di Fabio Massimo Nicosia
Abbiamo esposto il nostro
concetto di dittatura libertaria in un precedente lavoro (“Il dittatore
libertario – Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza
e sovranity share, Giappichelli, 2011) e intendiamo in questa occasione
riprenderlo in mano, al fine di divulgarne e precisarne ulteriormente le
caratteristiche.
A)
Il punto da cui partire è probabilmente il
concetto di dittatura in Kenneth Arrow. Semplificando di molto, ci limitiamo a
dire che, per Arrow, è impossibile un governante, anche democratico, che non
imponga le proprie preferenze al resto della società. In questo senso, anche il
governante libertario sarebbe inevitabilmente un dittatore, in quanto
imporrebbe le proprie preferenze libertarie alla società. Ma c’è una
differenza. Il dittatore libertario imporrebbe infatti alla società preferenze
libertarie, ossia meta-preferenze. Il
dittatore libertario verrebbe cioè collocato non al livello delle sue proprie
preferenze di contenuto, ma al meta-livello della preferenza di consentire
tutte le preferenze co-possibili, per utilizzare la dizione di Robert Nozick.
Il dittatore libertario consente quindi l’esplicazione
di qualsiasi preferenza, alla sola condizione che si tratti di preferenza non
invasiva e non impeditiva nei confronti dell’esplicarsi delle preferenze
altrui.
Si noti che, alla luce dell'art. 138 della nostra costituzione e di altre simili, vien superata la distinzione schmittiana tra dittatura commissaria e dittatura sovrana, perchè qui il commissario è sovrano nel modificare la costituzione.
B)
Una seconda riflessione deriva dall’analisi del
teorema di Amartya Sen sulla presunta impossibilità del liberale paretiano.
Secondo Sen, dati un lascivo il quale voglia leggere un libro all’indice e un
pudico che voglia impedirglielo, sarebbe impossibile contemperare le due
pretese, è l’esito sarebbe quindi inefficiente in termini paretiani, ma anche “illiberale”,
in quanto uno dei due interessi verrebbe totalmente sacrificato.
A nostro avviso Sen incorre in un grave
abbaglio, anche se in uno scritto successivo –di solito trascurato nei
resoconti- riconosce che la soluzione può trovarsi al livello delle
meta-preferenze.
Il fatto è però che trasferendo la
soluzione al meta-livello, si ammette che la situazione originariamente
delineata non era affatto “liberale”, perché
uno dei due soggetti, il pudico, voleva impedire all’altro di leggere un libro,
e la soluzione finalmente proposta come “liberale” è semplicemente quella di
sacrificare l’interesse del pudico.
Sicché delle due l’una: o il pudico cambia
scala delle preferenze, facendo propria l’inclinazione libertaria, ovvero il
lascivo deve poter imporsi per poter leggere il libro. In questo senso egli si
farebbe dittatore libertario.
C)
Il dittatore libertario è quindi innanzi tutto
una figura metaforica: chiunque di noi può essere “dittatore libertario”,
imponendosi e impedendo gl’impedimenti agli illiberali. Ovvero, come propongono
gli anarco-capitalisti, di riunirsi in agenzie di protezione per raggiungere lo
stesso risultato. Tuttavia vi è un problema. E cioè che, nel mondo moderno, non
risulta che l’inclinazione libertaria sia particolarmente diffusa. Dato il
sistema democratico, rischiano cioè di prevalere costantemente le pulsioni
illiberali, per quanto si possa sempre confidare nell’evoluzione del costume.
Le battaglie sui diritti civili lo dimostrano. Esse hanno accompagnato per
molti anni questa evoluzione, qualche volta l’hanno anticipata (droghe), altre
volte (si pensi alla chiusura dei manicomi) si sono imposte a un’opinione
pubblica recalcitrante. Sic stantibus
rebus, la proposta degli anarchici di puramente e semplicemente demolire lo
Stato non ci garantisce che ne emergerebbe una società libertaria, se l’inclinazione
libertaria nella società è ancora minoritaria. Che cosa devono fare allora i
libertari? A nostro avviso è loro compito andare
al governo e imporre la loro dittatura (meta-dittatura) alla società,
mettendo gl’illiberali in condizione di non nuocere. Ciò ci avvicina alle
teorizzazioni di Nozick sullo Stato
minimo, ossia uno Stato limitato ai compiti di polizia e di giustizia.
Naturalmente tale proposta sarebbe inaccettabile, se non si precisa che polizia
e giustizia devono essere incaricate, per una fase che si presume solo
transitoria (ossia sin quando l’inclinazione libertaria non sarà
sufficientemente diffusa nella società), solo per implementare i principi dell’inclinazione
medesima.
D)
La nostra proposta è stata criticata, invocando
i principi anarchici di Saint Imier contro quelli marxiani e marxisti. Vediamo
allora in che cosa tale proposta somiglia e in che cosa differisce da quella
delle correnti marxiste del socialismo. Somiglia sotto il profilo della presa
del potere. Gli anarchici, come alcuni
liberali, vedono nel potere solo una cosa cattiva, ma non spiegano come farebbero
loro a realizzare la società da loro auspicata, attraverso quale processo di
transizione, salvo scoprire i crimini di cui gli anarchici si sono macchiati,
non meno di altri, nel corso del periodo rivoluzionario spagnolo della seconda
metà degli anni ’30 del secolo passato. E allora si dica chiaramente che si
punta alla presa del potere, e che da lì si governi un processo di transizione
verso la società futura.
Se vi è questa analogia, vi sono però anche
profonde differenze. Marx, e soprattutto Lenin, pensavano a una presa del
potere che comportasse un rafforzamento dello
Stato, mentre la nostra proposta ne implica, non troppo paradossalmente, l’indebolimento. S i tratta infatti, sia
pure dal governo, di ampliare progressivamente e incessantemente le libertà
individuali, fino a immaginare l’estinzione dello Stato non, come in Marx e Lenin
(ma anche in Stalin e Mao) come uno strano effetto automatico di quel
rafforzamento, ma come un obiettivo da perseguire coerentemente, lucidamente e consapevolmente.
E)
Ci si può porre, a questo punto, il problema di
quale sia la dimensione ottimale dello Stato, del quale il dittatore libertario
si debba impadronire. Come è noto, sia gli anarchici che gli anarco-capitalisti
amano la piccola dimensione e, soprattutto i secondi, sono fautori delle
secessioni a catena. Entrambi però sono anche federalisti. Noi riteniamo che un’efficace
dittatura libertaria non possa che esplicarsi, al meglio, solo al livello
mondiale, garantendo altresì la pace perpetua secondo il modello di Immanuel Kant.
Incessante lotta interna ai portatori di inclinazione autoritaria, quindi, ma
per far ciò occorre evitare i conflitti internazionali, che sono il brodo di
coltura ottimale di quella inclinazione, internalizzando così le dittature e
combattendole non come un nemico esterno, al quale “esportare la democrazia”,
ma come un nemico da sconfiggere con la competizione politica. Quindi il
modello federalista può essere confermato, per quanto riteniamo che sia più
probabile che l’estinzione dello Stato sia immaginabile se lo Stato sia uno
solo, nel quale concentrare le forze, piuttosto che se siano molti, creando
barriere e resistenze di ogni tipo.
F)
Un altro tema che si può porre è quello di quale
sia, se vi sia, la classe sociale di miglior riferimento della nostra proposta.
Se Marx affidava al “proletariato” le sorti della palingenesi universale, e ad
esempio un Piero Gobetti vedeva nella classe operaia (non meno però nei più
dinamici capitani d’industria) il ceto in atto portatore delle nuove istanze
liberali, noi preferiamo far riferimento, come detto, ai portatori di una
particolare qualità psicologica e culturale, da chiunque posseduta, l’inclinazione
libertaria. Può essere perciò, in base ai dati empirici, che tale qualità sia presente
in diversi ambiti sociali, ma è certo più verosimile che sia più diffusa tra i
ceti colti metropolitani, piuttosto che in quelli analfabeti o rurali. Ma siamo
disposti a ricrederci. Certo che, sul piano strutturale, vanno favoriti tutti
quei processi evolutivi che, attraverso l’automazione, liberino dalla schiavitù
del lavoro salariato, al di là di qualsiasi reazionarismo sindacale: il che
pone il problema epocale della scissione del concetto di reddito da quello di
lavoro. Del che un dittatore libertario non può certo disinteressarsi, dato che
compito suo non è ovviamente quello di tutelare i diritti di proprietà come
storicamente conformatisi, ma di riconoscere che questi non costituiscono
altro, spesso, o almeno ai livelli più alti, privazione della libertà negativa
dei più, come dimostra l’odierna crescente compenetrazione tra articolazioni
dello Stato post-assistenziale con il grande capitale finanziario, energetico,
etc., secondo il modello che abbiamo definito dell’idiocrazia
G)
Un altro tema che viene in evidenza è quello del
tasso di “democraticità” che debba possedere uno Stato nelle mani di una
dittatura libertaria. A nostro avviso, tale dittatura deve essere puramente e
semplicemente implacabile nei confronti degli autoritari, che potranno ben
sì aprir bocca, ma non mai attuare le proprie deliberazioni, che andranno
indefettibilmente represse. Emerge così la questione dei pesi e contrappesi,
propria della tradizione liberale. Se pesi e contrappesi significa che a ogni “peso”
libertario” debba corrispondere un “contrappeso” autoritario, non siamo certo
di questa idea. Pesi e contrappesi hanno senso solo fin quando il governo sia
in mani autoritarie, dimodochè i libertari possano quantomeno difendersi. Ma se
i libertari dovessero andare al potere, nessuno
dovrà fermare o rallentare il loro predominio, perché, a livello
meta-normativo, ognuno potrà certo leggere i libri che vorrà ed esprimere la
propria opinione, ma non certo metterla in pratica, pena l’impedimento dell’impedimento.
H)
A questo punto si dirà che il potere corrompe e
che il potere assoluto corrompe assolutamente. Nulla di più vero. E infatti noi
auspichiamo che al governo materiale libertario si affianchi il dittatore
libertario “metaforico” al quale abbiamo accennato, un movimento di
consapevoli, riconoscenti in sé stessi l’inclinazione libertaria, che fungano
essi sì da contrappeso efficace alle possibili degenerazioni del governo
libertario. Non confidiamo certo che questo contrappeso possa venire dagli
autoritari, se non forse, in qualche occasione, a livello inconsapevole.
I)
Infine, solo un cenno alla questione dell’organizzazione
politica dei libertari, in poche parole all’opportunità di dar vita o no a un
partito libertario autonomo. E’
probabile che un simile partito non potrà mai ambire ad avere i numeri
sufficienti per poter governare una nazione, come dimostrano le vicende dei
radicali in Italia (che hanno dato il meglio di
sé come ostruzionisti o come collettori di proposte popolari,
affiancando e anticipando l’evoluzione del costume) o del libertarian party americano. Abbiamo perciò la sensazione che la strategia
migliore sia quella dell’entrismo nei
partiti maggiori, per conquistarne la leadership.
Naturalmente, questo presuppone che dai libertari sappia emergere una élite particolarmente efficace e
brillante (solo se è tale può pensare di conquistare un grande partito), ma
questa possibilità non è nella nostra disponibilità, quanto piuttosto nella
testa di Giove. Dirà il futuro. Certo, da evitare sono i piagnistei sugli
attentati alla Costituzione e sulla morte del parlamentarismo. Chi oggi
rafforza i poteri dell’esecutivo, se è vero che lo fa, non fa che lavorare per
noi.
Il dittatore libertario appare per molti versi simile alla dittatura del proletariato che, si sosteneva, era necessaria per evitare la ripresa dello sfruttamento. Per te è necessaria per garantire tutti contro gli illiberali. Purtroppo la storia ha mostrato che questa strada non porta né alla fine dello sfruttamento né alla libertà.
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