di Blast
Avevamo pensato di intitolare
questa recensione “Libero sesso, libera droga, al posto di Andreotti vogliamo
Paperoga”, ma forse Persio Tincani non avrebbe gradito. E allora abbiamo
ripiegato sul titolo del suo importante lavoro (Sironi Editore), che smaschera
tutte le truffe pseudo-argomentative dei beceri proibizionisti di tutto il
mondo, che purtroppo tuttora dominano in questa materia.
Semmai si può dire che Tincani è
troppo pessimista (il libro è del 2012, e andrebbe distribuito nelle scuole),
dato che negli ultimi mesi vediamo un fiorire di politiche anti-proibizioniste,
almeno negli Usa, e almeno con riferimento alla cannabis, alla cui parziale
legalizzazione pare non sia contrario lo stesso Obama.
Con il suo tipico stile brillante,
Tincani traccia una magna divisio tra
due concezioni del diritto, quella “liberale”, grosso modo riconducibile a John
Stuart Mill, e quella “paternalistica”. La prima consente di vietare solo le
condotte che danneggiano gli altri, mentre la seconda si preoccupa di vietare
anche i comportamenti che fanno male a sé stessi. La normativa sulla droga è
quindi di taglio paternalistico.
Senonché il paternalismo dei
nostri Stati è schizofrenico e incoerente, perché numerosissimi sono i
comportamenti pericolosi per sé che non vengono sanzionati: dall’alpinismo
(tanti morti all’anno quanti l’eroina, a tacere delle invalidità permanenti)
all’alcol al tabacco e così via.
Infatti, la vera distinzione tra
le droghe non è tanto quella tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, ma tra
droghe legali e droghe illegali, dato che l’alcol è una droga pesante, che
miete innumerevoli vittime (mentre la cannabis nessuna), ma è legale, mentre la
cannabis, che non dà dipendenza ed è leggera (o, come dicevano i radicali e i
re-nudisti una volta, una non-droga), è illegale. E lo sapevate che la nicotina
dà dipendenza in tempi più rapidi della stessa eroina?
E allora, se il paternalismo degli
Stati è incoerente, quale sarebbe la vera ragione della proibizione? Secondo
Tincani, la guerra alla droga, soprattutto negli Usa a partire da Reagan, è
stata fondata su ragioni moralistiche e di controllo sociale. La droga è “il”
male. Ma perché, se all’inizio del secolo il tabacco in molti stati americani
era illegale, mentre l’eroina (che è un antidolorifico dieci volte superiore
alla morfina) si vendeva negli empori? La ragione è di carattere culturale. Ad
esempio, l’LSD era la droga degli hippies. Non potendosi vietare gli hippies,
si vietava la loro droga, e nessuno se ne doleva, dato che gli hippies erano
espressione di una cultura antagonista e portavano pochi voti, mentre le cose
andrebbero diversamente se si vietasse il tabacco.
Tincani avanza perciò, da
anarchico “liberale”, proposte di legalizzazione, ossia sottoporre le droghe
alla stessa disciplina di controllo di qualità prevista per farmaci e prodotti
alimentari. Egli respinge invece l’ipotesi della liberalizzazione, ossia della
riconduzione della materia all’indifferente giuridico. Noi siamo nella sostanza
d’accordo con la sua proposta (sottoporre le droghe a controllo di qualità), ma
temiamo che, insistendo sul concetto di legalizzazione, o peggio, di
regolamentazione, piuttosto che su quello di liberalizzazione, si finisca,
soprattutto in un paese come il nostro, a dare ingresso a forme minuziose di
disciplina che vanno ben al di à di quanto auspicato e accettabile.
Ciò che invece non condividiamo
degli assunti di Tincani è che la legislazione proibizionistica sarebbe
inadeguata sotto il profilo morale, ma non illegittima in quanto tale.
Riteniamo infatti che, ad esempio, la nostra Corte Costituzionale, potrebbe
verificare la legittimità di quella legislazione anche sotto il profilo
sostanziale, sottoponendola, come spesso fa, a controllo intrinseco di adeguatezza.
E riteniamo che il libro di Tincani, con la quantità di considerazioni e dati
che fornisce, ad esempio sui fallimenti della guerra alla droga, sarebbe un’ottima
memoria difensiva in un simile processo.
Nessun commento:
Posta un commento