo di ogni coscienza comanda in nome della vita, della conservazione, della solidarietà della specie? E non è questa voce lo stimolo automatico ed irresistibile delle maggiori e delle più nobili fra le nostre azioni?” .
In definitiva, dice Galleani, la spontaneità degli individui sarà in grado di far fronte senza mediazioni autoritarie anche alle situazioni di emergenza, che richiedono scelte “collettive”, nel senso di indivisibili tra una pluralità di attori e di destinatari.
Ma anche a tale proposito appare pertinente il richiamo a Kropotkin. Il grande pensatore riteneva infatti che, una volta soddisfatti tutti i bisogni economici e materiali, gli uomini avranno comunque bisogno di mettersi d’accordo per un qualsiasi scopo comune, e propone a tale riguardo lo strumento del “contratto”, del “libero accordo” . Ma, si noti, mentre nelle società capitaliste il contratto è uno strumento anzitutto dell’economia in senso stretto, della produzione, dello scambio e del consumo, in regime comunista libertario ciò non sarà, dato che la produzione e il consumo sono abbondanti e comuni.
Il contratto si occuperà allora di altre cose, e il mercato torna al suo fondamento originario, che non è quello che abbiamo detto, ma accordo sull’uso della forza, sul potere e sull’energia umana in senso lato. Intendiamo dire che il comunismo non farebbe venir meno il mercato, ma lo “deturnerebbe” da strumento sanzione della disuguaglianza nei possessi a strumento dell’accordo su ciò che è “economico” solo in un senso metaforico, secondo l’impostazione che fu già di Marx (secondo il quale tutti i rapporti umani sono regolati dalle leggi della produzione) e che poi fu ripresa da economisti liberali contemporanei, primo tra tutti Gary Becker.
2.            Conclusione.
Come è noto, Galleani era un fautore della propaganda del fatto, oltre che un antiorganizzatore, da qui l’etichetta di individualista, parzialmente erronea, come si è visto.
Tuttavia vien da chiedersi se vi sia un nesso necessario tra la sua concezione rivoluzionaria e le idee espresse in materia di comunismo libertario.
A nostro avviso la risposta è negativa. Non c’è nulla del contributo positivo di Galleani, che non possa essere affidato a una strategia riformatrice e gradualista, piuttosto che rivoluzionaria. D’altra parte, seppure dalla parte di Bresci, il cui atto sarebbe stato tutt’altro che inutile, dato che avrebbe indotto a più miti consigli il successore  (una sorta di teoria della prevenzione speciale come funzione della pena), e pur ritenendo utile qualunque atto di rivolta, lo stesso Galleani ci ha detto di aspettare una cinquantina di anni, in attesa dello sviluppo tecnologico, prima che la presa nel mucchio fosse di attualità.
Ma c’è un’altra questione, da cui siamo partiti, quella della distinzione tra socialismo collettivista e comunismo dell’”a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Orbene, per quanto nel giudicare le parole dei politici occorre sempre tener conto della componente strategica e opportunistica, noi vorremmo concludere con le parole del più noto riformista italiano, Filippo Turati, il quale, al congresso socialista del 1921, si esprimeva come segue:
“… io rivendico sommariamente il mio ed il nostro diritto di cittadinanza nel Socialismo, che è il Comunismo… Il comunismo ebbe due sensi nella storia del movimento dei lavoratori: o fu il comunismo critico di Marx e di Engels, contrapposto, per ragioni tutte tedesche e transeunti ai vari falsi socialismi (feudale, filantropico ecc.), socialismi tutti quanti antirivoluzionari i quali da un pezzo ed ovunque sono oggi superati; oppure fu il comunismo ideologico nella previsione della futura società, il quale alla formula del collettivismo (a ciascuno secondo il suo lavoro, salvi –s’intende- i diritti di assistenza per gli invalidi, per i vecchi, per i  bimbi), sostituiva l’altra ‘a ciascuno secondo i suoi bisogni’, formula applicabile soltanto, come è evidente, ad una società molto più progredita, in cui sia esuberanza di produzione, e ciascuno possa ‘prendere nel mucchio’ a suo piacimento: due formule, dunque, che rispondono a una successione di fasi sociali più che a una opposizione di concetti e di sistemi” .
In base a tale impostazione, quindi, socialismo collettivistico e comunismo dei bisogni non sono alternativi l’uno all’altro, ma l’uno il presupposto temporale dell’altro. E questo, in fondo, lo stesso Galleani come si è visto l’aveva almeno intuito.


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