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giovedì 23 aprile 2015

Chiesa Nikeista


19 marzo 2007.

E’ istituita la Chiesa Nikeista, fondatore Fabio Massimo Nicosia, cittadino italiano, via Custodi 3, Milano, c/c IT34F0558401621000000017721, che diviene sede della Chiesa e luogo di culto individuale ai sensi dell’art.  8 della Costituzione della Repubblica Italiana, nonché del diritto individuale previsto anzitutto dall’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu.

La Chiesa Nikeista si ispira ai seguenti principi.
L’universo costituisce un tutto armonico e conflittuale al proprio interno, dando vita a esiti inintenzionali da parte di ciascun elemento costitutivo. Per convenzione, si può definire questo universo policentrico e contraddittorio Dio, e ognuno di noi ne è parte, dando vita a proprie interazioni. Queste interazioni possono essere più fluide o più condizionate da attriti. In tal caso, le interazioni danno vita a istituzioni, raggrumate attorno al libero flusso delle molecole, di beni del mondo, e animali, vegetali, cose comprese.


Dato il quadro, non è consentito ricavare regole precise di condotta, che non siano il frutto di valutazioni sull’interiore benessere di ciascun singolo individuo, Certe condotte vengono punite dal mercato, e come tali scoraggiate. Non perché siano ingiuste (per Dio nulla è ingiusto, Dio fa le guerre e i terremoti), ma perché non convenienti.

Un buon concetto di riferimento che emerge è quindi quello della reciprocità, fai all’altro quello che egli vuole sia fatto a lui, ma non fare quello che egli non vuole gli sia fatto, sempre che l'altro faccia altrettanto

Se questa è un’etica, vale anzitutto per l’ambito sessuale, quella più legata all’intimo del corpo umano, conscio e inconscio, e quindi forse quella fondamentale, ma anche per ogni altro tipo di relazione umana.

Ognuno valuta quanto sia per lui importante la sessualità, e agisce di conseguenza nell’ambito delle indicazioni sopra riportate.

Dal punto di vista interiore, il nikeismo mira al trionfo dell’appagamento, attraverso lo sviluppo di tutte le potenzialità di contatto che il mercato consente, camminando per la pubblica via, ma certo non tralasciando la meditazione e financo lo stato di estasi, nel quale percepire la magia del tutto dentro di sé. Tale stato di estasi si definisce danhi, momento di completamento e integrazione dello spirito con il corpo.

In stato di dahni, l’individuo sente il tutto e coglie le interconnessioni e il senso delle coincidenze, individuando i vari livelli occulti, da quelli comprensibili e riconducibili agli arcana imperii a quelli inattingibili, se non giungendo a un superiore grado di coscienza e consapevolezza.

Il nikeismo favorisce la tecnica, la tecnologia, la professione, le arti, in particolare la musica, come strumenti di soddisfazione dei bisogni fondamentali dell’individuo, non escludendo il ricorso ad adeguate sostanze di supporto, i cui effetti siano stati studiati e controllati, per non incorrere in disavventure.

Dal punto di vista politico, il nikeismo propugna il deperimento di ogni istituzione coercitiva, che limiti il libero fluire delle interazioni, e anzitutto del presuntuoso rivendicatore monopolistico della forza che si autodenomina Stato, quale che sia la sua estensione. Il nikeismo saluta come una conquista dell’umanità l’art. 20, c. 2, della Dichiarazione universale dei diritti umani, secondo il quale “nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione”, primo passo per il superamento di quel vecchio arnese che è ormai lo Stato-istituzione.

Dal punto di vista economico, il nikeismo, in conformità ai propri principi ispiratori, propugna il mercato decentrato ed egualitario, con accesso di ognuno alle risorse naturali, contro ogni cosiddetto capitalismo parassitario e colluso con lo Stato.

In tale mercato, sono consentite tutte le condotte ispirate al principio di reciprocità come sopra descritte, e non possono essere impedite attività che non comportino impedimento di attività altrui.

Per quanto immerso nell’universo e in Dio, infatti, il nikeismo non avrebbe ragion d’essere, se accettasse lo stato di cose presente così com’è. Si propone infatti come motore di mutamento, incidendo quindi su quell’universo e su quel Dio, le cui stesse norme, come diceva Kelsen, devono essere autorizzate da autorità ulteriore rispetto a lui: nel nostro caso, da parte di ogni sua componente, e ognuno di noi lo è.

La religione nikeista ha i suoi rituali e i suoi slogan. Il primo rituale è camminare come un selvaggio, scandendo lo slogan “non una parola di più”. Questo perché mission della religione è di individuare termini essenziali e specifici, in grado di evidenziare il focal point, verità oggettiva delle cose, alla luce delle conoscenze a disposizione.

Ciò consente di esprimere il successo, al contempo ribadendo ritmicamente l’obiettivo primo. Obiettivo secondo è la poesia ermetico-logica. Una frase di una riga, in grado di esprimere una pluralità infinita di concetti in poche parole. Si faccia l’esempio: “analizzate questa parola: questua”. Abbiamo qui l’evocazione di un concetto filosofico, l’analisi, un gioco logico, l’autoreferenzialità, insito nella parola “questa”, che è la prima che ci è venuta in mente. Poi abbiamo espresso il passaggio logico sottinteso: passare da “questa” a “questua”, con un gioco di parole.

Si apre così una discussione per verificare quanti abbiano colto il passaggio logico sottinteso, dimostrando di aver compreso in una volta sola tutti e tre gli elementi del gioco.

Senonché “questua” è una parola molto importante, perché esprime l’esercizio libero della povertà nel mercato, e sollecita discussione sui modi dell’abolizione della miseria.

La religione nikeista è grandemente interessata a questa ulteriore discussione.

Il terzo tema prediletto è la musica. Si tratta probabilmente dell’arte migliore, che coniuga la matematica con il colore. La musica totale è quella che prosegue mai identica all’infinito. MAI identica.

Lo stesso vale per la pittura, e quindi parleremmo piuttosto di cinema.

Nella prosa si tratta della pura narrazione di fatti.

Ogni parola ha (almeno, e molto almeno) due significati, per cui dire quella è sufficiente a comunicare tutto quello che c’è da comunicare, anche senza dare giudizi di valore.

Il teatro è brutto perché gli attori recitano male. Per recitare bene dovrebbero recitare la propria parte, ma nessuno recita la propria parte sotto i riflettoriSi tratta quindi di comprendere quale sia lo strumento migliore di comunicazione.

15 aprile 2015

Fabio Massimo Nicosia

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