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martedì 17 febbraio 2015

Economia, Stato, Anarchia

di Fabio Massimo Nicosia


Economia, stato, anarchia (regole, proprietà e produzione fra dominio e libertà, Elèuthera, 2014) di Guido Candela, è un libro importante per tante ragioni, ma quella su cui vogliamo concentrarci è che l’autore, economista, è un anarchico classico che, contrariamente alla più parte dei suoi “correligionari”, prende sul serio il libertarianism e l’anarco-capitalismo.

Peccato però che lo faccia prevalentemente con la versione “statalista” di Robert Nozick, che è un interlocutore costante del volume, anche se Rothbard non viene affatto ignorato, e David Friedman viene almeno citato (il nostro giudizio positivo è minimamente influenzato dal fatto che l’autore ricordi anche il nostro “Dittatore libertario”!).

Dato il taglio che vogliamo dare alla nostra recensione, vediamo allora subito che cosa non funziona nella dottrina di Nozick, nei limiti in cui viene presa in considerazione da Candela.
Anzitutto il concetto di “titolo valido”: secondo Nozick, questo sarebbe il fondamento della proprietà legittima, che lo “Stato minimo” dovrebbe tutelare. Rileviamo però che Nozick non fornisce alcuna teoria dei fondamenti legittimi della proprietà, anzi, irride quelli esistenti, compreso quello lockeano del mix terra-lavoro. E allora? Non solo: Nozick, ammette il lockean proviso, quello per cui è legittimo impossessarsi della terra, solo se se ne lascia agli altri altrettanta e altrettanto buona, ma introduce anche il principio di rettificazione, quello cioè per cui i titoli di proprietà invalidi vanno ricondotti a legittimità.

Quanto dire che il suo “Stato minimo” sarebbe uno Stato estremamente intrusivo, quotidianamente tale, se il suo compito è quello di tutelare i soli titoli validi, più intrusivo di quello del suo antagonista Rawls!

Tornando al libro oggetto di recensione, rileviamo che Candela è il primo anarchico classico italiano a confrontarsi con la tematica anarco-capitalista delle agenzie di protezione. Ma anche qui, prende a confronto solo la versione che ne fornisce Nozick, secondo il quale, a seguito di un processo a mano invisibile, dalla concorrenza tra agenzie si formerebbe una “agenzia dominante” (Stato ultraminimo), la quale, in forza dell’indivisibilità del servizio di protezione, potrebbe imporre tributi agli “indipendenti”, e trasmutare così in “Stato minimo”.

Candela sembra ignorare che gli anarco-capitalisti hanno efficacemente replicato a tale ricostruzione. In particolare, Roy Childs ha opposto che quello descritto è tutt’altro che un processo a mano invisibile, e che si tratta semmai di un pugno di ferro, dato che l’agenzia dominante si fa “Stato” con un colpo di mano.

E’ un peccato che Candela non si confronti anche con questa posizione, perché gli anarco-capitalisti forniscono una visione dell’anarchia che, mantenendo il diritto, sia pure affidato ad agenzie in concorrenza, riesce a fare a meno tanto dello Stato, quanto dell’utopia anarchica classica dell’”uomo nuovo”, alla quale Candela pare ancora affezionato.

Si veda la sua, per altri versi esatta, replica all’affermazione di Sen, in ordine all’impossibilità del liberale paretiano. Secondo Sen (anche Omero qualche volta dorme), è impossibile una soluzione liberale tra chi voglia leggere un libro lascivo (l’impudico) e chi voglia impedirglielo (il pudico), dato che qualunque soluzione sconterebbe uno dei due. Come dire che, un liberale, tra Charlie e jihadisti non saprebbe come scegliere! Ovvio che la situazione prospettata non ha nulla di liberale, e che la preferenza impeditiva va semplicemente impedita. Secondo Candela, il quale pure condivide la nostra critica a Sen, in anarchia il problema non si porrebbe, dato che, in anarchia, nessuno vorrebbe impedire ad altri di leggere il libro che volesse. 

Ecco l’utopia dell’uomo nuovo. Invece noi siamo più pessimisti sulla diffusione di quella che, nel “Dittatore libertario”, abbiamo chiamato l’inclinazione libertaria, sicché, a nostro avviso, si porrà a lungo il problema di impedire agli impedienti di nuocere, e gli anarco-capitalisti hanno fornito una risposta fin qui non confutata: quella di implementare il diritto oggettivo attraverso agenzie di protezione non monopoliste e in concorrenza.

Un altro punto sul quale dissentiamo da Candela è quello, tradizionale, del rifiuto, da parte degli anarchici classici della strada della politica, per influire esclusivamente sull’opinione pubblica, quale strategia per il mutamento.

Da radicali, abbiamo molto da dire su questo argomento. Prendiamo alcune battaglie storiche dei radicali, e distinguiamole per tipologie: a) divorzio e aborto; b) liberazione sessuale (omosessualità) e droghe; c) manicomi e carceri. Quanto al punto a), notiamo che si tratta di battaglie radicate nell’evoluzione del costume, sulla base della quale le lotte radicali hanno determinato mutamenti di diritto positivo; quanto al punto b), notiamo che si tratta di battaglie anzitutto volte a modificare l’opinione pubblica, ma che non possono che sfociare in riforme di diritto positivo, per risultare al fine efficaci; Quanto al punto c), notiamo che si tratta in buona parte di battaglie svolte e da svolgere contro l’opinione pubblica, che auspichiamo possa evolversi, ma che non pensiamo debba imporsi alla proposta libertaria, pur quando questa sia contraria all’opinione prevalente (ratio della proposta di dittatura libertaria).

Del resto, se i radicali, oggi assenti dal parlamento, vogliono visitare le carceri senza farsi preannunciare, devono andare accompagnati da… Roberto Giachetti, con tutto il rispetto. Quindi vediamo che una presenza istituzionale può ben essere utile. Pensiamo se i radicali o i libertari fossero titolari del dicastero della giustizia! Si dirà che il potere corrompe, e altrettanto accadrebbe al dittatore libertario. Notiamo però che anche essere a capo di un movimento di opinione pubblica può corrompere, come è accaduto a tanti leaders sessantottini. Quindi non v’è alcuna garanzia, da questo punto di vista, se non nella verifica costante della buona fede personale delle élites da parte di un movimento di consapevoli.

In definitiva, se si vuole mantenere la prospettiva di una società futura senza Stato, occorre capire quale sia la strategia migliore. Allo stato delle cose, non diremmo che tale strategia sia da affidarsi alla costruzione di un improbabile uomo nuovo, quanto alla costruzione di un diritto positivo coerente. E ciò a parte la considerazione che, più dell’uomo nuovo, molto potrà fare la tecnologia, quando consentirà la “presa nel mucchio”, rendendo superflua l’idea stessa di politica politicante, con la sola grave eccezione della politica estera, conseguente alla divisione del mondo in Stati nazionali. Hard problem, la difesa, diceva David Friedman, e allora pare difficilmente contestabile che il deperimento del potere interno sia in buona parte legato a una prospettiva più generale di federalismo mondiale: e in questo gli anarchici classici, da Proudhon a Bakunin, ci tornano utili, almeno quanto il Kant della “pace perpetua”.

 P.S. Successivamente alla pubblicazione di questo articolo, c'è stato uno scambio di corrispondenza tra il prof. Candela e il sottoscritto. In tale circostanza, Candela ha sostenuto quanto segue: "Solo una società in cui predomina l’altruismo, la solidarietà e la fratellanza conferisce ad ogni forma di anarchia quelle proprietà che le consentono di non essere dominata, in efficienza, da altri sistemi sociali che presuppongono lo Stato". Al che ho però ribattuto: "ciò non comporta ancora una critica dell'anarco-capitalismo, dato che questo è un meta-ordinamento che consente il dispiegamento di qualsiasi "tipo" di preferenza non impeditiva. Di modo che il diffondersi pieno delle preferenze altruistiche è perfettamente compatibile con un ordinamento giuridico fondato sulla meta-norma dell'assioma di non aggressione rothbardiano. 

In altri termini, l'anarco-capitalismo non prescrive affatto che si "debba" essere egoistici, e contempla l'altruismo come possibilità. Altro è essere pessimisti sul fatto che ciò si verifichi, ma altrettanto allora varrebbe per l'ipotesi anarco-comunista, che non fornisce alcuna garanzia, al livello istituzionale, perché le persone siano effettivamente altruiste.


Diciamo che l'anarco-capitalismo ha in ciò una marcia in più, perché ammette sia l'ipotesi che le persone siano egoiste (e valgono le restrizioni di second best evidenziate dal prof. Candela), sia l'ipotesi che le persone evolvano in altruiste. Mentre l'anarco-comunismo può vivere solo in questa seconda ipotesi, in cui all'utopia del first best si può proporre come alternativa solo la guerra di tutti contro tutti (mancando come second best la teoria del mercato come strumento, pur non perfettamente "efficiente" o satisfattivo, di decisione collettiva)"

3 commenti:

  1. E il denaro? Ci sarà nella società anarcho_capitalista ?

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    1. Per l'anarco-capitalismo il conio è libero e, come tutte le forme di produzione in un libero mercato, deve ottenere il consenso dei consumatori. Altro discorso è se la moneta dovrà esistere per sempre. Noi pensiamo di no, perchè la moneta è comunque un "costo di transazione" (basti pensare ai cambia valute), un attrito imposto agli scambi. Ma per poter fare a meno del denaro, occorre che la produzione abbia raggiunto un tale sviluppo di abbondanza da consentire la presa diretta nel mucchio, ovvero che si possano scambiare servizi gratuitamente alla pari nell'ambito di una rete di relazioni, virtuale o materiale.

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