di Fabio Massimo Nicosia
Forse non tutti sanno che Bruno Leoni, in gioventù, fu
marxista. Racconta nel suo libro "Il pensiero politico moderno e contemporaneo" (Liberilibri) che, da ragazzo, bigiava la scuola per andare
in biblioteca a leggere “Il Capitale”, e che il marxismo gli restò attaccato
pur dopo l’università.
In realtà non diremmo che non vi siano discendenze marxiste
anche nel Bruno Leoni maturo, dato che la sua dottrina del diritto come scambio
di pretese non fa che spostare la lotta di classe sul piano dell’individualismo
metodologico.
Lo scambio di pretese misura i rapporti di forza tra gli
individui, e quindi anche tra le infinite classi esistenti.
Ma c’è un punto specifico sul quale Leoni dichiara di
distaccarsi di più dal marxismo, ed è l’irrompere della teoria marginalista del
valore a devastazione di quella del valore-lavoro. Per Marx, il lavoro produce
direttamente il valore di scambio del bene, mentre l’aggiornata dottrina dice
che il prezzo lo fa il mercato, sulla base del rapporto di forza tra domanda e
offerta, aggiungiamo noi.
Per Leoni, il lavoro misura al più il valore d’uso, perché il
valore del lavoro di produzione di una sedia non è altro che la comodità di
sedere sulla sedia, non ancora di venderla a un dato prezzo.
Giustissimo. Noi soggiungiamo che, in alcuni casi, il lavoro
non produce nemmeno valore d’uso, se il bene è realizzato male. Però può avere
valore di scambio se si trova un amatore.
Nessun commento:
Posta un commento