Capita sovente che Marco Pannella
sia attraversato da intuizioni fulminanti, che meritano poi di essere
sviscerate in tutte le loro potenzialità e implicazioni. L’ultima di queste è
quella della proposta di previsione a livello internazionale di un “diritto
umano alla conoscenza”, come caposaldo di una rinnovata teorica dello stato di
diritto o rule of law.
Perché questa proposta è importante,
a nostro avviso? Perché il diritto alla conoscenza sugli atti del pubblico
potere si lega strettamente alla previsione del loro sindacato di legittimità
dal punto di vista del diritto, essendo ovvio che se questi non sono noti, non
possono essere nemmeno giudicati in quanto legittimi o illegittimi.
Si pensi che per il maggior
teorico moderno dello stato di diritto, Hans Kelsen, non v’è atto dello Stato
che sia immaginabile se non giuridificato, al che si contrapponeva la visione
del rivale Carl Schmitt, secondo il quale la politica ha sempre la meglio sul
diritto: Schmitt aveva dalla sua il realismo, ma non era certo un teorico
liberale!
Il problema è dunque quello dei
cosiddetti “arcana imperii”: possono essere questi sottoposti a trasparenza e,
così (esito utile del principio di trasparenza e conoscenza) sottoposti a
sindacato di legittimità?
Ovvio che se tutti gli atti del
potere fossero giuridificati, come voleva Kelsen, il potere semplicemente
andrebbe incontro a un graduale processo di deperimento: come diceva lo stesso
Pannella negli anni ’70, il diritto come strumento di deperimento del potere.
Facciamo un esempio banale: il
patto del Nazareno. Nessuno sa esattamente che cosa contenga o contenesse. E
allora i grillini che cosa hanno pensato di fare? Hanno denunciato Renzi e
Berlusconi per non si sa quale reato, al fine di “conoscere” il contenuto di
quel patto. Il fatto è che gli accordi politici sono sottratti a qualunque
verifica di legittimità, ma ciò non deve indurre a pensare che il rafforzamento
dei checks and balances debba andare
a vantaggio… dei pubblici ministeri! Si tratta quindi di introdurre meccanismi
costituzionali e amministrativi di conoscenza, che non siano un rimedio
peggiore del male.
La questione, come è evidente,
assume maggiore rilievo a livello di politica estera e internazionale, al
conseguente ruolo dei servizi segreti, basti pensare al peso storicamente
accresciuto del Presidente USA, con progressivo accentramento del potere in
quello Stato, in conseguenza dell’acquisto del crescente ruolo di potenza di
quel Paese. Persino la guerra è sottoposta a un diritto bellico, per quanto
questo non basti a evitare le guerre.
E allora il rimedio, almeno
parziale e in prospettiva, non può che essere quello del federalismo kantiano della
“pace perpetua”, accompagnato, si direbbe, da un federalismo verso il basso,
per evitare che il solo federalismo verso l’alto finisca con l’accentrare
ulteriormente quel potere che la dottrina liberale vorrebbe separare e
controllare.
Per concludere, sia consentito un
riferimento personale. Come avvocato, proposi anni addietro una causa
collettiva contro il presidente del consiglio Romano Prodi, per aver violato le
proprie promesse elettorali, che escludevano aumenti di tassazione,
introducendo viceversa la nota “tassa per l’Europa”. Il giudice mi convocò per
comunicarmi che avrebbe deliberatamente violato il codice di procedura civile, rifiutando
di convocare la controparte, ritenendo platealmente infondata l’azione.
Ne scaturì infatti
un’”importante” ordinanza, secondo la quale i cittadini, nei confronti della
politica, non possiedono né diritti soggettivi, né interessi legittimi. Sicché,
se ne ricava, la politica sarebbe legibus soluta, in dispregio di ogni teoria
di stato di diritto e rule of law.
Quale proposta ne può derivare,
sempre in una prospettiva di deperimento del potere arbitrario e di preminenza
del diritto? Ad esempio quella di rendere giuridicamente obbligatori i
programmi elettorali: i candidati al governo sarebbero costretti a prevedere
solo proposte concretamente fattibili, sicché all’inadempimento corrisponda la
citazione in giudizio e l’assunzione di responsabilità.
In fondo, un’elezione non è altro
che una gara d’asta tra partiti, con un aggiudicatario miglior offerente. Ma
nessuno accetterebbe che il concorrente a una gara proponesse progetti od
offerte del tutto inverosimili: tant’è che esiste l’istituto dell’esclusione
dalla gara delle offerte anomale…
pubblicato con altro titolo ne "Il Garantista" del 19 febbraio 2015
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