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martedì 17 febbraio 2015

Perchè l'antiproibizionismo è logico (e morale)


di Blast

Avevamo pensato di intitolare questa recensione “Libero sesso, libera droga, al posto di Andreotti vogliamo Paperoga”, ma forse Persio Tincani non avrebbe gradito. E allora abbiamo ripiegato sul titolo del suo importante lavoro (Sironi Editore), che smaschera tutte le truffe pseudo-argomentative dei beceri proibizionisti di tutto il mondo, che purtroppo tuttora dominano in questa materia.

Semmai si può dire che Tincani è troppo pessimista (il libro è del 2012, e andrebbe distribuito nelle scuole), dato che negli ultimi mesi vediamo un fiorire di politiche anti-proibizioniste, almeno negli Usa, e almeno con riferimento alla cannabis, alla cui parziale legalizzazione pare non sia contrario lo stesso Obama.


Con il suo tipico stile brillante, Tincani traccia una magna divisio tra due concezioni del diritto, quella “liberale”, grosso modo riconducibile a John Stuart Mill, e quella “paternalistica”. La prima consente di vietare solo le condotte che danneggiano gli altri, mentre la seconda si preoccupa di vietare anche i comportamenti che fanno male a sé stessi. La normativa sulla droga è quindi di taglio paternalistico.

Senonché il paternalismo dei nostri Stati è schizofrenico e incoerente, perché numerosissimi sono i comportamenti pericolosi per sé che non vengono sanzionati: dall’alpinismo (tanti morti all’anno quanti l’eroina, a tacere delle invalidità permanenti) all’alcol al tabacco e così via.



Infatti, la vera distinzione tra le droghe non è tanto quella tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, ma tra droghe legali e droghe illegali, dato che l’alcol è una droga pesante, che miete innumerevoli vittime (mentre la cannabis nessuna), ma è legale, mentre la cannabis, che non dà dipendenza ed è leggera (o, come dicevano i radicali e i re-nudisti una volta, una non-droga), è illegale. E lo sapevate che la nicotina dà dipendenza in tempi più rapidi della stessa eroina?

E allora, se il paternalismo degli Stati è incoerente, quale sarebbe la vera ragione della proibizione? Secondo Tincani, la guerra alla droga, soprattutto negli Usa a partire da Reagan, è stata fondata su ragioni moralistiche e di controllo sociale. La droga è “il” male. Ma perché, se all’inizio del secolo il tabacco in molti stati americani era illegale, mentre l’eroina (che è un antidolorifico dieci volte superiore alla morfina) si vendeva negli empori? La ragione è di carattere culturale. Ad esempio, l’LSD era la droga degli hippies. Non potendosi vietare gli hippies, si vietava la loro droga, e nessuno se ne doleva, dato che gli hippies erano espressione di una cultura antagonista e portavano pochi voti, mentre le cose andrebbero diversamente se si vietasse il tabacco.

Tincani avanza perciò, da anarchico “liberale”, proposte di legalizzazione, ossia sottoporre le droghe alla stessa disciplina di controllo di qualità prevista per farmaci e prodotti alimentari. Egli respinge invece l’ipotesi della liberalizzazione, ossia della riconduzione della materia all’indifferente giuridico. Noi siamo nella sostanza d’accordo con la sua proposta (sottoporre le droghe a controllo di qualità), ma temiamo che, insistendo sul concetto di legalizzazione, o peggio, di regolamentazione, piuttosto che su quello di liberalizzazione, si finisca, soprattutto in un paese come il nostro, a dare ingresso a forme minuziose di disciplina che vanno ben al di à di quanto auspicato e accettabile.

Ciò che invece non condividiamo degli assunti di Tincani è che la legislazione proibizionistica sarebbe inadeguata sotto il profilo morale, ma non illegittima in quanto tale. Riteniamo infatti che, ad esempio, la nostra Corte Costituzionale, potrebbe verificare la legittimità di quella legislazione anche sotto il profilo sostanziale, sottoponendola, come spesso fa, a controllo intrinseco di adeguatezza. E riteniamo che il libro di Tincani, con la quantità di considerazioni e dati che fornisce, ad esempio sui fallimenti della guerra alla droga, sarebbe un’ottima memoria difensiva in un simile processo.

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