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sabato 5 dicembre 2015

Lo Stato si privatizza per essere efficiente, ma i cittadini disdicono il contratto e si estingue

di Fabio Massimo Nicosia

L’amico Gian Piero de Bellis, in questi giorni ha fornito importanti elementi di riflessione, sulla base della sua attenta ricerca, fuori dai luoghi comuni, su Karl Marx e Adam Smith, evidenziando tanto come il primo fosse animato da intenti profondamente critici nei confronti dell’istituzione Stato, quanto come il secondo non avesse alcun timore riverenziale, allorché metteva in evidenza quanto il celebrato capitalismo sia stato in gran parte del suo sviluppo sostanzialmente parassitario nei confronti dello Stato stesso, rivelandosi un mercantilismo protezionistico e imperialista, piuttosto che il baluardo acritico del libero mercato, che si è sempre cercato di far credere da parte degli apologeti acritici che ne hanno usurpato il nome (penso ad esempio all’Adam Smith Society dell’avv. Alessandro de Nicola).

mercoledì 2 dicembre 2015

La realizzazione di mercato delle opere pubbliche

di Fabio Massimo Nicosia

Una delle giustificazioni dello Stato contemporaneo è che lo

stesso sarebbe indispensabile per la realizzazione dei beni 

pubblici, dato il presunto fallimento del mercato in questo 

campo: the public good argument for the State.

venerdì 27 novembre 2015

Il calcio come metafora delle relazioni umane


di Fabio Massimo Nicosia
(uno scritto di qualche anno fa)

Il mondo del gioco del calcio è un ordinamento giuridico completo, con tanto di giurisprudenza (gli orientamenti arbitrali), di dottrina (le discussioni sui mass-media a fine partita, che verificano pubblicamente la fondatezza delle scelte giurisprudenziali), e ovviamente di mercato. Poi si discute del “ruolo dell’arbitro”, sicché la conversazione si fa di filosofia politica: del resto, i bambini giocano da sempre a pallone senza bisogno di fischietti e guardalinee: ricoprono quei ruoli direttamente essi stessi, i piccoli giocatori, gridando: “fallo”, “rigore”, e di solito non ci sono grandi obiezioni.

mercoledì 11 novembre 2015

La teoria monetaria anarchica di Friedrich von Hayek

di Fabio Massimo Nicosia

Friedrich August von Hayek è dai più considerato un liberale, liberista e conservatore, noto soprattutto come presunto ispiratore di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Naturalmente nessuno dei due era “hayekiano” in alcun modo, tuttavia si sa che le etichette che impongono i mass-media sono quelle che resistono di più; e, del resto, i politici hanno bisogno di farsi belli, dando mostra che i loro “spin doctor” hanno pur letto la quarta di copertina di qualche libro.

La verità è invece che Hayek, contraltare storico di Keynes, è stato l’ultimo grande esponente della scuola austriaca di economia nata con Menger, la quale ha avuto tra i propri primi grandi estimatori, non per caso, Francesco Saverio Merlino, che individuava in essa nientedimeno che i fondamenti di una possibile teoria del valore socialista-libertaria, da contrapporre all’antico valore-lavoro, recepito poco criticamente da Marx.

domenica 8 novembre 2015

Il Legislatore Originario (2° Quaderno)

di Fabio Massimo Nicosia

Proseguiamo con la pubblicazione del secondo quaderno 1996-1998, già pubblicato, anche questo, dal sito della Fondazione De Ferrari con il titolo Il Legislatore Originario.

Schmitt vs. Kant. Secondo Schmitt l’occupazione di terra, l’atto fondativo, non una costruzione logica, ma un grande evento storico (Nomos della terra). Il Legislatore Originario (L.O.) è certamente simbolico. È esso un individuo, o rappresenta un concetto collettivo? E’ entrambe le cose. “Individuo” coglie il singolo come protagonista, con le sue specifiche azioni.

venerdì 6 novembre 2015

Il Legislatore Originario (1° Quaderno)

di Fabio Massimo Nicosia

Questo è il primo quaderno, tra tanti, di appunti di Fabio Massimo Nicosia, risalenti al periodo  1996-1998, già pubblicato, insieme al secondo, sul sito della "Fondazione De Ferrari".

La presentazione del sito così li introduce: "I quaderni inediti che cominciamo a pubblicare, risalenti al periodo 1996-1998, più che da semplici abbozzi annotazioni o frammenti sono costituiti da una trama coerente riconducibile a un lavoro che avrebbe potuto chiamarsi Il legislatore originario. Vanno oltretutto considerati come la necessaria premessa dei suoi lavori successivi". 

mercoledì 4 novembre 2015

I frutti malati della follia "legalizzatrice"

di Fabio Massimo Nicosia


Val la pena di prendere spunto dagli "argomenti" portati di recente a sostegno della proposta di abolizione del contante, per sviluppare ulteriori considerazioni.

Alcuni radicali sono stati mentalmente corrotti dalla fissazione che "tutto deve essere legalizzato".

Ora, premesso che il cosiddetto principio di legalità liberale comporta che la costituzione e la legge imbriglino il potere, sia pure riuscendoci poco, e non il cittadino, che invece è imbrigliato dalla selva normativa inestricabile, dire che una cosa è "legale" può significare due cose molto diverse: 

Appunto, contro le tasse


di Fabio Massimo Nicosia

A partire dalla discussione al congresso radicale sulla delirante (non tanto in sé come concetto, intendiamoci, ma per le "argomentazioni" recate a supporto) mozione sull'"abolizione del contante", fortunatamente respinta a stragrande maggioranza, occorre considerare che, probabilmente, la principale delle ragioni poste a fondamento della richiesta di abolizione del contante è quella della cosiddetta "lotta all'evasione fiscale".

lunedì 2 novembre 2015

Market-communism: humour version

di Fabio Massimo Nicosia

Con questo scritto vogliamo provare a illustrare la nostra ormai antica proposta di comunismo di mercato, detto anche, per anglofoni e anglofili, market-communism.

Il fondamento è geo-comunista, ossia che la Terra sia proprietà comune di tutti gli esseri umani. Tale affermazione ha ancoraggio di diritto positivo, ove si consideri che, per il diritto spaziale vigente, che è branca di diritto internazionale, e quindi diritto di trattati, l’universo tutto è patrimonio comune dell’umanità: naturalmente i trattati parlano di “spazio”, ma perché porre limiti, quando le norme non li prevedono?

domenica 18 ottobre 2015

L'opinione di un Libertarian ("Il quadrato di Nicosia")

di Fabio Massimo Nicosia

Questo purtroppo lungo intervento fu pubblicato sul numero 257, ottobre 1999, di A - Rivista Anarchica con l'anòdino titolo "L'opinione di un libertarian", e segnò l'"ufficializzazione" del distacco dell'autore dall'ambiente anarco-capitalista di allora, sulla base di una critica agli orientamenti in voga in quel momento in quel movimento.
Si segnala in particolare la descrizione critica di un modello analitico, che successivamente fu definito ironicamente "Il quadrato di Nicosia".


Come i lettori di questa rivista sanno, opera da alcuni anni nel nostro Paese un piccolo movimento "anarco-capitalista". Dopo l'isolata meteora della rivista Claustrofobia (cinque numeri usciti alla fine degli anni '70, frutto dell'opera solitaria di Riccardo La Conca), attorno alla metà degli anni '90 ha incominciato a formarsi un gruppo di giovani intellettuali di diversa provenienza (ognuno la sua), che dichiarava di rifarsi al pensiero libertarian americano, e in particolare a quello del suo più sistematico interprete, l'economista e altro Murray Newton Rothbard.

venerdì 25 settembre 2015

Ma gli anarchici devono essere liberisti?

Con questo titolo è stata pubblicata sul numero 401, ottobre 2015, una lettera di Fabio Massimo Nicosia. Le ultime tre righe, contenute nell'originale, non sono state pubblicate nella Rivista.

Cari compagni, scrivo per esprimere un’insoddisfazione, che mi coglie ogni qualvolta il nostro giornale parla di temi economici.
Mi pare infatti che faccia difetto una critica anarchica dell’economia dominante, e che si esprimano sempre posizioni subalterne rispetto a quelle della sinistra statalista.
Mi riferisco in particolare alla polemica nei confronti del cosiddetto “neo-liberismo”.

giovedì 24 settembre 2015

Il “diritto soggettivo” come privilegio tra concessione ed espropriazione


di Fabio Massimo Nicosia

Nella nostra realtà c’è sempre qualcuno che rivendica vecchi e nuovi “diritti”: civili, sociali, pubblici, privati, di "cittadinanza".
La cosa è ben fatta, perché più diritti ci sono meglio è, senza andare tanto per il sottile, a condizione che ci si sforzi di rispettare il criteri di restrizione dell’universalizzazione; e ciò anche se si direbbe che, mentre alcuni “diritti” limitano l’invadenza dello Stato, altri, per come vengono attualmente configurati, l’incrementano, sicché, con riferimento a tale seconda ipotesi, si richiederebbe la riformulazione dell’approccio. In ogni caso, più diritti si pretendono, più si accresce il tasso di caoticità, quindi si tratta di cosa buona e giusta nella direzione dell’implosione del sistema.
Tuttavia, tali considerazioni di carattere estremamente pratico non possono impedirci di vedere i “diritti” per quello che sono in realtà e in termini di teoria generale: dei “privilegi”.

domenica 13 settembre 2015

Valore-lavoro, costo come limite del prezzo, concorrenza e proprietà calata nel mercato

di Fabio Massimo Nicosia

Occorre muovere dalla considerazione che il valore-lavoro ricardiano e marxiano  in realtà non sfugge alla legge della domanda e dell’offerta, dato che se uno produce un dato bene con il proprio lavoro è perché presuppone che vi sia una domanda al riguardo, diversamente non lo produrrebbe (così interpretiamo la tesi a suo tempo espressa da Adolphe Landry).
Nessuno produce un bene, affrontandone dunque i costi, se nessuno desidera quel bene, a meno che non si tratti di un’ipotesi di autoconsumo, e quindi il valore è comunque sempre determinato dall’apprezzamento soggettivo, dall’utilità di chi si presume vorrà acquistarlo.

giovedì 6 agosto 2015

Questione greca e monopolio finanziario

di Fabio Massimo Nicosia

La vicenda greca suggerisce alcune riflessioni. La prima è che le istituzioni europee e la Troika trattano la Grecia come una holding tratta una sua controllata, e valuta se dismetterla o riposizionarla, ridimensionata, in qualche modo sul mercato.

Succede tuttavia che la Grecia è titolare di assets non rimuovibili, i beni demaniali e immobiliari anzitutto, sicché la sua liquidazione trova ostacoli superabili solo trasferendo la titolarità di quei beni, ovvero il loro impegno in garanzia dei supposti crediti, in una nuova forma di “schiavitù per debiti”, sicché il popolo greco si vede sottratti –questa è l’intenzione- quei beni formidabili di cui è titolare.

Lungi da noi fare l’apologia di alcun “sovranismo”. 

Qui la questione è diversa, assistiamo cioè a uno scontro tra, da una parte, l’idiocrazia, ossia il dominio dei grandi “privati” che presiedono al mondo finanziario e monetario, oltre che a molto del resto, e, dall’altra parte, il territorio sul quale il popolo vive nella sua concretezza materiale.

domenica 2 agosto 2015

Addio Monti (come si vede, non si parla della Bonino)



di Fabio Massimo Nicosia

E’ facile constatare che la “società radicale” della quale Gianni Baget Bozzo parlava quarant’anni fa è più viva che mai.
Nonostante l’alimentata popolarità di Papa Francesco, nessuno dubita che la nostra cultura sia ormai pressoché interamente secolarizzata, dato che quella popolarità riguarda più forse le questioni di carattere socio-economico –posizioni che peraltro non richiedono assunzioni dirette di responsabilità, e che quindi costano molto poco a chi le assume- piuttosto che etico-religioso.
Tutti sanno che questa secolarizzazione è iniziata, da noi buoni ultimi, negli anni ’60, con la rivoluzione sessuale e dei costumi, che ha attraversato il ’68, per prendere nuova forma, dopo gli anni ’70 delle riforme sui diritti civili (divorzio e aborto), attraverso lo spezzare del pane quotidiano della fica televisiva berlusconiana e di massa (e non solo berlusconiana –facciamo finta-: si pensi a “Colpo Grosso” con Umberto Smaila, andato in onda con grande successo dagli studi di un circuito minore) a partire dagli anni ‘80.

venerdì 10 luglio 2015

La storia come lotta di potere: inattualità di Marx

di Fabio Massimo Nicosia


Mentre Tocqueville descriveva l’open society U.S.A., la sua democrazia partecipata, il suo libero commercio e le sue solide istituzioni, Marx preconizzava l’imminente crollo del capitalismo, generalizzando arbitrariamente alcune osservazioni parziali, dedicando agli U.S.A. (che invece suscitavano l’entusiasmo di Bakunin) solo qualche sporadico cenno.
Com’è noto, il “Manifesto” comunista muoveva dall’affermazione che la storia sarebbe sempre “lotta di classe”. Ora, l’affermazione può essere o no valida, a seconda del concetto di “classe” che si accolga. Probabilmente, seguendo i principi dell’individualismo metodologico, occorrerebbe arrivare alla conclusione che le classi sono infinite, essendo infinite le pulsioni individuali e gli interessi, sicché “lotta di classe” non significherebbe altro che dinamica sociale, destinata a risolversi in un sistema di mercato, nel quale ognuno facesse valere quelle pulsioni e quegli interessi nei confronti degli altri.

lunedì 29 giugno 2015

Del matrimonio egualitario

di Fabio Massimo Nicosia

La sentenza della  Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che ha reso giuridicamente operante su tutto il territorio federale il matrimonio tra persone dello stesso genere, merita di essere salutata come una conquista di portata storica, che solo gli svagati possono sottovalutare.
Non sfuggirà a nessuno che i finocchi si chiama(va)no così perché Sacra Romana Chiesa, e non solo, ardeva vivi gli omosessuali sui roghi, legandoli appunto a fascine di finocchio, o almeno così alcuni sostengono.

domenica 28 giugno 2015

Qualche spunto sull'illegalismo nonviolento

di Fabio Massimo Nicosia

Come è noto, i radicali italiani praticano da sempre quella che si chiama la disobbedienza civile. Le radici di questo approccio, di questo metodo di lotta politica, vanno probabilmente ravvisate nell’omonimo saggio di Henry David Thoreau, il quale, mentre sperimentava la propria utopia individualista nei boschi di Walden, si rifiutò di pagare una tassa militarista in quanto ingiusta e si ritrovò in guardina, almeno sin quando i suoi parenti non finirono con il pagare la tassa per lui. Interessante questa matrice anti-tributaria della disobbedienza civile, ma tutti sanno anche che Gandhi

Il "comunismo libertario" di Luigi Galleani

di Fabio Massimo Nicosia

Luigi Galleani nacque a Vercelli nel 1861 e morì ad Aulla nel 1931. La sua è stata una vita tumultuosa, al pari di quella di molti anarchici della sua epoca. Divenuto anarchico sin dai tempi dell’università, trovò riparo per sfuggire ai procedimenti giudiziari in Francia, dove visse dal 1880 al 1900. Espulso dalla Francia per avere partecipato a una manifestazione di protesta, riparò in Svizzera, dove frequentò il grande Elisée Reclus. Sempre per il suo attivismo, fu espulso anche dalla Svizzera, e tornò in Italia, dove fu arrestato e mandato al confino a Pantelleria nel 1895, e da cui riuscì a fuggire nel 1900, trasferendosi in Egitto.

Luigi Fabbri tra comunismo anarchico e libera sperimentazione



di Pietro Adamo

In genere si usa la locuzione "crisi dell’anarchismo" per indicare da un lato il processo di marginalizzazione politica delle istanze anarchiche che ha avuto luogo, con tempi e modalità diverse, nei primi decenni del secolo in Italia, Francia, Stati Uniti, Spagna, e così via, e dall’altro i tentativi di ripensare - di "revisionare", si diceva all’epoca - i capisaldi del pensiero anarchico nello sforzo di restituirgli pregnanza e capacità di incidere sulla vita politica e intellettuale. Alcuni di questi "revisionismi" giungevano, sull’onda del successo bolscevico o sulla spinta dello scetticismo nei progetti di rivoluzione popolare, sino alla proposta di adottare metodi e fini autoritari.

sabato 20 giugno 2015

Rom: abbiamo fondato la nostra casa su nulla

di Luca Garjan Maimone

E’ necessaria anzitutto qualche osservazione preliminare sul falso problema della cosiddetta “emergenza Rom”, che i media stanno tanto enfatizzando e su cui vampirescamente favoleggia il signor “Sottovuoto Spinto” Matteo Salvini, come lo ha recentemente ben definito Michele De Lucia nel suo ultimo libro, dedicato proprio al leader della Lega.

Che l’emergenza Rom sia una bufala montata ad arte per spaventare parte dell’opinione pubblica già impaurita e incattivita, risulta evidente appena si ricorre al raziocinio ed ai dati demografici: infatti la popolazione Rom (suddivisa in Rom e Sinti) consta in Italia di 180.000 persone, lo 0,25 della popolazione nazionale, una delle percentuali più basse d’Europa; di cui oltre il 60% vive in abitazioni fisse e solo la parte restante vive nei cosiddetti “campi nomadi”, attrezzati o abusivi. Questa dei campi nomadi, locuzione che esprime una fortissima contradictio in adiecto, è d’altronde un’anomalia tutta italiana.

venerdì 12 giugno 2015

Marco Pannella ha sbagliato religione

di Fabio Massimo Nicosia

Come è noto, viene discussa, e non di rado è motivo di ironia anche tra i radicali, la supposta conversione cattolica di Pannella, o quantomeno la sua cotta per Papa Francesco.

Ora, bisogna partire dalla premessa che Pannella è un uomo politico che vive di politica, quindi i suoi atti andrebbero sempre letti in chiave politica. Però, per un personaggio che ha sempre fatto suo e praticato il motto “il personale è politico”, possiamo fare eccezione, e prendere sul serio quanto Pannella va dicendo in materia di Chiesa e religione.

venerdì 5 giugno 2015

Antistatalisti e di sinistra

di Fabio Massimo Nicosia

Ogni tanto si discute ancora su che cosa sia di destra e che cosa sia di sinistra, e se abbia senso ancora una tale distinzione. Trattandosi di parole, il loro significato va ricostruito storicamente e nella verifica empirica dell’oggi. Salvo errore, i termini “destra” e “sinistra” nascono con la Rivoluzione Francese, per rispecchiare le collocazioni parlamentari dei diversi schieramenti. Sicché noi possiamo dire, con Murray N. Rothbard, che a destra si situavano gli statalisti dell’ancien régime, mentre a sinistra si collocavano i liberali rivoluzionari che si contrapponevano loro.

giovedì 21 maggio 2015

La natura giuridica dello Stato, oggi

di Fabio Massimo Nicosia

Per parlare della natura giuridica dello Stato oggi, occorre prendere le mosse dalla definizione di derivazione weberiana, secondo la quale lo Stato sarebbe l’organizzazione burocratica del monopolio della forza su un dato territorio. Senonché la forza è risorsa intrinsecamente non monopolizzabile, in altri termini, lo Stato non è un monopolio naturale. La forza è risorsa naturale a disposizione di chiunque, di tutti e di ognuno, si tratta di risorsa e pre-risorsa pandespota, diffusa e inescludibile, da qui la dottrina delle istituzioni di Santi Romano, ma anche quella del diritto come scambio di pretese individuali di Bruno Leoni. Sicché può parlarsi al più di rivendicazione del relativo monopolio, o, più esattamente del monopolio delle qualificazioni giuridiche in termini di legittimità sull’uso e sull’organizzazione della forza.





martedì 12 maggio 2015

Il prosumerismo per la liberazione del consumatore

di Federico Tortorelli
 
 
I consumi produttivi sono tutte quelle attività in cui il Consumatore (nel momento in cui agisce in quanto consumatore) produce consapevolmente o inconsapevolmente valori economici misurabili e importanti.
I Consumatori, la maggiore risorsa di ciascuna azienda, stanno diventando sempre più ‟produttori” di valori, non solo ‟denaro”, ma: qualità, informazioni, merci, contenuti, materiali, servizi, idee, suggerimenti utili, innovazioni e investimenti.
Il ‟consumo produttivo” ha assunto diverse forme, tra cui alcune sono: 

domenica 10 maggio 2015

Se anche il fascismo fosse per l'estinzione dello Stato (la transizione al comunismo)


Fabio Massimo Nicosia

Il Fascismo ha dovuto affrontare il problema di Otto Neurath, ossia ristrutturare la nave nel corso della navigazione in mare aperto. Vale a dire darsi una teoria compiuta in corso d’opera, non sussistendo una dottrina fascista che fosse tale alle origini del movimento.

Come tutti sanno, nel 1919, a piazza San Sepolcro fu stilato un programma per dir così radical-socialista, sia pure con una particolare attenzione per i reduci e i mutilati di guerra. E anche politicamente i “fasci” si collocavano nel centro-sinistra, propugnando alleanze coi riformisti di Turati.

Poi, fino al 1922, sono successe molte cose, tra cui un biennio rosso che vide Mussolini tutto sommato simpatizzante, almeno fino alla nascita del PCd’I a Livorno nel 21.

giovedì 7 maggio 2015

Beni demaniali, beni immateriali dello Stato, rendita di esistenza e groundstandard

                di Fabio Massimo Nicosia


Occorre muovere da un apparente assioma: la Terra è originariamente di tutti e non di nessuno, è res communis e non res nullius. Perché si tratta di un assioma solo apparente? Perché in realtà si tratta del corollario di un ragionamento articolato.

domenica 3 maggio 2015

L'idiocrazia

di Fabio Massimo Nicosia

Partiamo da una premessa. A nostro avviso, non coglie nel segno la diffusa polemica ostile al mercato, svolta da certi “anticapitalisti” , che agitano in proposito l’usurata formula del “neo-liberismo” o del“liberismo selvaggio”. E’ infatti banale, ma non superfluo, ribadire che il “capitalismo” che conosciamo –e non certo da oggi - ha ben poco a che fare con il modello del mercato imperturbato, e che oggi, il “selvaggio” è tutt’altro che un liberismo sano. Si tratta infatti di un fenomeno in gran parte fiorito all’ombra dello Stato o degli organismi internazionali superstatuali -sicchè, se i no-global attaccano tali organismi, essi fanno inconsapevolmente una battaglia liberista-. alla cui incessante azione, di regolazione o di intervento diretto, si devono gran parte degli arricchimenti e degl’impoverimenti conosciuti nella modernità, così come si deve alla decisione “pubblica” dello Stato l’assegnazione preliminare dei diritti di proprietà e in genere dei titoli legali. Non solo. Come vedremo di qui a poco, il fenomeno ha assunto in tempi recenti la consistenza di una nuova forma “idiocratica” dell’articolazione stessa del pubblico potere in un forse inedito intreccio col grande capitale, monstrum“privatistico” e appunto “capitalistico”, che ricorda per taluni aspetti il modello feudale, e in parte quello canonico, peggiorati dalla sporcatura aziendalistica e dai laminati plastici, metafora di un’architettura scadente quale quella dei palazzi in cui operano le relative attività.

sabato 2 maggio 2015

Perchè l'antispecismo è libertario

di Rita Ciatti
 
 
Credo che tutti concordiamo sul fatto che la violazione dei corpi altrui costituisca sempre un esercizio arbitrario di potere e dominio e una negazione della libertà. Eppure questo assioma viene a cadere quando parliamo degli animali non umani. Tenendo a mente la metafora del grattacielo di Horkheimer della struttura verticistica e gerarchica del potere che trae la sua linfa dallo sfruttamento del vivente – non dimenticando che esso è anche trasversale e orizzontale – ci è possibile affacciarci per un attimo “sull’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali.”.

giovedì 23 aprile 2015

Chiesa Nikeista


19 marzo 2007.

E’ istituita la Chiesa Nikeista, fondatore Fabio Massimo Nicosia, cittadino italiano, via Custodi 3, Milano, c/c IT34F0558401621000000017721, che diviene sede della Chiesa e luogo di culto individuale ai sensi dell’art.  8 della Costituzione della Repubblica Italiana, nonché del diritto individuale previsto anzitutto dall’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu.

sabato 18 aprile 2015

Breve spunto da Bruno Leoni

di Fabio Massimo Nicosia

Forse non tutti sanno che Bruno Leoni, in gioventù, fu marxista. Racconta nel suo libro "Il pensiero politico moderno e contemporaneo" (Liberilibri) che, da ragazzo, bigiava la scuola per andare in biblioteca a leggere “Il Capitale”, e che il marxismo gli restò attaccato pur dopo l’università.

martedì 17 marzo 2015

Il Movimento 5 Stelle tra destra e sinistra

di Fabio Massimo Nicosia

Tempo fa, un deputato grillino, intervenendo in un talk-show televisivo, ha pronunciato la seguente, strabiliante dichiarazione: “Noi siamo onesti, e quando uno è onesto rimane tale sia che stia all'opposizione, sia che stia al governo”.

A quale cultura politica appartiene una siffatta proposizione? Non certo alla cultura liberale. Secondo questa cultura, infatti (pensiamo a Popper), non è sulla virtù dei governanti che si può fare affidamento (tempo sprecato), ma su idonei meccanismi istituzionali, atti a limitare il pubblico potere.

mercoledì 11 marzo 2015

LA DITTATURA LIBERTARIA - Appunti per una proposta

di Fabio Massimo Nicosia


Abbiamo esposto il nostro  concetto di dittatura libertaria in un precedente lavoro (“Il dittatore libertario – Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza e sovranity share, Giappichelli, 2011) e intendiamo in questa occasione riprenderlo in mano, al fine di divulgarne e precisarne ulteriormente le caratteristiche. 

L'interesse individuale allo stato sociale

di Fabio Massimo Nicosia

 La nota espressione di Aristotele che l’uomo sia animale politico e sociale è divenuta luogo comune e, come nel caso di tutti i luoghi comuni, rischia di perdersene il significato. Tant’è che v’è persino chi, ad esempio tra i cattolici integralisti, la invoca a sostegno di qualunque intrusione statuale e autoritaria nelle più intime questioni dell’individuo.
Noi la intendiamo invece piuttosto così, nel senso che, se l’uomo è naturaliter animale sociale, ciò significa che l’uomo ha per predisposizione interesse a cooperare con gli altri uomini, piuttosto che a vivere isolato. Ciò pone naturalmente una serie di problemi, nel senso che l’uomo, si suppone, è portatore di interessi autonomi e soggettivi, distinti da quelli sociali, sicché si propone la questione se l’accento posto su questi ultimi possa massimizzare i primi, o se questi siano destinati a soccombere innanzi al prevalere del collettivo.

domenica 8 marzo 2015

Tenete fuori lo Stato dalla marijuana!

di James C. Wilson

Il venti febbraio, i parlamentari americani Jared Polis (democratico, Colorado) e Earl Blumenauer (democratico, Oregon) hanno presentato due nuove proposte di legge che mirano alla legalizzazione della marijuana a livello federale. La pratica di arrestare, multare, opprimere e stigmatizzare chi usa la marijuana è un fatto tragico che ha danneggiato l’esistenza di tanti. La fine del proibizionismo sarebbe un cambiamento gradito, ma queste proposte di legge creano molti problemi. Se dovessero passare, invece di offrire opportunità a chiunque, trasformerebbero il mercato della marijuana in un cartello industriale.

La "Critica della violenza" di Andrea Caffi

di Andrea Caffi

In forma un poco abbreviata, questo scritto fu pubblicato per la prima volta nel numero di gennaio 1947 della rivista Politics di New York, diretta da Dwight Macdonald, nella quale apparvero in seguito anche altri scritti di Caffi, tratti dall'amichevole corrispondenza che egli intrattenne con Macdonald Come saprete, Andrea Caffi fu un importante esponente del socialismo libertario. Già menscevico, nel secondo dopoguerra aderì al partito saragattiano.

La mia tesi è che un "movimento" il quale abbia per scopo di assicurare agli uomini il pane, la libertà e la pace, e quindi di abolire il salariato, la subordinazione della società agli apparati coercitivi dello Stato (o del Super Stato), la separazione degli uomini in "classi" come pure in nazioni straniere (e potenzialmente ostili) l'una all'altra, deve rinunciare a considerare come utili, o anche possibili, i mezzi della violenza organizzata, e cioè: a) l'insurrezione armata; b) la guerra civile; e) la guerra internazionale (sia pure contro Hitler, o... Stalin); d) un regime di dittatura e di terrore per "consolidare" l'ordine nuovo.
La ragione prima -tratta dall'esperienza e dal semplice buon senso- è che tali mezzi sono inefficaci, e anzi conducono a risultati opposti a quelli che ci si proponevano. A tale argomento -"utilitario", se si vuole- se ne aggiungono parecchi altri: gli uni confermati dai pensieri e sentimenti unanimemente nutriti sin da quando gli uomini cominciarono a riflettere sulla condizione umana, gli altri imposti dalla situazione senza precedenti in cui si trovano i due miliardi di abitanti del pianeta Terra alla metà del secolo ventesimo.

venerdì 6 marzo 2015

MANIFESTO COSTITUTIVO DEL C.A.O.S. – Comitato Abolizione Ordinamenti Segregazionisti

Visto l’inevitabile fallimento del sistema penale e la vergogna, ormai dimostrata, del sistema carcerario in tutti i Paesi, i quali intendono quegli istituti, ormai antiquati, come metodo di vendetta legale sugli autori o presunti tali di reato (e sempre che certi comportamenti senza vittime, come dimostra il proibizionismo sulle droghe, possano ancora definirsi reato), si indica la volontà politica di rottamare detto sistema penale perché criminale e criminogeno, per fermare l’immoralità stessa della punizione.  

mercoledì 4 marzo 2015

Punishment vs. Restitution: A Formulation

by Roderick T. Long
 
Kinds of Coercion
How should criminals be treated in a libertarian polity? Is it permissible to punish them? Why or why not? In what follows I’d like to outline the answers I personally have reached to these questions, stressing that I speak only for myself, and would be happy to receive comments and criticism.
Let’s define coercion as the forcible subjection, actual or threatened, of the person or property of another to one’s own uses, without that other’s consent. In light of this definition, it is possible to distinguish three kinds of coercion:
a. Defensive coercion: I use coercion against you, but only to the extent necessary to end your aggression against me (or someone I legitimately represent).

domenica 1 marzo 2015

E se semplicemente li lasciassimo liberi di entrare?

di Massimo Messina
 
29 immigrati sono morti nella traversata del Canale di Sicilia. L’imbarcazione trasportava 106 persone, soccorse dalla Guardia Costiera, che le ha trasportate a Lampedusa. Sono adeguati i soccorsi adesso che l’operazione Mare Nostrum è stata cancellata dal governo Renzi? Almeno una parte dei morti di freddo sono deceduti dopo essere stati trasportati sulle motovedette dei soccorritori, non attrezzate per il soccorso di persone in quelle condizioni. La prima cittadina di Lampedusa ha affermato che “I 366 morti di Lampedusa non sono serviti a niente, le parole del Papa non sono servite a niente, siamo tornati a prima di Mare Nostrum. È la realtà”. Questa ennesima tragedia del Canale di Sicilia, ha continuato, “è la prova che Triton non è Mare Nostrum. Siamo tornati indietro”.

martedì 24 febbraio 2015

Intervista al P.M. Silvia Cecchi: "il carcere è privo di fondamento razionale"

di Fabio Massimo Nicosia


Intervistiamo la dottoressa Silvia Cecchi, Sostituto Procuratore della Repubblica a Pesaro, che da anni sviluppa, attraverso i suoi scritti, una critica dell'istituzione carceraria e dei suoi fondamenti e presupposti filosofici. La magistrata è anche un'apprezzata musicista e librettista d'opera.
 
D.  Dottoressa Cecchi, nel suo libro “Giustizia relativa e pena assoluta”, lei sostiene fondamentalmente due tesi, a proposito della indesiderabilità della sanzione carceraria. La prima è che essa coinvolge in modo totale (assoluto) la persona del reo, mentre l’atto da lui compiuto ne è solo una manifestazione parziale (relativa). La seconda è che il carcere sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 27, dato il suo carattere solo afflittivo e non rieducativo. Abbiamo capito bene? Può fare qualche esempio?

R.           Sì, credo che in assenza di una seria base epistemica in grado di rendere conto del rapporto tra una determinata personalità e determinati specifici suoi atti, di come davvero sta un atto alla persona, la totalitarietà della risposta sanzionatoria carceraria sia fortemente arbitraria, priva di alcun fondamento razionale, scientifico e anche criminologico. Le condotte costituenti reato coprono oltretutto una gamma estremamente diversificata di tipologie e per talune di esse la punizione della persona come tale è apertamente irragionevole, tanto che sorprende come possa essere stata mantenuta fino ad oggi, se non per conformismo e conservatorismo irriflesso del pensiero. Ma sotto questo profilo (qualitativo) e

giovedì 19 febbraio 2015

Amore, aglio, anarchia

di Luigi Corvaglia
 
 
Karl Kraus, uno dei più brillanti autori di quelle condensazioni semantiche note come aforismi, scrisse che “Un aforisma non è mai una verità: o è una mezza verità o è una verità e mezzo.” E’ l’aforisma perfetto! Vi si ritrova il senso, l’arguzia, il paradosso, la mezza verità e, ovviamente, la verità e mezzo. Ma la definizione migliore è forse quella di Nilt Ejam: “un aforisma è molto sfizio in poco spazio”. Esatto. Senza il gusto del bon mot o di una iperbole, una locuzione rimane un’osservazione, si mantiene al livello di semplice riflessione. Il successo degli aforismi risiede invece nel grottesco e nel paradosso oppure nella grande capacità condensativa di ampi principi filosofici e morali.
Oscar Wilde, splendida mente di libertario, ne fece un’arte producendo schizzi di autocompiaciuta fatuità (“Amo molto parlare di niente. È la sola cosa su cui so tutto.”) e umoristiche sentenze sulla virtù del vizio (“La moderazione è una cosa fatale. Nulla ha più successo dell’eccesso.”). Nell’ambito del pensiero politico c’è un’idea che più di ogni altra si può gloriare di molti arguti aforismi: l’anarchismo. Ciò va detto ad onore dei pensatori anarchici, in grado di condensare principi e saperi in formule che, occupando poco spazio, producono molto sfizio. “L’anarchia è ordine”, ad esempio.
Il motto, il cui gusto è nell’apparente paradosso, si deve all’uomo che per primo osò definirsi “anarchico” in senso positivo, cioè Pierre J. Proudhon. E chi non conosce lo slogan, sempre del tipografo di Becancon, “la proprietà è un furto”? La frase è sfiziosa, appunto, non c’è alcun dubbio, è breve e contiene una dose di verità che va dalla mezza unità all’unità e mezza.

Norberto Bobbio, un filosofo per la partitocrazia

di Fabio Massimo Nicosia

(su suggerimento di alcuni amici, pubblico un mio vecchissimo articolo uscito tanti anni fa su "Il Foglio")


Sapete perché negli Stati Uniti hanno Posner, Dworkin, Axelrod, Rawls, Nozick, Rothbard, e noi abbiamo Bobbio ? Perché gli americani hanno scelto prima. Hanno scelto, cioè, la libertà della ricerca, e non il conformismo accademico. Quando scrive di filosofia del diritto (jurisprudence) o della politica, un autore americano sa che sarà tanto più apprezzato, quanto più si interrogherà sui fondamenti ultimi della disciplina e contribuirà alla sua evoluzione; da noi invece chi propone punti di vista inediti è percepito come uno stravagante velleitario, che ignora la prima regola della nostra
"ricerca": mai esprimere, se non dubitativamente e scusandosi con il lettore, un proprio pensiero, e preferibilmente illustrare il pensiero altrui. Sicchè oggi, non essendoci veruno che esprima un pur tenue pensiero proprio, non è più possibile nemmeno scrivere sul pensiero altrui
Pensate a Bruno Leoni: l'unico nostro filosofo del diritto davvero grande e originale, nonché l'unico coerentemente liberale in questo secolo, è tuttora del tutto assente dai manuali nostrani (naturalmente negli Stati Uniti è considerato pensatore fondamentale: chiedete a James Buchanan). Ma Leoni non
era bobbiano; sicchè il nostro vate può permettersi ancor oggi di ignorarlo, come nella sua recente autobiografia, ove si limita a una sola, ingiuriosa segnalazione come "giurista" (anch'io faccio il "giurista", ma mia madre mi crede cantante in un eros-center). Piccole meschinità; e dire che, in un
momento di sincerità, Bobbio ammise di non essere "mai venuto a capo" delle idee di Leoni!
Sia chiaro che non mi interessa nulla della vicenda del Bobbio "fascista", che scrive a Mussolini per ottenere la cattedra. Non l'aspetto etico è preoccupante, ma quello scientifico e ideale: il fatto che Bobbio sia considerato un grande filosofo, nonché un grande liberale. Il fatto è che Bobbio non è né grande, né liberale. Chiunque di media cultura abbia letto "Destra e sinistra" (Donizelli, 1994), non può non aver provato imbarazzo di fronte a un simile Harmony della scienza politica, zeppo di massime immortali come le seguenti: "Nietzsche, ispiratore del nazismo" (pag. 23); "Gli estremi si toccano" (pag. 27); "Nel linguaggio politico i buoni e, rispettivamente, i cattivi possono trovarsi tanto a destra quanto a sinistra" (pag. 48). Per non parlare delle prese di posizioni più pensose, come quella secondo la quale gli "estremisti" essendo "autoritari" e i "moderati" "libertari", i libertari-egualitari si collocherebbero nel centro sinistra (pag. 81). Chissà come reagirebbero Bakunin e Stirner, se sapessero di essere rispettivamente di centro-sinistra e di centro-destra!
Naturalmente, nello schema del "liberale" Bobbio l'elemento rappresentato dallo Stato, questo piccolo dettaglio della modernità, non trova alcuna collocazione critica, ma è visto come un dato naturale a priori, come i vulcani e i terremoti (170 milioni di morti provocati dagli Stati nel XX secolo, e la tassazione al 60%, saranno di destra o di sinistra ?).
Il bijou di Destra e Sinistra si trova peraltro, come spesso capita ai capolavori, in una nota: la 5 di pagina 78, nella quale il Maestro sostiene che l'art. 3 della Costituzione, secondo il quale "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lungua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", non determinerebbe l'incostituzionalità di una "fantastica" normativa che discriminasse gli "estroversi"; e ciò perché
l'art. 3 non indica esplicitamente l'estroversione tra i motivi di non discriminazione. Che l'"estroversione" possa farsi rientrare nella nozione di "condizioni personali e sociali" non sfiora il nostro grande filosofo del diritto (Bobbio non è mica un "giurista" qualsiasi).
Il Bobbio più noto è quello degli ultimi anni, ulivista e veltroniano, sempre intento a meditare sulle sorti della Democrazia, della Repubblica e della Stampa. Ma il Bobbio davvero importante, che "rimarrà", è quello delle dispense universitarie e dei saggi gius-filosofici. Bobbio non ha mai
scritto un libro che sia uno (i suoi sono tutti raccolte di saggi o di lezioni), e questo non è detto sia un difetto; mi fa specie piuttosto -devo ripetermi- che Bobbio sia considerato un filosofo del diritto liberale. Del liberalismo di Bobbio si doveva già dubitare ai tempi di Politica e cultura: per anni i nostri maggiori ci hanno additato come esempio di rigore anticomunista gli scritti raccolti negli anni '50 in quell'antologia.
Senonchè quel poco di cultura liberale che si aggira nel nostro Paese ha ben poco di che inorgoglirsi di fronte a genuflessioni al cospetto togliattiano, del tipo "sulle divergenze tra il compagno Viscinskij e noi", quali le seguenti: "Le dichiarazioni di Stalin sul movimento dei Partigiani della
Pace... confermano alcuni dubbi che sono stati più volte formulati sulla natura e sull'efficacia di questo movimento. Data l'autorità della voce da cui questi dubbi traggono conferma,..." (pag. 72); "...nonostante le tesi sembra che siano stati fatti dal regime sovietico grandi passi verso lo stato di diritto via via che esso si è venuto consolidando" (pag. 155). E così via.

Ciò che più in generale colpisce è il la timidezza, l'atteggiamento subalterno, con il quale Bobbio va compitando le sue banalità "liberali" (della serie "la libertà è un valore universale") rivolte ai suoi ben più agguerriti e motivati interlocutori comunisti.
Ma torniamo al filosofo del diritto. Bobbio è anzitutto considerato, con riferimento soprattutto alla sua prima fase, un "filosofo analitico", sostenitore di un approccio linguistico al diritto. In realtà, chi
pretendesse di rinvenire nel Nostro le sottigliezze argomentative dei veri filosofi analitici (da Austin a Searle), sbaglierebbe indirizzo. In Bobbio, l'"analisi" si riduce a una generica invocazione al "rigore" nell'approccio linguistico-normativo; ma non riesce a evitare cadute grossolane, come quando nega il carattere empirico della norma giuridica, in quanto regola sul comportamento "futuro" e non rappresentazione di un evento accaduto (Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1950, pag. 354): quasi che il riferimento al "futuro" fosse elemento incompatibile con il carattere empirico di una proposizione. La confusione tra "empiricità" e "attualità" di un enunciato è un vero e proprio strafalcione: non occorre infatti la volumetria cranica  di Wittgenstein o di Carnap, per comprendere che "Domani pioverà" è enunciato empirico non meno di "Oggi piove", pari essendo la verificabilità di entrambi: basta un po' più di pazienza nel primo caso.
Il fatto è che, negando il fondamento empirico della norma giuridica, Bobbio vuole salvaguardare la sovranità del legislatore, svincolandolo da ogni limite di contenuto: da qui il suo malinteso "positivismo giuridico". Bobbio è infatti considerato, almeno per una certa sua fase, un kelseniano (poi ha seguito tutte le mode, dal funzionalismo al neo gius-naturalismo in nome dell'O.N.U.).
Un formalista-realista come Kelsen, peraltro, non si sarebbe mai sognato di scrivere: "La nostra vita si svolge in un mondo di norme. Crediamo di esser liberi, ma in realtà siamo avvolti in una fittissima rete di regole di condotta, che dalla nascita sino alla morte dirigono in questa o quella direzione le nostre azioni" (Teoria della norma giuridica, Giappichelli, 1958, 3). Come si vede, abbiamo qui l'idea di un diritto un po' Mago Merlino e un po' new age; affascinante, ma il liberalismo che c'entra?
La verità è che l'impostazione di Kelsen, pur con le sue rigidità, era assai più liberale di quella di Bobbio; per Kelsen non v'era sovranità possibile al di fuori del diritto,

Diritto umano alla conoscenza, rule of law e deperimento del potere


di Fabio Massimo Nicosia

Capita sovente che Marco Pannella sia attraversato da intuizioni fulminanti, che meritano poi di essere sviscerate in tutte le loro potenzialità e implicazioni. L’ultima di queste è quella della proposta di previsione a livello internazionale di un “diritto umano alla conoscenza”, come caposaldo di una rinnovata teorica dello stato di diritto o rule of law.

Perché questa proposta è importante, a nostro avviso? Perché il diritto alla conoscenza sugli atti del pubblico potere si lega strettamente alla previsione del loro sindacato di legittimità dal punto di vista del diritto, essendo ovvio che se questi non sono noti, non possono essere nemmeno giudicati in quanto legittimi o illegittimi.

Si pensi che per il maggior teorico moderno dello stato di diritto, Hans Kelsen, non v’è atto dello Stato che sia immaginabile se non giuridificato, al che si contrapponeva la visione del rivale Carl Schmitt, secondo il quale la politica ha sempre la meglio sul diritto: Schmitt aveva dalla sua il realismo, ma non era certo un teorico liberale!

Il problema è dunque quello dei cosiddetti “arcana imperii”: possono essere questi sottoposti a trasparenza e, così (esito utile del principio di trasparenza e conoscenza) sottoposti a sindacato di legittimità?

Ovvio che se tutti gli atti del potere fossero giuridificati, come voleva Kelsen, il potere semplicemente andrebbe incontro a un graduale processo di deperimento: come diceva lo stesso Pannella negli anni ’70, il diritto come strumento di deperimento del potere.

Facciamo un esempio banale: il patto del Nazareno. Nessuno sa esattamente che cosa contenga o contenesse. E allora i grillini che cosa hanno pensato di fare? Hanno denunciato Renzi e Berlusconi per non si sa quale reato, al fine di “conoscere” il contenuto di quel patto. Il fatto è che gli accordi politici sono sottratti a qualunque verifica di legittimità, ma ciò non deve indurre a pensare che il rafforzamento dei checks and balances debba andare a vantaggio… dei pubblici ministeri! Si tratta quindi di introdurre meccanismi costituzionali e amministrativi di conoscenza, che non siano un rimedio peggiore del male.

La questione, come è evidente, assume maggiore rilievo a livello di politica estera e internazionale, al conseguente ruolo dei servizi segreti, basti pensare al peso storicamente accresciuto del Presidente USA, con progressivo accentramento del potere in quello Stato, in conseguenza dell’acquisto del crescente ruolo di potenza di quel Paese. Persino la guerra è sottoposta a un diritto bellico, per quanto questo non basti a evitare le guerre.


martedì 17 febbraio 2015

Economia, Stato, Anarchia

di Fabio Massimo Nicosia


Economia, stato, anarchia (regole, proprietà e produzione fra dominio e libertà, Elèuthera, 2014) di Guido Candela, è un libro importante per tante ragioni, ma quella su cui vogliamo concentrarci è che l’autore, economista, è un anarchico classico che, contrariamente alla più parte dei suoi “correligionari”, prende sul serio il libertarianism e l’anarco-capitalismo.

Peccato però che lo faccia prevalentemente con la versione “statalista” di Robert Nozick, che è un interlocutore costante del volume, anche se Rothbard non viene affatto ignorato, e David Friedman viene almeno citato (il nostro giudizio positivo è minimamente influenzato dal fatto che l’autore ricordi anche il nostro “Dittatore libertario”!).

Dato il taglio che vogliamo dare alla nostra recensione, vediamo allora subito che cosa non funziona nella dottrina di Nozick, nei limiti in cui viene presa in considerazione da Candela.

Perchè l'antiproibizionismo è logico (e morale)


di Blast

Avevamo pensato di intitolare questa recensione “Libero sesso, libera droga, al posto di Andreotti vogliamo Paperoga”, ma forse Persio Tincani non avrebbe gradito. E allora abbiamo ripiegato sul titolo del suo importante lavoro (Sironi Editore), che smaschera tutte le truffe pseudo-argomentative dei beceri proibizionisti di tutto il mondo, che purtroppo tuttora dominano in questa materia.

Semmai si può dire che Tincani è troppo pessimista (il libro è del 2012, e andrebbe distribuito nelle scuole), dato che negli ultimi mesi vediamo un fiorire di politiche anti-proibizioniste, almeno negli Usa, e almeno con riferimento alla cannabis, alla cui parziale legalizzazione pare non sia contrario lo stesso Obama.

lunedì 9 febbraio 2015

Max Stirner, Adam Smith e il superamento anarchico del liberismo radicale

di Domenico Letizia

Una di­stin­zio­ne fon­da­men­ta­le tra l’ap­proc­cio del fi­lo­so­fo anar­chi­co te­de­sco Max Stir­ner -au­to­re del fa­mo­so L’u­ni­co e la sua pro­prie­tà- e la scien­za po­li­ti­ca, an­che di am­bi­to li­ber­ta­rio, con­si­ste nel con­si­de­ra­re non so­lo lo sta­to, ma an­che la so­cie­tà co­me frut­to del­la coer­ci­zio­ne e del­l’im­po­si­zio­ne, co­sic­ché an­ch’es­sa ne­ghe­reb­be la ve­ra es­sen­za e la li­be­ra in­te­ra­zio­ne de­gli in­di­vi­dui. Il mes­sag­gio di Stir­ner è ap­pa­ren­te­men­te sem­pli­ce, ma pro­fon­da­men­te com­ples­so, per­ché, co­me af­fer­ma En­ri­co Fer­ri, stu­dio­so del­lo stes­so Stir­ner, «il pas­so che (egli) vuo­le far com­pie­re è quel­lo di una ge­ne­ra­liz­za­ta pre­sa di co­scien­za del pro­prio egoi­smo e di una al­tret­tan­to dif­fu­sa tra­sfor­ma­zio­ne del­la vi­ta e del­le re­la­zio­ni uma­ne in mo­do ade­gua­to, con­for­me al­l’e­goi­smo». Per Stir­ner, in­fat­ti, l’al­ter­na­ti­va al­lo sta­to e al­la so­cie­tà sem­bra es­se­re, da un pun­to di vi­sta an­tro­po­lo­gi­co-giu­ri­di­co, una re­te di li­be­re as­so­cia­zio­ni, al­cu­ne coo­pe­ran­ti su ba­se fe­de­ra­li­sta.

venerdì 6 febbraio 2015

Perchè i radicali hanno bisogno degli anarchici (e viceversa)

di Fabio Massimo Nicosia

Giampietro “Nico” Berti non è un ultimo arrivato nel mondo della cultura anarchica italiana, e non solo. Ha pubblicato fior di testi sul pensiero e sulla storia del movimento anarchico, l’ultimo dei quali (Libertà senza rivoluzione, Lacaita, 2012) segna una cesura col movimento stesso, sfidandolo sul piano di alcuni dogmi e miti, come quello della rivoluzione, del socialismo se non del comunismo. Berti ha invitato il mondo anarchico al confronto con il mondo liberal-democratico, cosa che gli anarchici si sono sempre rifiutati di fare, finendo, come icasticamente dichiara Berti, con il rappresentare solo se stessi.
Come è noto, gli anarchici non votano, non fanno “politica” (fanno delle “lotte” per lo più ininfluenti), non puntano a governare il Paese, e tuttavia sono custodi di una grande tradizione di pensiero, che ben pochi possono vantare: Godwin, Proudhon, Stirner, Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Berneri, sono lì a dimostrare come un pensiero possa essere pluralistico e al tempo stesso importante, a differenza di quanto accade col marxismo, che persino nel nome rimanda a un unico padre fondatore.

martedì 3 febbraio 2015

Giustizia relativa, pena assoluta e il ruolo dei radicali sulle carceri


di Riccardo Battaglia

L’Italia è un Paese bizzarro. Sapete che mestiere fa il personaggio che più di ogni altro oggi si batte per l’abolizione del carcere? La pianista? La librettista d’opera di musica contemporanea? Esatto! Ma forse vi sorprenderà di più che la sua occupazione principale è quella di Sostituto Procuratore della Repubblica, a Pesaro per l’esattezza.

In un suo testo pubblicato dalla gloriosa Liberilibri nel 2011 (Giustizia relativa e pena assoluta), Silvia Cecchi argomenta da par suo su tale delicata questione. Non aspettatevi affermazioni mirabolanti e guerrigliere, si tratta di una “moderata”! La Cecchi semplicemente sostiene che il carcere, nella sua essenza punitiva, retributiva e afflittiva, semplicemente contrasta con l’art. 27 della Costituzione, secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, senza con questo ristorare in alcun modo le vittime.

lunedì 2 febbraio 2015

Jefferson, le banche e la "bolla finanziaria"

di Giulio Giorello
 
 
«Le banche si sono condannate a morte da sole», scriveva nel 1817 Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti (1800-1807), a Thomas Cooper, uno dei più importanti sostenitori americani della fisiocrazia (la dottrina che vede nell’agricoltura il fondamento delle attività economiche). In quell’occasione si dichiarava convinto che l’ammanco di trecento milioni di dollari (di allora) da parte delle banche americane e il loro rifiuto di pagare i creditori potesse segnare la loro scomparsa dalla scena! Ma «grazie alla stupidità dei nostri cittadini e all’acquiescenza dei nostri legislatori», i banchieri avevano letteralmente saccheggiato la giovane nazione, spendendo i soldi del popolo in «case sontuose, eleganti carrozze e cene di lusso». Il terzo presidente non aveva mai nascosto la sua avversione per un sistema bancario tanto svincolato da qualsiasi forma di pubblico controllo da «minacciare le stesse istituzioni repubblicane». E già un anno prima della crisi del 1817 a un altro suo corrispondente aveva denunciato «la bolla finanziaria» (suo termine) che affliggeva come una pericolosa malattia i cittadini della nuova America, i quali, «come l’idropico chiede acqua in continuazione», invocavano «banche, banche, banche», in una sorta di «stato febbrile» non troppo diverso da quello che aveva tormentato i Paesi del vecchio mondo. A questa patologia Jefferson si era da sempre opposto non con semplici denunce morali («come avrebbe fatto Don Chisciotte contro i mulini a vento»), ma con un articolato appello ai farmers, cioè agli agricoltori indipendenti che a suo parere costituivano il nerbo della nazione, non solo dal punto di vista economico ma anche, e soprattutto, da quello politico. La vocazione democratica e repubblicana degli Stati Uniti veniva così indissolubilmente legata all’«industriosità» di tale gruppo sociale, che si sarebbe contraddistinto per la sua capacità di intrapresa economica e di autodeterminazione politica.

Anarchismo, politica e la "libertà senza rivoluzione"


Di Domenico Letizia

 

Le elaborazioni contenute dall’ultimo volume del Berti “Libertà senza Rivoluzione”, che si condividano o no, forniscono una riflessione alla quale ogni sincero libertario e anarchico non può sottrarsi, sia come portata storica, sia come probabile proposta etica politica da attualizzare all’interno del movimento libertario internazionale. La fine della possibilità rivoluzionaria, della rivoluzione sociale, il fallimento catastrofico del comunismo ovunque si sia applicato, hanno decretato non solo una schiacciante vittoria per il capitalismo ma uno scacco enorme per tutto il fronte progressista che deve rivalutare e rianalizzare la società attuale, se non vuole scomparire dal panorama politico, oppure divenire la copia smussata delle formazioni di centro destra, conservatrici. Quello che il movimento libertario deve assolutamente ritenere priorità è una analisi libertaria del fenomeno capitalista, analisi che sia scevra di ogni elaborazione marxista evitando di collocarsi fuori da un’ autentica logica libertaria. Il comunismo è un aspirazione olistica, un progetto che vorrebbe farsi totale ed esaustivo per la realtà, il capitalismo è già di per sé esaustivamente olistico. Il capitalismo è allo stesso tempo il contenitore e il contenuto della “società aperta”, ricordando Popper, per cui la forza del capitalismo vive nel rapporto tra l’oggettiva spinta antropologica allo scambio e la soggettiva spinta antropologica all’acquisizione illimitata. Il capitalismo vi è sempre stato anche se ha preso forma definitiva unicamente quando sono maturate certe condizioni storiche. Ciò su cui dovrebbe riflettere il pensiero libertario moderno è l’affermarsi in modo spontaneo del capitalismo, se non viene impedita con la forza la sua espressione diretta, lo scambio.
La vittoria moderna e definitiva del capitalismo sul comunismo coincide con l’esaurimento della centralità del movimento operario e socialista, dissolvendo, di fatti, il problema della collocazione politica dell’anarchismo. Concepito in termini politico-sociali esso si è sempre collocato all’estrema sinistra; concepito, invece, in termini di teoria politica presenta una maggiore complessità

giovedì 29 gennaio 2015

L'ultimo libro di Naomi Klein, l'inquinamento e il liberismo immaginario


di Blast

L’ultimo volumone di Naomi Klein e delle sue decine di collaboratori (Una rivoluzione ci salverà – Perché il capitalismo non è sostenibile, Rizzoli, 2015) è certamente un lavoro molto utile. E’ pieno zeppo di informazioni sull’attuale stato del Pianeta, tra effetto serra ed emissioni CO2, sulla compromissione di molti movimenti verdi o finto tali, sulla violazione dei diritti dei nativi americani e canadesi da parte di compagnie petrolifere e carbonifere, e così via. Peccato che sia ideologicamente malfondato.

Come è facile immaginare, la Klein non fa altro che prendersela col mercato, con l’ideologia liberista, quando ella stessa ci fornisce queste informazioni: “le compagnie dei combustibili fossili ricevono da 775 miliardi a un trilione di dollari in sovvenzioni annuali globali, ma non sborsano un centesimo per il privilegio di trattare la nostra comune atmosfera come una discarica gratuita” (pag. 103). Però si tratterebbe del “più grande disastro di mercato che il mondo abbia mai visto” (ivi).

E ancora: “Secondo alcune stime, l’esercito degli Stati Uniti è il più grande singolo consumatore di petrolio del mondo: nel 2011, il dipartimento della Difesa ha scaricato nell’atmosfera, come minimo, l’equivalente di 56,6 milioni di tonnellate di CO2, più delle operazioni combinate dalla ExxonMobil e della Shell negli Stati Uniti” (pag. 160-161).  Ancora una volta, il mercato non c’entra nulla.

E poi: “Le grandi compagnie petrolifere pubbliche (dalla Petrobras brasiliana alla Statoil norvegese alla PetroChina) cercano i giacimenti di carbone ad alto rischio con la stessa avidità delle società private… il fatto che lo Stato sia il loro azionista di maggioranza ha un effetto fortemente corruttore…” (pag. 184).

E insomma, il volume è costellato di affermazioni del genere, e tuttavia l’autrice continua a dare la colpa dell’inquinamento al mercato, e invoca a rimedio l’intervento di quello Stato che è invece il maggiore responsabile dell’inquinamento.

Con ciò non si intende certo assolvere le grandi compagnie private sfruttatrici del suolo e dell’aria, ma intendiamo sottolineare che, senza il supporto statuale, queste ben poco potrebbero. Quanto al fatto che l'intervento dello Stato rappresenterebbe il rimedio all’inquinamento, basti dire che quest’ultimo è ben sì un male pubblico, ma ad… appropriazione individuale: quindi è sul fronte dell’iniziativa giudiziaria civile e comunitaria (come hanno fatto i nativi canadesi, conseguendo importanti successi) che occorre intervenire, più che non invocando lo Stato bue a dare del cornuto all’asino…

Certo è che di fronte ai libertari si propone l’importante sfida di meglio affinare i propri criteri di analisi in materia di ambiente, essendo urgente sottrarsi all’egemonia statalista in tale fondamentale questione.

giovedì 22 gennaio 2015

Perchè siamo veramente Charlie

Da tempo avevamo deciso di utilizzare nel logo di questo sito il simbolo della Marianna, antico simbolo radicale, accompagnato dalla “A” anarchica. Ora tutti sanno, dopo i tragici fatti parigini, che la Marianna è il simbolo della Repubblica Francese, e quindi siamo divenuti anche di attualità. I soliti pignoli diranno che la Marianna è giacobina, quindi poco anarchica. A costoro rispondiamo che tra i club giacobini ve ne erano di libertari, di anti-statalisti, di anti-militaristi e di anti-polizieschi: la cosiddetta “sinistra radicale”, come ricorda il Cole, ed è a questa che ci rifacciamo.



Ma torniamo a Charlie. A differenza di molti, noi siamo veramente Charlie, perché i massacrati erano della nostra parrocchia! Trasgressivi, di una dissacrazione fine a sé stessa (il che già non è poco), divenuti martiri della libertà di noi tutti, che a quanto pare stanno dando fastidio ancora a molti, laici e religiosi. E sia consentito un omaggio particolare a Wolinski, compagno di letture giovanili di alcuni tra i più vecchi di noi.

Martiri della libertà, si diceva. Tra tante chiacchiere fluite dopo gli eventi, speriamo allora che si levi qualche voce per l’abolizione dei reati di opinione, e che siano invece poche quelli che auspichino nuovi Patriot Acts, dopo i guasti che l’originale ha portato nella cultura giuridica degli Stati Uniti.

Ci sia consentita un’ultima considerazione. Gli ultimi eventi, e in generale la questione della libertà di espressione e ai conflitti interreligiosi, dimostrano l’inadeguatezza delle chiavi di lettura di tipo economicistico e marxistico, restituendo centralità e primazia all’approccio libertario e dei diritti civili. E anche di questo insegnamento occorre fare tesoro.