-->

giovedì 29 gennaio 2015

L'ultimo libro di Naomi Klein, l'inquinamento e il liberismo immaginario


di Blast

L’ultimo volumone di Naomi Klein e delle sue decine di collaboratori (Una rivoluzione ci salverà – Perché il capitalismo non è sostenibile, Rizzoli, 2015) è certamente un lavoro molto utile. E’ pieno zeppo di informazioni sull’attuale stato del Pianeta, tra effetto serra ed emissioni CO2, sulla compromissione di molti movimenti verdi o finto tali, sulla violazione dei diritti dei nativi americani e canadesi da parte di compagnie petrolifere e carbonifere, e così via. Peccato che sia ideologicamente malfondato.

Come è facile immaginare, la Klein non fa altro che prendersela col mercato, con l’ideologia liberista, quando ella stessa ci fornisce queste informazioni: “le compagnie dei combustibili fossili ricevono da 775 miliardi a un trilione di dollari in sovvenzioni annuali globali, ma non sborsano un centesimo per il privilegio di trattare la nostra comune atmosfera come una discarica gratuita” (pag. 103). Però si tratterebbe del “più grande disastro di mercato che il mondo abbia mai visto” (ivi).

E ancora: “Secondo alcune stime, l’esercito degli Stati Uniti è il più grande singolo consumatore di petrolio del mondo: nel 2011, il dipartimento della Difesa ha scaricato nell’atmosfera, come minimo, l’equivalente di 56,6 milioni di tonnellate di CO2, più delle operazioni combinate dalla ExxonMobil e della Shell negli Stati Uniti” (pag. 160-161).  Ancora una volta, il mercato non c’entra nulla.

E poi: “Le grandi compagnie petrolifere pubbliche (dalla Petrobras brasiliana alla Statoil norvegese alla PetroChina) cercano i giacimenti di carbone ad alto rischio con la stessa avidità delle società private… il fatto che lo Stato sia il loro azionista di maggioranza ha un effetto fortemente corruttore…” (pag. 184).

E insomma, il volume è costellato di affermazioni del genere, e tuttavia l’autrice continua a dare la colpa dell’inquinamento al mercato, e invoca a rimedio l’intervento di quello Stato che è invece il maggiore responsabile dell’inquinamento.

Con ciò non si intende certo assolvere le grandi compagnie private sfruttatrici del suolo e dell’aria, ma intendiamo sottolineare che, senza il supporto statuale, queste ben poco potrebbero. Quanto al fatto che l'intervento dello Stato rappresenterebbe il rimedio all’inquinamento, basti dire che quest’ultimo è ben sì un male pubblico, ma ad… appropriazione individuale: quindi è sul fronte dell’iniziativa giudiziaria civile e comunitaria (come hanno fatto i nativi canadesi, conseguendo importanti successi) che occorre intervenire, più che non invocando lo Stato bue a dare del cornuto all’asino…

Certo è che di fronte ai libertari si propone l’importante sfida di meglio affinare i propri criteri di analisi in materia di ambiente, essendo urgente sottrarsi all’egemonia statalista in tale fondamentale questione.

giovedì 22 gennaio 2015

Perchè siamo veramente Charlie

Da tempo avevamo deciso di utilizzare nel logo di questo sito il simbolo della Marianna, antico simbolo radicale, accompagnato dalla “A” anarchica. Ora tutti sanno, dopo i tragici fatti parigini, che la Marianna è il simbolo della Repubblica Francese, e quindi siamo divenuti anche di attualità. I soliti pignoli diranno che la Marianna è giacobina, quindi poco anarchica. A costoro rispondiamo che tra i club giacobini ve ne erano di libertari, di anti-statalisti, di anti-militaristi e di anti-polizieschi: la cosiddetta “sinistra radicale”, come ricorda il Cole, ed è a questa che ci rifacciamo.



Ma torniamo a Charlie. A differenza di molti, noi siamo veramente Charlie, perché i massacrati erano della nostra parrocchia! Trasgressivi, di una dissacrazione fine a sé stessa (il che già non è poco), divenuti martiri della libertà di noi tutti, che a quanto pare stanno dando fastidio ancora a molti, laici e religiosi. E sia consentito un omaggio particolare a Wolinski, compagno di letture giovanili di alcuni tra i più vecchi di noi.

Martiri della libertà, si diceva. Tra tante chiacchiere fluite dopo gli eventi, speriamo allora che si levi qualche voce per l’abolizione dei reati di opinione, e che siano invece poche quelli che auspichino nuovi Patriot Acts, dopo i guasti che l’originale ha portato nella cultura giuridica degli Stati Uniti.

Ci sia consentita un’ultima considerazione. Gli ultimi eventi, e in generale la questione della libertà di espressione e ai conflitti interreligiosi, dimostrano l’inadeguatezza delle chiavi di lettura di tipo economicistico e marxistico, restituendo centralità e primazia all’approccio libertario e dei diritti civili. E anche di questo insegnamento occorre fare tesoro.