di Fabio Massimo Nicosia
Luigi Galleani nacque a Vercelli nel 1861 e morì ad Aulla
nel 1931. La sua è stata una vita tumultuosa, al pari di quella di molti
anarchici della sua epoca. Divenuto anarchico sin dai tempi dell’università,
trovò riparo per sfuggire ai procedimenti giudiziari in Francia, dove visse dal
1880 al 1900. Espulso dalla Francia per avere partecipato a una manifestazione
di protesta, riparò in Svizzera, dove frequentò il grande Elisée Reclus. Sempre
per il suo attivismo, fu espulso anche dalla Svizzera, e tornò in Italia, dove
fu arrestato e mandato al confino a Pantelleria nel 1895, e da cui riuscì a
fuggire nel 1900, trasferendosi in Egitto.
Minacciato di estradizione, si trasferì a Londra, da cui si
imbarcò per raggiungere gli Stati Uniti nel 1901. Si stabilì a Paterson, nel
New Jersey, dove era numerosa una comunità di immigrati anarchici. Ivi divenne
capo redattore della rivista “La questione sociale”, e appoggiò gli scioperi
dei lavoratori locali, risultando anche ferito dalla polizia che sparò sugli
scioperanti. Minacciato di arresto fuggì in Canada, ma tornò negli USA nel
1903.
Quel che però interessa ai nostri fini, è che mentre Galleani
si trovava negli USA, in Italia, il
prestigioso ex-anarchico e poi socialista Francesco Saverio Merlino aveva, in
un'intervista pubblicata nel giugno 1907 dal quotidiano torinese La Stampa con
il titolo La fine dell'anarchismo, proclamato la prossima scomparsa
dell'anarchismo, da lui considerato una dottrina ormai sorpassata e priva di
validi teorici. Galleani ne prese spunto per rispondere sulla sua «Cronaca
sovversiva» con diversi articoli - che poi saranno raccolti in volume dal
titolo «La fine dell'Anarchismo?» - in
cui sostenne la validità e la vitalità delle teorie anarchiche.
Il presente articolo è pertanto dedicato alle posizioni
espresse da Galliani in questo scritto, e, in particolare, a discutere la sua
teoria di “comunismo libertario”. Benché, infatti, la dottrina di Galleani
fosse comunista, per quanto in un senso particolare che concilia il comunismo
con l’individualismo, egli ha più fama d’individualista, per la sua posizione
in materia di organizzazione del movimento anarchico, oltre che per essere
stato un fautore della cosiddetta “propaganda del fatto”.
Galleani, come detto, prende le mosse dall’intervista di
Merlino, sforzandosi di confutarne le affermazioni. Che cosa aveva detto in
particolare l’antico anarchico? Galleani prende di mira in particolare, tra le
altre, tre affermazioni:
a)
L’anarchismo non ha oggi più alcuna importanza, “perché quella parte dei
principi anarchici destinata a rimanere, si è compenetrata e diffusa nel
socialismo; la parte che costituiva invece un’utopia, è stata riconosciuta
tale, perciò non ha più valore. E’ avvenuto a vantaggio del socialismo un
fenomeno di assorbimento”.
b) “Allo
stato attuale il partito anarchico è smembrato dalle lotte fra i partigiani
delle due diverse tendenze, cioè fra Individualisti e Organizzatori. Gli
Organizzatori non riescono a trovare una forma d’organizzazione compatibile coi
loro principi anarchici. Gli individualisti, i quali si mantengono contrari ad
ogni organizzazione, non trovano modo d’agire”.
c) “Occorre
notare la condizione strana nella quale vengono a trovarsi gli Individualisti
nell’anarchismo. Essi sorsero dalla teoria della Propaganda per il fatto.
L’azione violenta era quindi per loro una necessità. Ma essendo venuto meno il
concetto di rappresaglia che formava dapprima il concetto essenziale
dell’azione anarchica verso la classe capitalistica, anche gli individualisti
anarchici non possono sussistere senza quell’organizzazione che vorrebbero
negare”.
Da queste considerazione prende le mosse l’argomentare di
Galleani, ma noi, per ragioni di spazio ci soffermeremo soprattutto sulla
prima.
1. La
persistente vitalità e attualità dell’anarchismo.
Galleani difende l’attualità e l’autonomia dell’impostazione
anarchica rispetto a quella socialista, alla quale il Merlino vorrebbe
assimilarla. Per Galleani, infatti, persiste un’antinomia tra socialismo e
anarchismo, nel senso che il primo sosterrebbe il collettivismo, mentre
l’anarchismo auspica l’avvento del comunismo .
Si tratta allora di vedere in che cosa “collettivismo” e
“comunismo” differiscano tra di loro.
Nel collettivismo, sostiene Galleani, “il lavoro e la
soddisfazione dei bisogni saranno regolati dalle collettività dei lavoratori a
mezzo di delegati, di amministratori, di funzionarii, da quella insomma che i
socialisti amano chiamare il ‘governo amministrazione’, perché, sparita
l’attuale divisione della società in classi, perderebbe ogni e qualsiasi
funzione politica di governo sugli individui, per essere soltanto il consiglio
amministrativo a cui sarebbe affidata la gestione collettiva del patrimonio
sociale” .
Viceversa, “nella società anarchica l’individuo libero
nell’associazione libera provvederebbe direttamente da sé alla gestione dei
propri interessi. Per supporre un governo, sia pure un semplice governo
amministrazione, bisogna consentire implicitamente che ‘tutti gli interessi di
un popolo siano concentrati in mano di pochi; che un piccolo numero di persone
faccia per tutta la nazione, che in luogo di lasciare libertà all’individuo di
pensare, lo si obblighi a sottomettersi alla volontà di quelli che pensano per
tutto un popolo. Ora tutto questo è incompatibile colla società libera ed egualitaria
di cui parliamo” .
Ma la differenza tra collettivismo e comunismo non è solo
nell’organizzazione, ma, più radicalmente, nei principi informatori. Infatti,
mentre “i socialisti collettivisti vogliono da ciascuno secondo la sua
capacità, compensando ogni capacità in proporzione del suo lavoro…, i comunisti
anarchici dicono invece che ciascuno, contribuendo volontariamente alla
produzione secondo le sue forze, avrà a seconda dei propri bisogni. Mentre i
socialisti collettivisti limitano le loro rivendicazioni al prodotto integrale
del proprio lavoro, gli anarchici proclamano che, qualunque sia la entità del
prodotto, l’individuo avrà diritto alla piena soddisfazione dei propri bisogni”
.
Non si può negare che, a tutta prima, siffatta
raffigurazione odori effettivamente, come diceva Merlino, di utopia. Non tanto
nella critica al collettivismo, che è ben fondata, quanto in questa idea
dell’anarchismo come bengodi, nel quale ogni bisogno sarà soddisfatto, sol che
qualcuno lo chieda e lo pretenda.
In realtà le cose non stanno proprio così, come si dirà, ma
vediamo come Galleani raffigura i “bisogni” dell’uomo e dell’individuo: “Un
contadino della valle d’Aosta avrà, nelle attuali condizioni del proprio
sviluppo, soddisfatto a tutti i suoi bisogni quando avrà mangiato, bevuto,
riposato a sazietà – mentre l’operaio di Londra, di Parigi o di Berlino
rinunzierà volentieri a un quarto del suo salario, a parecchie ore del suo
riposo per soddisfare a tutta una categoria di bisogni assolutamente
sconosciuti al contadino smarrito fra le gole delle Alpi o su pei gioghi
dell’estremo Appennino, per passare una ora di vita intensa ed appassionata al
teatro, al museo, alla biblioteca, per comperarsi l’ultimo libro, l’ultimo
giornale, per godersi un’audizione di Wagner od una conferenza alla Sorbona”.
Il fatto è che “se cotesti bisogni variano, dunque, non
soltanto secondo il tempo ed il luogo, ma anche secondo il temperamento,
l’indole e lo sviluppo di ciascun individuo, è chiaro che soltanto colui che li prova e li sente è in grado di
valutarli e di commisurarne adeguatamente la soddisfazione che essi reclamano”
.
E ancora: “Il modo e la misura della soddisfazione dei
bisogni variando secondo gli individui, il loro sviluppo, l’ambiente
particolare in cui vivono, ma permanendo eguale in tutti ed in ciascuno il
diritto a soddisfarli nella misura che ciascuno, giudice unico, riterrà
conveniente, l’uguaglianza e la giustizia non potrebbero ricevere sanzione più
reale e più sincera di quella che ad esse rende la concezione comunista
libertaria della società. Il forte e il debole, l’intelligente e l’ottuso,
l’abile e l’inetto hanno tutti quanti diritto alla vita, diritto di viverla in
tutta la sua pienezza, e, qualunque sia il contributo da ciascuno
rispettivamente conferito alla produzione collettiva, hanno tutti uguale
diritto di soddisfare ai propri bisogni e di attingere le forme superiori del
più alto, del più completo divenire” .
Ora, non possiamo fare a meno di notare subito che, benché Galleani parli
di “uguaglianza”, di “giustizia”, di “uguale diritto”, questi concetti sono
utilizzati in senso formale e non sostanziale, perché la società da lui
auspicata è tutt’altro che ispirata a un piatto egualitarismo. Per lui, come si
è visto, in natura esistono soggetti forti e deboli, intelligenti e astuti,
abili e inetti, e ognuno di loro soddisferà il proprio bisogno in base al
proprio temperamento. Sicché esistono, come del resto diceva Kropotkin,
soggetti che hanno bisogni più “elevati” di altri, e anche questi andranno
rispettati. Volendo un po’ forzare la mano, si può dire che siamo di fronte a
una forma particolare di elitismo, in cui i “migliori”, per dir così, avranno
tutto il diritto di soddisfare i propri interessi senza chiedere il permesso a
nessuno, benché privi del potere di sottomettere gli altri, a loro volta liberi
nel soddisfare i propri più modesti bisogni.
Ne deriva un comunismo individualista, staremmo per dire
liberale (si veda anche la preferenza per l’iniziativa privata rispetto
all’inefficienza della burocrazia statale), molto brillantemente disegnato, in
cui la produzione è comune e abbondante per tutti, ma il carattere individuale
perfettamente rispettato.
Sostiene infatti Galleani: “Tra il comunismo (non certo
inteso come un aspetto nuovo di stato, di governo, condannato a riprodurre in
sé tutte le iniquità ed i misfatti dei governi che lo hanno preceduto; ma come
libera, volontaria, solidale cooperazione di tutti e di ciascuno nella
produzione) e l’individualismo (nel senso che nessuna autorità di istituti, di
maggioranze o di minoranze possa interferire collo sviluppo e la libertà
dell’individuo, e comunque attenuarne l’autonomia) non vi è contraddizione né
incompatibilità: l’uno è semplicemente il terreno economico nel quale l’altro
abbia la possibilità di regolarizzarsi, di esercitarsi. Sono due termini che si
integrano” .
L’obiezione è spontanea: in regime di scarsità delle
risorse, come sarà possibile soddisfare pienamente i bisogni individuali di
ciascuno?
Galleani accenna a una risposta anche a questa obiezione:
“misurate dai progressi dell’ultimo mezzo secolo il progresso che tra
cinquant’anni avranno attinto le applicazioni della scienza all’industria;
spalancate a tutti il teatro e la scuola, la palestra e l’accademia; prodigate
a tutti l’aria ed il pane, il sole e la gioia, la vita e l’amore: e diteci
allora se al lavoro breve e svariato, eletto liberamente secondo le proprie
attitudini da ciascun lavoratore, in cui la sicurezza della vita intellettuale
e fisica avrà accumulate e terrà vive tutte le più diverse energie, se al
lavoro che sarà gioia dello spirito e necessità fisiologica e consaputa
condizione della vita e del progresso universale, e al lavoro lampeggiante di
fascini si rifiuterà qualcuno ancora” .
In altri termini, Galleani ci dà appuntamento tra… 50 anni,
quando la scienza sarà in grado di fornirci industrie a tal punto di sviluppo
da consentire i livelli di benessere auspicati.
Tale posizione può essere ricondotta a quella di Kropotkin,
sovente accusata di “scientismo” e “positivismo”, che sarebbe l’elemento caduco
di certo anarchismo ottocentesco, mentre invece esso ci appare oggi più che mai
attuale, in regime di automazione e di robotizzazione, sicché possiamo anche
noi fissare un appuntamento anche a prima di cinquant’anni, quando tutto sarà
prodotto da macchine (ricordate lo slogan del movimento del ’77: “Lavoro zero,
reddito intero, la produzione all’automazione”), sicché il movimento operaio
sarà presto indotto ad abbandonare la politica reazionaria della difesa del
“posto di lavoro”, per sostituirla con una rivendicazione di reddito, una volta
che i concetti di “lavoro” e quello di “reddito” siano finalmente disgiunti.
Invero, Kropotkin, il quale pure faceva propria la
formula “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, auspicava che molti lavori
fossero resi desueti dallo sviluppo tecnologico e scientifico: lavoro più
leggero, orario lavorativo più breve, eliminazione o riduzione dei lavori
spiacevoli, e così via .
Ciò avrebbe consentito di passare dal regime della scarsità a
quello dell’abbondanza, resa possibile appunto dalla tecnica, e dello stesso
avviso appare Galleani.
C’è di più. In Galleani si rinviene anche un certo ottimismo
antropologico, allorché egli ritiene che, anche per quelli che oggi chiameremmo
i beni e i servizi pubblici, contrariamente a quei pensatori che ritengono che
diversamente si incorrerebbe nelle secche del dilemma del prigioniero, si possa
fare a meno dello Stato inefficiente, rispondendo come risponderebbero oggi
anarchici delle più diverse tendenze: “Condizioni anormali, particolari ed
eccezionali, condizioni del momento o dell’ambiente potranno a questa libertà
segnare un confine così come alle nostre attitudini ed al nostro lavoro
un’estensione: non potremmo domani, così come ci accade oggi, stringer la
cintola un poco noi che siamo egregiamente di salute per serbare ai colpiti da
un’epidemia la possibilità di una cura, d’un regime, d’un’alimentazione
esigente e necessaria? Non ci improvvisa anche oggi un subito incendio tutti
pompieri? tutti infermieri un’epidemia? tutti sterratori un’inondazione od una
frana? Senza che nessuno comandi o imponga? Senza un riguardo né alle
attitudini né ai rischi del lavoro insolito? in obbedienza soltanto alla voce
che dal profondo di ogni coscienza comanda in nome della vita, della
conservazione, della solidarietà della specie? E non è questa voce lo stimolo
automatico ed irresistibile delle maggiori e delle più nobili fra le nostre
azioni?” .
In definitiva, dice Galleani, la spontaneità degli individui
sarà in grado di far fronte senza mediazioni autoritarie anche alle situazioni
di emergenza, che richiedono scelte “collettive”, nel senso di indivisibili tra
una pluralità di attori e di destinatari.
Ma anche a tale proposito appare pertinente il richiamo a
Kropotkin. Il grande pensatore riteneva infatti che, una volta soddisfatti
tutti i bisogni economici e materiali, gli uomini avranno comunque bisogno di
mettersi d’accordo per un qualsiasi scopo comune, e propone a tale riguardo lo
strumento del “contratto”, del “libero accordo” . Ma, si noti, mentre nelle
società capitaliste il contratto è uno strumento anzitutto dell’economia in
senso stretto, della produzione, dello scambio e del consumo, in regime
comunista libertario ciò non sarà, dato che la produzione e il consumo sono
abbondanti e comuni.
Il contratto si occuperà allora di altre cose, e il mercato
torna al suo fondamento originario, che non è quello che abbiamo detto, ma
accordo sull’uso della forza, sul potere e sull’energia umana in senso lato.
Intendiamo dire che il comunismo non farebbe venir meno il mercato, ma lo
“deturnerebbe” da strumento sanzione della disuguaglianza nei possessi a
strumento dell’accordo su ciò che è “economico” solo in un senso metaforico,
secondo l’impostazione che fu già di Marx (secondo il quale tutti i rapporti
umani sono regolati dalle leggi della produzione) e che poi fu ripresa da
economisti liberali contemporanei, primo tra tutti Gary Becker.
2. Conclusione.
Come è noto, Galleani era un fautore della propaganda del
fatto, oltre che un antiorganizzatore, da qui l’etichetta di individualista,
parzialmente erronea, come si è visto.
Tuttavia vien da chiedersi se vi sia un nesso necessario tra
la sua concezione rivoluzionaria e le idee espresse in materia di comunismo
libertario.
A nostro avviso la risposta è negativa. Non c’è nulla del
contributo positivo di Galleani, che non possa essere affidato a una strategia
riformatrice e gradualista, piuttosto che rivoluzionaria. D’altra parte,
seppure dalla parte di Bresci, il cui atto sarebbe stato tutt’altro che
inutile, dato che avrebbe indotto a più miti consigli il successore (una sorta di teoria della prevenzione
speciale come funzione della pena), e pur ritenendo utile qualunque atto di rivolta,
lo stesso Galleani ci ha detto di aspettare una cinquantina di anni, in attesa
dello sviluppo tecnologico, prima che la presa nel mucchio fosse di attualità.
Ma c’è un’altra questione, da cui siamo partiti, quella
della distinzione tra socialismo collettivista e comunismo dell’”a ciascuno
secondo i suoi bisogni”.
Orbene, per quanto nel giudicare le parole dei politici
occorre sempre tener conto della componente strategica e opportunistica, noi
vorremmo concludere con le parole del più noto riformista italiano, Filippo
Turati, il quale, al congresso socialista del 1921, si esprimeva come segue:
“… io rivendico sommariamente il mio ed il nostro diritto di
cittadinanza nel Socialismo, che è il Comunismo… Il comunismo ebbe due sensi
nella storia del movimento dei lavoratori: o fu il comunismo critico di Marx e
di Engels, contrapposto, per ragioni tutte tedesche e transeunti ai vari falsi
socialismi (feudale, filantropico ecc.), socialismi tutti quanti
antirivoluzionari i quali da un pezzo ed ovunque sono oggi superati; oppure fu
il comunismo ideologico nella previsione della futura società, il quale alla
formula del collettivismo (a ciascuno secondo il suo lavoro, salvi –s’intende-
i diritti di assistenza per gli invalidi, per i vecchi, per i bimbi), sostituiva l’altra ‘a ciascuno
secondo i suoi bisogni’, formula applicabile soltanto, come è evidente, ad una
società molto più progredita, in cui sia esuberanza di produzione, e ciascuno
possa ‘prendere nel mucchio’ a suo piacimento: due formule, dunque, che
rispondono a una successione di fasi sociali più che a una opposizione di
concetti e di sistemi” .
In base a tale impostazione, quindi, socialismo
collettivistico e comunismo dei bisogni non sono alternativi l’uno all’altro,
ma l’uno il presupposto temporale dell’altro. E questo, in fondo, lo stesso
Galleani come si è visto l’aveva almeno intuito.
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