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lunedì 7 agosto 2023

La "Trappola di Robert Nozick"

di Fabio Massimo Nicosia 

Robert Nozick è probabilmente l’ultimo dei grandi filosofi politici. Insieme a John Rawls, il filosofo di Harvard ha animato il dibattito culturale nell’ambito del pensiero politico negli ultimi cinquant’anni, e il riferimento alle sue proposte è in grado tuttora di suscitare riflessioni nuove e attuali. Senonché, la sua proposta è costellata di errori, e trattandosi di autore geniale, si tratta di errori geniali, che quindi meritano di essere presi in considerazione per essere confutati con le dovute serietà e attenzione.

venerdì 28 luglio 2023

A proposito dell'uso dell'espressione "neo-liberale" (o "neo-liberista")

di Fabio Massimo Nicosia 

Sono stato rimproverato dal segretario del Partito Libertario per avere utilizzato l'espressione "neo-liberale" nella descrizione di un certo sistema politico-economico, giacché egli afferma, come altri, che il neo-liberalismo e il neo-liberismo sarebbero entità non esistenti, dato che non vi sarebbe nulla di liberale o liberista in quei sistemi, e si tratterebbe di termini di uso fusariano privi di valore euristico.

mercoledì 26 luglio 2023

Elogio della corte costituzionale e dei suoi malcerti trucchetti linguistici

di Fabio Massimo Nicosia 

Nei mesi scorsi e nelle settimane scorse fui durissimo con la corte costituzionale (che non a caso ho preso a scrivere in minuscolo), giacché essa gettò in latrina la sua funzione sacra di garante (ormai resta solo la cassazione civile, il penale lo seguo poco, con dignità di giurisprudenza, quindi temo qualche colpo di mano al riguardo, temo una normalizzazione come già avvenuta coi gradi bassi della giurisdizione), avendo essa trasformato con le sentenze sugli obblighi vaccinali i diritti fondamentali in interessi sacrificabili discrezionalmente.

giovedì 15 giugno 2023

John Locke "socialista libertario" e il reddito di cittadinanza

di Fabio Massimo Nicosia

Da anni girano nuove letture accademiche (ovviamente americane o non italiane, dato che gli italiani in questo ambito sono molto carenti, evitando argomenti specifici e tecnici in quanto filosofi politici, preferendo restare sul vago) su John Locke, con le quali si è smesso di fornire letture banalizzanti di Locke come cantore principalmente della proprietà privata e del proto-capitalismo (stiamo parlando di un autore del diciassettesimo secolo), come facevano i primi lettori marxisti (cattivi lettori), per cogliere gli aspetti dell'Autore che definiremmo "sociali": in particolare, questi aspetti sono rappresentati da due elementi fondamentali: a) lockean proviso (Dio ha donato la Terra in comune agli uomini); b) carità (Dio ha donato la Terra in comune agli uomini).

La mia tesi è che tali elementi non siano di contorno, come probabilmente è stato ritenuto a lungo, ma vanno a segnare nel profondo la teoria lockeana della proprietà, fino a farmi dire in questi giorni che Locke è addirittura un autore "socialista", appunto nei termini che egli è al contempo il fondatore del liberalismo moderno e del socialismo moderno, intendendosi il suo socialismo come socialismo liberale, libertario e utopistico: ossia, ritengo Locke l'autore che ha avviato il percorso che conduce al socialismo utopistico dell'ottocento, dato che la sua concezione del diritto di proprietà nasce di già intrisa delle limitazioni che immagineremmo in un autore socialista e non ci aspetteremmo da un autore squisitamente liberale, o, oggi, neo-liberale.

a) Il lockean proviso, la clausola di Locke, fu evidenziata per primo, almeno credo, da Robert Nozick; in ogni caso, fu con Nozick che si aprì il dibattito al riguardo, soprattutto nei circoli left-libertarian americani, i quali, in quanto filosofi analitici, sono attratti da questo tipo di dettagli e li prendono molto sul serio.

Il lockean proviso esprime il principio, per il quale l'occupante è legittimato a divenire proprietario del suolo che ha occupato, esclusivamente se residua agli altri atrettanto suolo e altrettanto buono; questo parrebbe un problema dell'ultimo occupante, più che del primo, in ogni caso, tale clausola esprime il concetto che, avendo Dio donato la Terra in comune agli uomini, ragionando in termini proprietaristi, ognuno deve averne la sua quota, nessuno può rimanere privo di titoli di proprietà, altrimenti dove andrebbe a stare il poveraccio? Sarebbe sempre soggetto al volere dell'altro, e quindi non sarebbe libero, ma subordinato ai soggetti proprietari.

Ne ricavo che, se quota per me non c'è, mi compete una rendita di esistenza, in modo tale da potere pagare l'affitto di un luogo dove stare, mi compete una sorta di risarcimento per il fatto che a me non è stata assegnata alcuna quota di Terra, nonostante il fatto che mi spettasse in quanto destinatario a mia volta del dono divino.

b) Il punto della "carità" è forse addirittura più intrigante, dato che vediamo il concetto religioso fare prorompente ingresso nel discorso filosofico politico, e lo fa in modo meraviglioso, dato che si tratta di ricostruzione originalissima. Non è originale l'idea che la carità sia un diritto soggettivo perfetto da parte del povero, dato che tale concetto risale a canonisti medievali come il francescano Ockham, che rappresentava un po' la "sinistra" di quel movimento; essendo diritto soggettivo perfetto del povero, e non mera liberalità del ricco, il ricco è gravato da un obbligo giuridico compiuto in tal senso: il punto più originale sta quando Locke mi dice che il ricco non è proprietario pieno di tutti i suoi beni, ma mero depositario di beni che sono comuni, almeno fin quando la povertà non sia debellata!

Tale esigenza di carattere sociale, che discende sempre a propria volta dall’essere stati tutti i beni della Terra donati da Dio in comune agli uomini, viene quindi ad assumere, a mio avviso, carattere preclusivo rispetto alla legittimità delle appropriazioni individuali, e il collocare in posizione di primazia lessicografica il bene dei poveri su quello delle appropriazioni, mi fa pensare, insieme a discorso sul lockean proviso, a un Locke socialista vero e proprio, pur riaffermando il filosofo il diritto alla proprietà privata, di tal che ci troviamo in realtà alle origini del socialismo liberale e libertario. A questo va aggiunto che, in tal modo, Locke, del quale viene normalmente sottolineata l’attenzione al tema del lavoro, in quanto atto fondativo della facoltà stessa del divenire proprietari, in realtà stia scindendo l’idea del reddito da quello di lavoro, in quanto, in nome della carità, ognuno ha in realtà diritto di conseguire un reddito vitale, indipendentemente dal fatto del lavorare; non solo: poggiando la carità sulla comunione originaria dei beni, il diritto a conseguire un reddito, non solo non deriva quindi concettualmente dall’atto del lavorare, ma deriva dal fatto di essere originariamente comproprietari del Mondo, ergo dalla titolarità di un diritto di proprietà, inteso come qualcosa di primordiale e preliminare rispetto all’atto del lavorare, e non come esito dell’atto del lavorare: o meglio, la proprietà individuale consegue dal lavoro, ma la proprietà comune originaria compete a tutti indipendentemente dal fatto che lavorino: basta l’esistenza, ma l’esistenza non è “mera”, ma da subito associata al fatto istituzionale “comproprietà del Mondo”.

Ne deriva anche che, se Locke riteneva di primario rilievo il sostentamento del povero fino ad abolizione della miseria, egli sarebbe stato anche a favore di forme come il reddito di cittadinanza, il reddito di base, la rendita di esistenza e simili, proprio in base alla ragione detta, ossia l’avere lui, forse per primo, scisso il diritto al conseguimento di un reddito dall’onere del lavorare.

                                                                              

giovedì 18 maggio 2023

Stato di natura di Locke, disvelamento dell'anarco-capitalismo e le vere ragioni del TSO praticato a Robert Nozick

 di Fabio Massimo Nicosia

Se si entra nell’ordine di idee che lo Stato hobbeseano possa venire progressivamente meno, riassorbendosi nella società civile, nella “società borghese” del mercato, un mercato modificato e modellato in forme nuove, vale a dire tenendo conto delle esigenze della democrazia, non si sta forse sostenendo che il Leviatano possa essere riassorbito in qualcosa di imparentato con lo stato di natura, dal quale si presume che esso sia sorto? 

mercoledì 17 maggio 2023

Stato di natura di Hobbes, dilemma del prigioniero, e il pasticciaccio brutto della panettiera che non consegna mai il sacchetto del pane alla massaia

 di Fabio Massimo Nicosia

Stando a Hobbes, si direbbe che la funzione fondamentale dello Stato sia di tutelare la proprietà privata e di impedire il comunismo naturale, sulla base di una descrizione catastrofica del comunismo stesso, come luogo disorganizzato della guerra di tutti contro tutti per l’accaparramento personale di quote a piacere delle risorse comuni, in una sorta di tragedy of commons, conseguente a una lettura estremamente pessimista del dilemma del prigioniero, per cui, dato un buffet, tutti si abbufferebbero, prelevando tartine in sovrabbondanza come nei film di Lino Banfi, senza mai curarsi delle esigenze in tartine degli altri: gli uomini sarebbero quindi incapaci di amministrare con la diligenza del buon padre di famiglia le risorse comuni, dato che il dilemma del prigioniero impedisce loro di accordarsi sul rispetto delle regole di retta ragione; il dilemma del prigioniero è quella particolare situazione, per la quale nessuno fa il primo passo nella direzione dell’adempimento, dato che teme così di consegnarsi al nemico (la controparte contrattuale sarebbe un nemico: è Hobbes, non Schmitt, a parlare), nel senso che l’altro incameri quanto conferito senza adempiere a propria volta: infatti, nello stato di natura, la panettiera non consegna mai il pacchetto del pane alla massaia, la quale a sua volta non consegna mai alla panettiera i cinque euro, dato che intanto sta aspettando la consegna, che non arriverà mai, del sacchetto del pane.

mercoledì 10 maggio 2023

John Locke e i fondamenti utilitaristici del diritto di proprietà

 di Fabio Massimo Nicosia

Se la proprietà privata è intrinsecamente atto coercitivo, per quanto conveniente al soggetto proprietario, che dire di quelle dottrine, antiche e moderne, che legittimano la proprietà della stessa terra sul “lavoro”? Che nesso c’è tra il tuo “lavoro”, tra il fatto che tu abbia “lavorato”, e il fatto che io debba per conseguenza subire una limitazione della mia libertà personale, ad esempio non potendo io passare o giocare a palla rilanciata nel luogo ove tu abbia “lavorato”, per il sol fatto che tu abbia “lavorato”? Posto che quello che è lavoro per te, per me potrebbe essere una mera esternalità negativa e un puro disturbo, tanto più se hai lavorato azionando alle otto del mattino martelli pneumatici e spazzafoglie a motore, è evidente che se la società, usiamo questo termine onnicomprensivo, esprime una preferenza per il tuo “lavoro” rispetto ai miei diritti di passaggio e di gioco, è perché opera un calcolo utilitaristico, un confronto interpersonale e sociale di utilità, tal per cui il tuo lavoro viene sentenziato utile, e quindi premiato, non c’è altra giustificazione, diversamente sarebbe puro arbitrio.