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venerdì 17 novembre 2023

Nuove prospettive sulla questione dello sfruttamento del lavoratore

di Fabio Massimo Nicosia 

Vorrei qui esporre dubbi e problemi, che investono la questione dello sfruttamento del lavoratore, come fenomeno, qui, non storico, legato a una fase particolare dell’emergere con virulenza del capitalismo moderno, ma approfondendo la disamina analitica, procedendo al di là di quanto la pur importante prospettiva esclusivamente storica ci suggerisce, e quindi sforzandoci di recepire delle nozioni concettuali astratte, le quali possano aiutarci di più a capire le questioni senza pregiudizi e paraocchi di alcun tipo.

sabato 28 ottobre 2023

Marginalismo e fondamento politico dello sfruttamento del lavoratore

 di Fabio Massimo Nicosia

Proviamo a porre in essere una simulazione, a partire dal far propria pienamente, a scopo euristico, strumento di ricerca di fatti ipotetici a scopo di chiarificazione, la teoria marginalista e austriaca del soggettivismo integrale dei valori, quale mezzo di determinazione dei prezzi di mercato, e quindi, in prima battuta, di astratta sovranità del consumatore; immaginiamo quindi di assumere che un prezzo sia tale perché i consumatori sono disponibili a spendere, per un certo prodotto, una determinata somma e non un’altra; anzitutto, ciò potrebbe valere, alla lettera, esclusivamente in caso di monopsonio, ossia in un mercato in cui sia presente un solo consumatore, dato che, in un mercato reale, in cui in effetti i consumatori sono molti, posto che i loro giudizi soggettivi sul valore assegnato ai beni, con conseguente disponibilità a spendere con riferimento a una determinata somma, e non a una superiore, dovremmo ritenere che i prezzi di mercato siano determinati dalla media dei giudizi soggettivi di valore dei diversi consumatori; già, quindi, questo concetto di media viene a intaccare il mito della soggettività integrale, dato che non abbiamo più un soggetto “sovrano” in carne e ossa, e quindi dotato di mente e capacità di giudizio, nella determinazione del prezzo, ma un soggetto inevitabilmente collettivo, la cui forza esclusivamente sarebbe in grado di determinare un dato prezzo, o, quantomeno, incidere con forza sulla sua quantificazione.

venerdì 27 ottobre 2023

A proposito della "definizione della definizione" di scienza

 di Fabio Massimo Nicosia

Montaigne propone un parallelismo tra legge scienza, nel senso che anche questa procede per finzioni legittime su ciò che sarebbe vero e ciò che sarebbe falso, e non è un caso che una così claudicante scienza sia divenuta oggi prepotente formula di legittimazione di un’autorità che già Bakunin aveva previsto come irresistibile e insindacabile, posto che, di fronte a uno “scienziato”, il quale si profonda in determinate iniziatiche asserzioni, il popolo, che lo fronteggia, non è in oggettiva condizione di eccepire alcunché, o almeno questo crede lo scienziato, stante il carattere fortemente arbitrario del suo operato, e che tuttavia viene oggi proposto come “certezza” e non come fonte di dubbio e libera ricerca in concorrenza; in effetti, nella vulgata dei mass-media e della pubblicistica minore, si è venuto via via sostituendo, negli ultimi tempi, il concetto di scienza genuino degli epistemologi, quello per cui la scienza non produce certezze, ma solo congetture quante siano le conferme che queste ottengano, con un concetto degenerato, e che però viene posto a fondamento delle scelte politiche e delle decisioni dei giudici, per il quale la scienza retrocede all’ipse dixit dell’autorità.

lunedì 7 agosto 2023

La "Trappola di Robert Nozick"

di Fabio Massimo Nicosia 

Robert Nozick è probabilmente l’ultimo dei grandi filosofi politici. Insieme a John Rawls, il filosofo di Harvard ha animato il dibattito culturale nell’ambito del pensiero politico negli ultimi cinquant’anni, e il riferimento alle sue proposte è in grado tuttora di suscitare riflessioni nuove e attuali. Senonché, la sua proposta è costellata di errori, e trattandosi di autore geniale, si tratta di errori geniali, che quindi meritano di essere presi in considerazione per essere confutati con le dovute serietà e attenzione.

venerdì 28 luglio 2023

A proposito dell'uso dell'espressione "neo-liberale" (o "neo-liberista")

di Fabio Massimo Nicosia 

Sono stato rimproverato dal segretario del Partito Libertario per avere utilizzato l'espressione "neo-liberale" nella descrizione di un certo sistema politico-economico, giacché egli afferma, come altri, che il neo-liberalismo e il neo-liberismo sarebbero entità non esistenti, dato che non vi sarebbe nulla di liberale o liberista in quei sistemi, e si tratterebbe di termini di uso fusariano privi di valore euristico.

mercoledì 26 luglio 2023

Elogio della corte costituzionale e dei suoi malcerti trucchetti linguistici

di Fabio Massimo Nicosia 

Nei mesi scorsi e nelle settimane scorse fui durissimo con la corte costituzionale (che non a caso ho preso a scrivere in minuscolo), giacché essa gettò in latrina la sua funzione sacra di garante (ormai resta solo la cassazione civile, il penale lo seguo poco, con dignità di giurisprudenza, quindi temo qualche colpo di mano al riguardo, temo una normalizzazione come già avvenuta coi gradi bassi della giurisdizione), avendo essa trasformato con le sentenze sugli obblighi vaccinali i diritti fondamentali in interessi sacrificabili discrezionalmente.

giovedì 15 giugno 2023

John Locke "socialista libertario" e il reddito di cittadinanza

di Fabio Massimo Nicosia

Da anni girano nuove letture accademiche (ovviamente americane o non italiane, dato che gli italiani in questo ambito sono molto carenti, evitando argomenti specifici e tecnici in quanto filosofi politici, preferendo restare sul vago) su John Locke, con le quali si è smesso di fornire letture banalizzanti di Locke come cantore principalmente della proprietà privata e del proto-capitalismo (stiamo parlando di un autore del diciassettesimo secolo), come facevano i primi lettori marxisti (cattivi lettori), per cogliere gli aspetti dell'Autore che definiremmo "sociali": in particolare, questi aspetti sono rappresentati da due elementi fondamentali: a) lockean proviso (Dio ha donato la Terra in comune agli uomini); b) carità (Dio ha donato la Terra in comune agli uomini).

La mia tesi è che tali elementi non siano di contorno, come probabilmente è stato ritenuto a lungo, ma vanno a segnare nel profondo la teoria lockeana della proprietà, fino a farmi dire in questi giorni che Locke è addirittura un autore "socialista", appunto nei termini che egli è al contempo il fondatore del liberalismo moderno e del socialismo moderno, intendendosi il suo socialismo come socialismo liberale, libertario e utopistico: ossia, ritengo Locke l'autore che ha avviato il percorso che conduce al socialismo utopistico dell'ottocento, dato che la sua concezione del diritto di proprietà nasce di già intrisa delle limitazioni che immagineremmo in un autore socialista e non ci aspetteremmo da un autore squisitamente liberale, o, oggi, neo-liberale.

a) Il lockean proviso, la clausola di Locke, fu evidenziata per primo, almeno credo, da Robert Nozick; in ogni caso, fu con Nozick che si aprì il dibattito al riguardo, soprattutto nei circoli left-libertarian americani, i quali, in quanto filosofi analitici, sono attratti da questo tipo di dettagli e li prendono molto sul serio.

Il lockean proviso esprime il principio, per il quale l'occupante è legittimato a divenire proprietario del suolo che ha occupato, esclusivamente se residua agli altri atrettanto suolo e altrettanto buono; questo parrebbe un problema dell'ultimo occupante, più che del primo, in ogni caso, tale clausola esprime il concetto che, avendo Dio donato la Terra in comune agli uomini, ragionando in termini proprietaristi, ognuno deve averne la sua quota, nessuno può rimanere privo di titoli di proprietà, altrimenti dove andrebbe a stare il poveraccio? Sarebbe sempre soggetto al volere dell'altro, e quindi non sarebbe libero, ma subordinato ai soggetti proprietari.

Ne ricavo che, se quota per me non c'è, mi compete una rendita di esistenza, in modo tale da potere pagare l'affitto di un luogo dove stare, mi compete una sorta di risarcimento per il fatto che a me non è stata assegnata alcuna quota di Terra, nonostante il fatto che mi spettasse in quanto destinatario a mia volta del dono divino.

b) Il punto della "carità" è forse addirittura più intrigante, dato che vediamo il concetto religioso fare prorompente ingresso nel discorso filosofico politico, e lo fa in modo meraviglioso, dato che si tratta di ricostruzione originalissima. Non è originale l'idea che la carità sia un diritto soggettivo perfetto da parte del povero, dato che tale concetto risale a canonisti medievali come il francescano Ockham, che rappresentava un po' la "sinistra" di quel movimento; essendo diritto soggettivo perfetto del povero, e non mera liberalità del ricco, il ricco è gravato da un obbligo giuridico compiuto in tal senso: il punto più originale sta quando Locke mi dice che il ricco non è proprietario pieno di tutti i suoi beni, ma mero depositario di beni che sono comuni, almeno fin quando la povertà non sia debellata!

Tale esigenza di carattere sociale, che discende sempre a propria volta dall’essere stati tutti i beni della Terra donati da Dio in comune agli uomini, viene quindi ad assumere, a mio avviso, carattere preclusivo rispetto alla legittimità delle appropriazioni individuali, e il collocare in posizione di primazia lessicografica il bene dei poveri su quello delle appropriazioni, mi fa pensare, insieme a discorso sul lockean proviso, a un Locke socialista vero e proprio, pur riaffermando il filosofo il diritto alla proprietà privata, di tal che ci troviamo in realtà alle origini del socialismo liberale e libertario. A questo va aggiunto che, in tal modo, Locke, del quale viene normalmente sottolineata l’attenzione al tema del lavoro, in quanto atto fondativo della facoltà stessa del divenire proprietari, in realtà stia scindendo l’idea del reddito da quello di lavoro, in quanto, in nome della carità, ognuno ha in realtà diritto di conseguire un reddito vitale, indipendentemente dal fatto del lavorare; non solo: poggiando la carità sulla comunione originaria dei beni, il diritto a conseguire un reddito, non solo non deriva quindi concettualmente dall’atto del lavorare, ma deriva dal fatto di essere originariamente comproprietari del Mondo, ergo dalla titolarità di un diritto di proprietà, inteso come qualcosa di primordiale e preliminare rispetto all’atto del lavorare, e non come esito dell’atto del lavorare: o meglio, la proprietà individuale consegue dal lavoro, ma la proprietà comune originaria compete a tutti indipendentemente dal fatto che lavorino: basta l’esistenza, ma l’esistenza non è “mera”, ma da subito associata al fatto istituzionale “comproprietà del Mondo”.

Ne deriva anche che, se Locke riteneva di primario rilievo il sostentamento del povero fino ad abolizione della miseria, egli sarebbe stato anche a favore di forme come il reddito di cittadinanza, il reddito di base, la rendita di esistenza e simili, proprio in base alla ragione detta, ossia l’avere lui, forse per primo, scisso il diritto al conseguimento di un reddito dall’onere del lavorare.